Esiste un digital divide nell’agricoltura italiana? Se lo sono chiesto a Roma, presso a Sala Marconi del Cnr, i partecipanti al convegno “Rete e innovazione in agricoltura”.

La risposta alla domanda è stata tristemente positiva, almeno stando a quanto emerge dagli interventi dei relatori: Maurizio Martinelli dell’Istituto di informatica e telematica del Cnr, con "FINe: the Food in the Net observatory"; Giorgio Sirilli, dirigente presso l’Istituto di ricerca sulla crescita economica sostenibile del Cnr, che ha parlati di "I processi innovativi nella trasformazione agricola"; Roberto Gismondi, responsabile del servizio Statistiche dell’agricoltura dell’Istat, la cui relazione era intitolata "L’innovazione nelle aziende agricole: indicatori e tendenze raccontati dalle statistiche dell’Istat" e, infine, Raffaele Maiorano, presidente Anga Giovani di Confagricoltura, sul tema "Innovazione e impresa agroalimentare".

Il quadro generale dipinto dalle relazioni è quello di un settore primario in fortissimo ritardo sul tema digitalizzazione, con un andamento dell’accesso e dell’utilizzo delle potenzialità della rete enormemente influenzato dalla situazione infrastrutturale dell’area geografica di appartenenza dell’azienda.
Migliori sono le infrastrutture per l’accesso all’universo digitale, maggiore sarà il loro utilizzo anche da parte delle imprese agricole. All’attuale stato dell’arte in Italia, questo si traduce in un Sud che, spesso primo a livello nazionale per aziende e per produzione, scivola in retroguardia in quanto ad accesso e utilizzo del web.

Delle poche aziende che si interessano all’innovazione, risultano decisamente più virtuose quelle dell’industria delle bevande rispetto a quelle dell’industria alimentare, con comunque una tendenza di entrambe a investire più in tecnologia del processo produttivo che in ricerca e sviluppo.
In ogni caso il settore primario non è riconducibile, dal punto di vista delle strategie innovativo-imprenditoriali, ad un unico “modello agricolo”, dimostrando la presenza di almeno tre macrogruppi.

Il gruppo dei più arretrati rappresenta il 66,7% delle imprese. Qui la visione del lavoro è assolutamente arcaica e il massimo della modernità è rappresentato dalla partecipazione a qualche corso di aggiornamento professionale. In questo insieme si può trovare il ricorso all’esternalizzazione e al lavoro salariato, ma mai agli strumenti informatici o al web.
Nel secondo gruppo, costituente il 29,5% delle imprese, la visione dell’agricoltura non è più arcaica come nel primo. È tradizionale, ma orientata al mercato pur rimanendo poco tecnologica. In questo insieme le fonti di guadagno si differenziano e l’approccio può arrivare ad essere fortemente imprenditoriale, pur continuando a escludere strumenti IT o internet.

L’ultimo gruppo, definito da Gismondi "l’avanguardia 2.0", rappresenta solo il 3,8% delle imprese agricole e si localizza prevalentemente al Centro-Nord: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. In questo gruppo il capoazienda ha massimo 39 anni ed è intraprendente, moderno e competitivo. Gli imprenditori sono diplomati o laureati, non sempre agronomi; le aziende sono dotate di attrezzature informatiche utilizzate anche per la gestione amministrativa con contabilità ordinaria. Le superfici, spesso in affitto, superano in genere i 100 ettari e sono destinate sia a coltivazioni tradizionali che biologiche. Le aziende sono spesso società di persone, che fanno ricorso a lavoratori salariati per portare avanti un’agricoltura diversificata in cui presenzia anche la zootecnia. Tra i ricavi, la vendita diretta ad associazioni e l’esercizio di attività remunerative connesse all’attività agricola.

A prima vista, dunque, i soggetti agricoli in grado di eliminare il digital divide sono i giovani agricoltori, ma pensare che essi soli siano rappresentativi del settore è quantomeno azzardato.
Dagli imprenditori più giovani sta venendo una spinta forte al cambiamento e sono loro i protagonisti di una rivoluzione culturale che trova resistenze generazionali proprio all’interno dell’azienda”, ha osservato il presidente di Anga, Maiorano, ricordando però nel contempo che lo "svecchiamento" dell’agricoltura è, nella migliore delle ipotesi, a un punto morto, con la scomparsa dal mercato del 27,4% delle aziende under 35. Anche le tanto decantate start-up, ha ricordato Maiorano, come metodologia di innovazione in agricoltura lasciano tutto il tempo che trovano: su 4228 start-up innovative, infatti, solo 13 (lo 0,3%), sono state start-up agricole.

Per contrastare il fenomeno, secondo Maiorano, serve procedere secondo dinamiche differenti dal passato e sostenere progetti innovativi specifici e concreti, che permettano di abbattere i costi delle innovazioni, anche attraverso la sharing economy, ma soprattutto avvicinando il mondo della ricerca a quello delle imprese. Andrebbe poi creato un "tavolo dell’innovazione" per raccordare ricerca e politica con le esigenze delle imprese, oltre ad uno sportello "anti-divide" per i giovani.
 
Concluse le relazioni, l’incontro si è sviluppato in una tavola rotonda in cui i dati emersi nella prima parte sono stati sostanzialmente confermati e correlati.
Le conclusioni sono state affidate a Confagricoltura che, per bocca del suo presidente Mario Guidi e del direttore generale Luigi Mastrobuono, ribadisce di avere come obiettivo prioritario “l’agricoltura 3.0, quella innovativa e smart, attenta all’ambiente e intelligente”.
 
Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, durante il suo intervento all'incontro "Rete e innovazione in agricoltura"
(Fonte foto: © Alessandro Vespa - AgroNotizie)

Secondo Confagricoltura, il percorso che deve portare i nostri agricoltori a essere più competitivi, produrre di più con un minore impatto ambientale e avere un contatto più o meno diretto con i consumatori, non può che passare attraverso l’innovazione, che non è più solo colturale e tecnica ma diviene anche culturale e tecnologica abbracciando tanto strumenti produttivi all’avanguardia, quanto la formazione e lo sviluppo di reti digitali e associative in grado di ridisegnare non solo il profilo dell’azienda, ma delle relazione interaziendali e di filiera.

Ecosostenibilità, agricoltura di precisione, energia alternativa, robotica, droni, trattori automatizzati, macchinari che "leggono" il grado di maturazione dei prodotti raccolti, sono alcuni esempi che indicano un percorso di profonda trasformazione dell’attività produttiva” ha detto Guidi ricordando come l’innovazione sommi ai vantaggi economici quelli per l’ambiente, e come sia necessario rendere il rapporto tra ricerca e agricoltura sempre più stretto, senza perdere di vista le nostre tipicità.

Superare il digital divide nel Paese, e soprattutto nelle campagne, è un problema di infrastrutture ma anche di informatizzazione. Il sistema Paese è indietro alla media europea per la velocità delle connessioni; solo il 36,3% delle abitazioni è coperta dalla banda "ultra larga", contro una media europea del 68,1%. Solo la Grecia ha una percentuale inferiore alla nostra” ha commentato Luigi Mastrobuono, che ha concluso ricordando che al digital divide strutturale e tecnologico si affianca anche quello culturale, che divide nord e sud del Paese.

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