Sulla questione dell’utilizzo del latte in polvere per i formaggi cerchiamo di non fare autogol, abbiamo in Italia consumatori molto sensibili, talvolta suggestionati da campagne di stampa che non brillano per chiarezza ed equilibrio”.
Così il professor Dario Casati, georgofilo, economista agrario e già prorettore dell’Università di Milano, interviene sulla querelle dei formaggi ottenuti con la polvere di latte.

I Magnifici Sessanta lombardi – così definisce Casati i 63 formaggi tradizionali della regione - non hanno nulla da temere, se sono fatti bene, così come nulla avranno da temere i prodotti Dop e Igp lombardi e italiani, perché avendo dei disciplinari che vietano l’utilizzo di polvere di latte, non sono affatto interessati dalla vicenda”.
Inoltre, “i disciplinari di Dop e Igp sono il canale per vietare di usare la polvere, raccomandazione utile prima di tutto a noi stessi”.

Il dato sul quale Casati invita a riflettere riguarda semmai numeri quali la diminuzione del 33,7% delle stalle da latte in Lombardia e la flessione di circa il 10% del numero di capi.

Bisogna però tenere presente che la quantità di latte prodotta è rimasta pressoché invariata – precisa – per effetto di un progresso tecnico niente affatto trascurabile e per gli investimenti operati dalle imprese, che hanno consentito una produttività maggiore. Quindi direi che serve prudenza nella lettura dei dati”.

Se poi venisse stravolta la legge 138/1974, che vieta l’uso di polvere di latte nella caseificazione, l’interpretazione dell’economista agrario invita ancora una volta a non lasciarsi trasportare dall’irrazionalità.
Se un produttore ottiene, con la tecnica casearia che conosce, un buon formaggio – afferma Casati - non è obbligato a usare la polvere di latte. È una facoltà, non un obbligo, e non possiamo sostenere che i formaggi europei, alcuni dei quali sono ottenuti con l’impiego di polvere, siano cattivi”.

Da parte di Bruxelles, ad ogni modo, l’atteggiamento tenuto finora è quello consueto. “È l’approccio classico dell’Europa – ricorda – e fu usato anche in una lunghissima serie di controversie giuridiche fra Ue e Italia in materia di pasta”.
Secondo la legge italiana è pasta solo quella ottenuta dall’utilizzo di grano duro – prosegue Casati - mentre in altri paesi era possibile produrre pasta partendo da miscele di frumento tenero e duro. L’Italia fece ricorso e lo perse, ma il risultato fu paradossale”.
In altre parole, “nonostante la possibilità di produrre anche in Italia pasta mescolando grano tenero e duro, il consumatore italiano rimase fedele alla pasta di grano duro e all’estero, sulla scia delle produzioni made in Italy a base esclusivamente di grano duro, i consumatori si orientarono verso il modello italiano. Per l’industria italiana della pastificazione fu un successo, con conseguente incremento di export”.

Un caso analogo a quello della pasta di grano duro è quello del cioccolato, “anche se l’interesse italiano come agricoltura è irrilevante, perché non produciamo né cacao né quei grassi coi quali il burro di cacao può essere sostituito”.
Per non nuocere ai paesi esportatori di cacao – spiega Casati - si stabilì di inserire nella norma comunitaria la possibilità di introdurre una piccola percentuale di materia miscelata, purché il grasso vegetale, definito con la consueta meticolosità pedante che caratterizza l’Unione europea, provenisse dallo stesso paese di produzione del cacao”.
E così, ricorda il prorettore emerito dell’Università di Milano, “chi lavorava il cioccolato con le miscele ha continuato a farlo, mentre la cioccolateria italiana ha continuato a farsi vanto di non utilizzarle”.

Tornando al lattiero caseario, “non dimentichiamoci che l’Italia ha bisogno di importare materia prima come il latte e già oggi importa cagliate, paste filate e semilavorati per fare formaggi, che non sono quelli tipici”.
Insomma, “non mi sembra che la vicenda sia così grave”, taglia corto Casati.

In chiusura, la stoccata finale. “Comunque sia – conclude - queste cose non sono sorprese, ma arrivano da mesi, se non anni di discussione. Nessuno impone niente, si raggiunge un accordo al Comitato speciale dell’agricoltura. E noi scopriamo adesso questa cosa? Mi lasci fare una battuta che a qualcuno non piacerà: forse qualcuno in Italia non era scontento della possibilità di fare formaggi con la polvere di latte”.