A richiesta di questi lettori, l'autore propone una disamina del contenuto dell'articolo in questione e quindi l'analisi critica della validità delle metodologie Weende e Nirs, il tutto corredato da esempi pratici e riferimenti bibliografici.
I testi riportati in caratteri inclinati sono tratti dal testo originale, così come apparivano il giorno 30/12/2018.
La base teorica più avanzata che sottende alla valutazione ed alla previsione dell'efficienza biologica dei processi degradativi della materia organica è il metodo Weender ampliato di Van Soest, che combina ed elabora moltissime variabili.
Il metodo basilare di analisi della digeribilità dei mangimi si chiama "Weende", più noto come "crude fiber method". È stato inventato nel 1864 da Henneburg e Stohmann (Fonte: A Biochemical Method for Determining Indigestible Residue (Crude Fiber) in Feces: Lignin, Cellulose, and Non-water-soluble hemicelluloses; Ray D. Williams, W. H. Olmsted, department of Internal medicine, Washington University School of Medicine, 1934).
Il metodo Van Soest è più accurato di quello Weende, ma non è "il più avanzato" e nemmeno una novità (The chemistry and estimation of fibre, Van Soest, P.J. and McQueen, R.W., Proc. Nutr. Soc., 1973, vol. 32, p 123-130).
Entrambi i metodi si basano sulla determinazione della frazione "difficilmente degradabile" (cellulosa) e "non degradabile" (lignina) di un foraggio, assumendo che la differenza fra tali misurazioni sia il valore nutrizionale netto per l'animale. Dunque, il metodo non elabora "moltissime variabili".
Attualmente sono stati sviluppati metodi ancora più accurati del classico Van Soest: si veda Alimentazione di precisione per le bovine da latte. Ad ogni modo, l'applicazione ad un impianto di biogas di un metodo che è stato sviluppato per la valutazione dei mangimi è sbagliata, perché i processi di degradazione della biomassa nell'apparato digerente di un animale sono sostanzialmente diversi da quelli che si verificano all'interno di un digestore anaerobico. Basti pensare alle tempistiche: 24-48 ore per il passaggio attraverso l'apparato digerente di un animale, contro trenta o più giorni di permanenza in un digestore anaerobico.
Dati indicativi come la sostanza secca e la sostanza organica secca sono superati ed hanno lasciato il posto all'indicatore pFOM (materia organica potenzialmente fermentescibile). Il valore pFOM definisce ciò che può essere effettivamente fermentato in modo efficace escludendo la parte non fermentabile (lignina, componenti di proteine grezze e fibre come la cellulosa ed emicellulosa) e calcola l'autoconsumo della massa batterica.
La prima affermazione ci appare parzialmente vera nel caso dell'analisi dei foraggi: i ruminanti digeriscono la cellulosa mentre i monogastrici no, quindi il concetto di "potenzialmente fermentescibile" è relativo alla specie animale. Possiamo sicuramente spacciare come falsa tale affermazione nel caso specifico della digestione anaerobica. Inoltre, il lessico tecnico utilizzato, "sostanza organica secca", è impreciso: in italiano il termine corretto è "solidi volatili" (SV, norma UNI 10458:2011, definizione 3.65) e volatile solids nella letteratura scientifica. La denominazione in questione è una traduzione letterale dal tedesco "organische Trockenmasse", appunto "sostanza secca organica", per differenziarla dalla "sostanza secca", che include anche la frazione minerale nota come "ceneri".
Oltre all'importanza della proprietà di linguaggio, obbligatoria per un testo che si suppone sia indirizzato ad un pubblico tecnico, va segnalato che i SV sono strettamente correlati al Bmp (Biochemical methane potential, potenziale metanigeno) e costituiscono un indicatore fondamentale in tutte le norme applicabili alle biomasse per digestione anaerobica. Quindi la loro misurazione è comunque imprescindibile ai sensi di norma per la corretta gestione dell'impianto e non si possono considerare "un indicatore superato": sono semplicemente uno degli indicatori necessari per la corretta analisi del processo. Il resto della frase è falso. La cellulosa è degradabile al 100% in un digestore anaerobico, al punto che viene raccomandata come substrato di riferimento nella norma UNI/TS 11703:2018 (si veda il testo ufficiale della norma, oppure il riassunto pubblicato in questa colonna).
Per quanto riguarda le proteine grezze, la loro digeribilità dipende dalla razza dell'animale: un cane digerirà meglio le proteine di origine animale rispetto alle proteine della soia. Nel caso di nostro interesse, le proteine sono perfettamente digeribili dai batteri anaerobici, a prescindere dalla loro origine, con valori di Bmp che rondano i 450 Nm3/ton SV (metri cubi normali per tonnellata di solidi volatili). La prova concreta della perfetta digeribilità delle proteine grezze da parte dei batteri, è la lunga lista di impianti di biogas autorizzati dal ministero della Salute a funzionare con resti di macellazione (Soa, Sottoprodotti di origine animale in burocratese): leggi l'elenco degli stabilimenti di sottoprodotti di origine animale.
Infine, "l'autoconsumo della biomassa batterica" si misura con una prova biologica calcolando la differenza fra i solidi volatili totali iniziali e finali della biomassa batterica, detta "inoculo". Tale differenza rappresenta la frazione di materia organica digeribile che però non è diventata biogas, bensì contribuisce ad accrescere la popolazione di batteri vivi. Quindi il finale del paragrafo apparentemente contraddice la sua prima riga.
Oggi è inoltre possibile identificare il tempo di fermentazione corrispondente (kd) di ogni singolo prodotto insieme alla razione totale di alimentazione.
Una semplice prova di Bmp, realizzabile anche con strumentazione autocostruita e molta pazienza (Foto 1), sin dai tempi di Louis Pasteur consente a chiunque di misurare la costante di tempo di digestione, la cui importanza è stata però molto esagerata dalla "letteratura". L'insistenza sul fattore kd sembra essere più legata a spinte di marketing di alcuni gruppi di ricercatori che a questioni pratiche: trattasi di uno dei parametri del "modello matematico della digestione anaerobica n. 1" proposto dall'Iwa (International water association) e consultabile in questo link, al quale crede - come se fosse il Vangelo - una fetta della comunità scientifica, sostanzialmente gli studenti e i relatori delle loro tesi di laurea sull'argomento.
Diversa è la situazione di chi deve risolvere i problemi reali degli impianti e non può permettersi di affidare la produttività a dogmi puramente teorici. Un modello matematico statico non consente di gestire un sistema in permanente cambiamento, come accade nei digestori di impianti alimentati con diete di sottoprodotti, inevitabilmente variabili nel tempo, come vedremo in seguito con alcuni esempi. La soluzione della questione richiede dati concreti, misurati nel posto mediante prove biologiche, realizzate nelle effettive condizioni dell'impianto.
Foto 1: Sistema autocostruito per la misurazione del Bmp
(Fonte foto: cortesia del sig. Gianluca Bergamaschi, azienda agricola Valsesia)
Collegando il valore pFOM con i dati Nirs (analisi ad infrarossi eseguita con spettroscopia nel vicino infrarosso) è quindi possibile ottimizzare la ricetta di alimentazione in modo biologico, tecnico ed economico; è quindi possibile prevedere eventuali criticità ed anticipare contromisure prima del manifestarsi del problema.
Tralasciando la questione della redazione un po' sgrammaticata, è importante concentrarsi sulla veridicità dell'affermazione. Trattasi di una falsità perché è basata su presupposti falsi. In pratica, è impossibile prevedere la resa di metano di un substrato solo in base ad analisi chimiche come il pFOM, la cui applicazione è definita, tra l'altro, da norme (Tabella 1) il cui unico scopo è il calcolo delle razioni dei mangimi. Non è tecnicamente corretto applicare norme al di fuori dal loro scopo dichiarato. La ragione di tale scelta sbagliata è, probabilmente, la forte influenza che la norma tedesca VDI 4630 ha nel mondo del biogas europeo. La VDI 4630 ammette la misurazione del Bmp di una biomassa mediante analisi chimiche e l'applicazione di una formula teorica, e contiene altri vizi logici e procedurali sui quali l'autore si è già espresso: Focus critico sulla norma VDI4630 - I Parte e II Parte.
Esistendo una norma italiana più moderna, completa e semplice di quella tedesca, sarebbe auspicabile che venisse rispettata da tutti coloro che intendono operare nel territorio nazionale.
Tabella 1: Riassunto delle norme per la misurazione del valore nutrizionale dei foraggi
(Clicca sull'immagine per ingrandirla)
(Fonte tabella: Foss Analytics)
Per la gestione dei dati è necessaria una banca dati dinamica che comprenda tutti i parametri dei substrati, tra cui TS, NDF, ADF, Lignina, ADL, zucchero, proteine, grassi, amidi etc.; questo permette non soltanto di avere un controllo dell'alimentazione, ma anche di elaborare la combinazione corretta dei substrati per ottenere una resa ottimale del biogas ed evitare problemi biologici e/o di accumulo nei digestori, il che ridurrebbe il volume fermentativo utile. Grazie all'utilizzo di un software specifico è possibile analizzare la degradazione dei substrati sia singolarmente che in relazione tra loro, la produzione di energia, l'autoconsumo di batteri, la disponibilità per la produzione di energia e molto altro ancora.
È necessario avere valori sempre aggiornati, monitorare in modo delocalizzato l'andamento dell'impianto e di inserire dati e parametri ottenuti manualmente o automaticamente con l'ausilio di strumenti come il Nirs.
I fautori del metodo sostengono che mediante un software, alimentato da una serie di dati numerici ricavati da prove non-biologiche, sia possibile addirittura diagnosticare i problemi biologici e prevedere la riduzione del volume dei digestori per accumulo di sedimenti o massa galleggiante. Ebbene, tale approccio ha una profonda radice culturale nella "letteratura" centroeuropea, che cerca di ricondurre il funzionamento di un impianto di biogas all'applicazione di poche tabelle e all'arrogante pretesa di alcuni accademici d'Oltralpe di sostenere che metodi applicati con successo - autoreferenziato - in Germania siano applicabili universalmente.
Un altro vizio logico, tipico della cultura tedesca del biogas, traspare nel paragrafo sopra riportato: Trattasi del riferimento alla "resa ottimale di biogas", anziché alla "resa ottimale di metano". Chiunque abbia gestito un impianto di digestione sa bene che il tenore di metano è variabile, quindi la supposizione che aumentare la resa di biogas comporti un aumento proporzionale della produzione energetica è falsa: spesso l'aumento della produzione di biogas lordo comporta un abbassamento del tenore di metano.
Vediamo alcuni casi, verificati sperimentalmente dall'autore in impianti di biogas italiani e spagnoli, per i quali le tabelle e i modelli matematici "da letteratura" non avevano la minima validità:
- L'applicazione del metodo Fos/Tac, tipico esempio della gestione con tabelle, è inaffidabile. Si veda Ridimensionando l'importanza del test Fos/Tac.
- Il risultato di una prova condotta su un medesimo campione di cellulosa, substrato puro, e dal Bmp perfettamente noto, con inoculi provenienti da due impianti di digestione diversi, si discostò del 20% in termini di Bmp effettivamente misurato e anche in termini di coefficienti kd, questi ultimi diversi da quello atteso mediante l'utilizzo dei modelli matematici. In ultima analisi, possiamo tranquillamente affermare che la composizione chimica del substrato, misurata con il Nirs ed i metodi Weende o Van Soest, non è un parametro affidabile nel calcolo della resa di metano. Quest'ultima dipende da un insieme di fattori biologici, meccanici (granulometria e agitazione) e la dinamica della degradazione di un substrato. Si veda L'unità di silomais equivalente, Use, ed il sillogismo aristotelico.
- Il Bmp risultante dalla miscela, di due o più matrici agricole, può essere maggiore o minore del valore atteso, in base alle "banche dati". Si vedano gli esempi in: 2 + 2 non fa sempre 4 negli impianti di biogas.
- Alcuni substrati, definiti dalla norma VDI 4630 come "100% digeribili" possono esserlo in alcuni impianti, ma possono anche risultare fatali in altri. Si vedano gli esempi in Mitologia e folklore sul Bmp di morchia e sansa, e in La glicerina, un sottoprodotto energetico da consumare con cautela.
Conclusioni
Sintetizzando si può affermare che l'ottimizzazione biologica di un impianto di biogas dipende da:
- una solida ed aggiornata competenza teorica,
- l'esistenza di ampie banche dati
- l'utilizzo di strumenti di analisi ed elaborazione di ultima generazione.
Non entreremo in valutazioni sulla convenienza o meno di affidare a laboratori esterni i servizi di assistenza biologica degli impianti di biogas, poiché riguarda criteri di scelta puramente soggettivi. Senza nulla togliere ai professionisti che offrono tali servizi, l'autore segnala quanto ha riscontrato nella pratica, durante dieci anni di attività: chiunque può gestire da solo un impianto di biogas, basta un minimo di competenza teorica e attitudine ad imparare.
La strumentazione non deve necessariamente essere hi tech, basta che sia adeguata alla tipologia delle biomasse e alle dimensioni dell'impianto (si veda L'autogestione biologica degli impianti di biogas), ma soprattutto che le sue caratteristiche metrologiche siano note.
Gli ingredienti principali per la proficua gestione dell'impianto di biogas, che sfuggono alla maggioranza degli operatori commerciali e accademici, sono solo due:
- una mente aperta e libera da pregiudizi per interpretare obiettivamente i risultati delle prove biologiche, senza tentare di forzare la realtà biologica a combaciare con un algoritmo predefinito o con i risultati pubblicati nella "letteratura";
- una serie di virtù - disciplina, attenzione e costanza - funzionali a realizzare prove attendibili di digestione. Fondamentale è seguire alla perfezione i protocolli prestabiliti dalle norme corrispondenti, valutando sempre il margine di errore della prova e tutta l'informazione che forniscono le curve di produzione di metano.