I dati italiani sull'e-commerce nel settore del vino sono deludenti: solo il 10% delle imprese vinicole sfrutta il web per vendere il proprio prodotto. Su un fatturato complessivo del settore che si è attestato nel 2015 sui 14 miliardi di euro la quota generata dalle vendite online si ferma appena allo 0,5%. Salta agli occhi come la penetrazione delle vendite online di vino in Italia sia solo dello 0,2%, contro una media mondiale dell'1,8%, con picchi del 6,8% e 5,8% rispettivamente in Gran Bretagna e Francia.

Internet e l'e-commerce non vengono percepiti come fronti da presidiare dalle cantine italiane”, spiega ad AgroNotizie Massimo Zanardi, head of sales di Register.it, società del gruppo Dada che offre servizi di registrazione dei domini. “Se guardiamo al mondo internet molte aziende hanno un sito, il vero problema è che non sanno come usarlo. Al Vinitaly sono stati invitati tutti i player mondiali del mondo digitale, da Alibaba a Facebook, ma è un mondo che noi italiani per anni non abbiamo interpretato e ora lo stiamo facendo con estremo ritardo”.

Eppure l'interesse verso il vino cresce e i motori di ricerca rilevano un boom di search per termini come prosecco, amarone e barolo. Al di là delle limitazioni burocratiche che per quanto riguarda le accise scoraggiano i piccoli produttori a vendere le proprie bottiglie online all'estero, il rischio è quello di farsi sfuggire una grande opportunità.

Opportunità che si è fatta molto concreta con il rilascio di due nuovi domini, il .wine e .vin. Due parole su questo punto per chi non è avvezzo all'uso della rete: il dominio è la parte terminale della url e indica l'universo di riferimento a cui un sito internet appartiene. Fino al 2013 i nomi erano solo generici: .it per l'Italia o .com per le attività commerciali. Nel 2014 si sono aggiunti moltissimi nuovi domini come .shop, .bike, .hotel. Nel 2016 sono arrivati i domini .wine e .vin (il primo per intercettare il mondo anglofono il secondo quello francofono, ahimé percepito come il detentore dell'arte di fare il vino).

Per una cantina è essenziale presidiare questi domini registrando il proprio nome”, spiega Zanardi. “Se io registro un marchio nel mondo reale perché non devo farlo in quello virtuale con un dominio? Il costo è irrisorio, si parla di 50 euro all'anno, ma permette all'azienda di presidiare il web, di farsi trovare e di non subire strategie ostili. Da questo punto di vista manca una coltura della proprietà intellettuale su internet”.

I domini ad oggi sono più di mille e tra .com, .it, .vin e .wine c'è da perdere la bussola. Come scegliere dunque su quali estensioni puntare? “Tutto dipende dalla strategia dell'azienda. Se è una cantina che vende prevalentemente in Italia e qualche bottiglia all'estero il .it, .com, .wine e .vin sono sufficienti. Se invece ha target specifici, come sfondare in Cina, allora sarà utile avere una versione del sito in mandarino, adattando i contenuti a quella cultura e registrare anche il .cn”.

I rischi del non fare? Non vendere, non presidiare il proprio marchio ed essere marginalizzati. Gli utenti oggi se sono interessati a comprare una bottiglia di Chianti cercano la parola su Google. Avere siti ben fatti ed estensioni ad hoc porta visibilità online e dunque aumenta le chance di vendere o anche solo di farsi conoscere. Lo ha capito un'azienda che ha sfruttato la passione di molti stranieri per la zona del Chianti per vendere tour in bicicletta e lo ha fatto registrando il sito chianti.bike.

Ma se le imprese non agiscono il rischio è che qualcun altro occupi la posizione non presidiata. Come è successo con chianti.wine, in mano a società asiatiche. D'altronde il settore vale miliardi. Ferraton.wine è stato venduto a 13mila dollari, mentre nel passato wine.club è stato ceduto a 140mila dollari. Senza andare al 2003, quando il wine.com fu venduto per 3,3 milioni di dollari. Ad oggi sono oltre 10mila i domini .wine registrati nel mondo, 6mila i .vin.