Regatec, un congresso annuale organizzato da Renewable Energy Technology International AB (Renewtec AB) e dall'Institute for Biogas, Waste Management & Energy, è ormai considerato il punto di riferimento per l’industria europea della digestione anaerobica e della gassificazione delle biomasse. L’edizione del 2015 si è celebrata a Barcellona, il 6 e 7 maggio, con un programma di conferenze molto denso. Vediamo brevemente quali sono le principali novità e le tendenze nello sviluppo tecnologico e industriale delle bioenergie.

La situazione nel mondo
Secondo Shunichi Nakada, della Irea, International renewable energy agency, il biogas (e in senso generale le biomasse) è la risorsa cardine per raddoppiare la quota di energia rinnovabile nel mix energetico mondiale entro il 2030. A livello globale, le biomasse rappresentano l’80% dell’energia rinnovabile consumata nel mondo, essendo il 50% utilizzato in modo “tradizionale” (per la cottura di cibi ed il riscaldamento) e in genere con sistemi di bassa efficienza energetica in Paesi in via di sviluppo. Il 28% del biogas prodotto nel mondo appartiene alla Cina, seguita da Germania e Stati Uniti, entrambe con il 22%, il Regno Unito con 6%, l’Italia 4% ed il rimanente 12% è ripartito fra il resto dei Paesi. 
Per quanto riguarda il livello tecnologico, la Irea segnala che in Cina gli impianti sono tendenzialmente di piccola, o piccolissima, taglia, principalmente costruiti per soddisfare i fabbisogni alla scala domestica, mentre nel resto del mondo la tendenza è opposta: gli impianti sono di grande taglia e dedicati alla produzione industriale di elettricità e biometano. Nel 2010, il numero di piccoli impianti di biogas per uso domestico arrivava a 40 milioni di unità, distribuiti tra Cina, India e altri paesi in via di sviluppo.

Le tendenze della ricerca in ambito digestione anaerobica
Meno della la metà delle tematiche discusse si concentrano sulla digestione anaerobica, con particolare attenzione alle nuove tecniche di upgrading del biogas in biometano, e qualche vecchia tecnica “riscoperta”, come ad esempio l’utilizzo della cenere come alcali forte, economico, per assorbire la CO2 sotto forma di carbonati, da utilizzare poi come concime chimico. La maggior parte dei paper presentati, però, non riguardava i processi biologici bensì gli aspetti di purificazione del biogas e la metrologia del biometano per la sua iniezione in rete. Solo due presentazioni trattavano i processi avanzati di fermentazione anaerobica: la conversione bioelettrochimica dell’ammonio in energia elettrica e l’upgrade biologico del biogas. Quest’ultimo viene realizzato utilizzando la CO2 (contenuta nel biogas) e l’H2, prodotto grazie agli eccedenti della generazione fotovoltaica o eolica, i quali vengono poi convertiti in CH4 per via idrogenotrofica. La metanizzazione idrogenotrofa utilizzando H2 proveniente da un generatore esterno non è una idea del tutto nuova (testata in passato pure dall’autore di questo articolo), ma la tecnica perfezionata da un gruppo di ricerca inglese, secondo la nostra opinione è stata l’idea più elegante fra quelle presentate, in quanto risolve, allo stesso tempo e in modo assolutamente naturale, il problema dell’accumulo di energia, solare ed eolica, e quello della produzione economica di un vettore energetico ottimo per rimpiazzare il petrolio. La ditta Carbotech, (gruppo Viessmann) ha proposto invece un approccio “power to methane” basato sulla produzione di metano sintetico a partire da CO2, proveniente dalla combustione di biomasse o di biogas, la quale viene fatta reagire con H2, prodotto mediante idrolisi dell’acqua utilizzando all’uopo gli eccedenti di energia solare o eolica. I due processi possibili per raggiungere questo scopo sono: il processo Sabatier, noto sin dal 1902, il quale rappresenta la classica soluzione di “forza bruta tecnologica” basata su reazioni catalitiche, tipica dell’era industriale, oppure la metanogenesi idrogenotrofica, opzione scelta dalla Carbotech per il suo impianto pilota ad Allendorf.

Le tendenze nella ricerca sull’utilizzo delle biomasse lignocellulosiche
Gli sforzi nei Paesi che hanno abbracciato questa tecnologia (Germania e Scandinavia) sembrano concentrarsi sulla produzione dell’ossimorico “gas naturale sintetico”. In pratica, si tratta di sistemi che rivaleggiano per la loro complessità e molto più simili a impianti petrolchimici che a installazioni agricole. Gli sforzi di ricerca si concentrano sulla riduzione della percentuale di “tar” o catrame, ricorrendo alla gassificazione nelle più ingegnose varianti: dai gassificatori a letto fluidizzato con aria a pressione quasi atmosferica a quelli utilizzanti ossigeno puro in reattori ad alta pressione (40 bar secondo uno dei progetti presentati), oppure focalizzando gli sforzi sull’utilizzo dei più svariati catalizzatori per la reazione di “shifting”, cioè la reazione fra H2 O e CO per produrre CH4 e CO2. La Svezia ha già un impianto “pre-commerciale” da 20 Mw (termici) a Götheborg, caratterizzato da un approccio “cogenerativo”, cioè produzione congiunta di biometano per autotrazione e di calore per il teleriscaldamento, con la possibilità di produrre anche elettricità in futuro. I piani della Götheborg Energi mirano a costruire un altro impianto, tra 80 a 100 MW di potenza, con la stessa tecnologia e non appena l’attuale pilota si sarà ripagato l’investimento, probabilmente entro il 2020. Nell’altra sponda del Baltico, gli obiettivi del governo danese sono molto ambiziosi: non utilizzare più carburanti fossili a partire dal 2050. Di conseguenza è stato varato il progetto Synferon, condotto dal Danish Gas Technology Center, il quale intende utilizzare le biomasse lignocellulosiche con un approccio ibrido, cioè producendo una parte del biometano mediante gassificazione e successivo “reforming” del syngas, e un’altra parte mediante fermentazione anaerobica dell’acido acetico formatosi come sottoprodotto della gassificazione.

I problemi burocratici e culturali
La delegazione del Brasile ha presentato un quadro abbastanza simile a quello che si osserva in Italia, caratterizzato da sprechi assurdi in nome di una “economia di scala” degli impianti industriali (biogas bruciato nelle torce nelle discariche e centrali di trattamento di acque fognarie, vinacce ed altri reflui organici versati nei corsi d’acqua senza pretrattamento) e lungaggini nei progetti, queste ultime risultanti da un quadro normativo nazionale latitante o incompleto. Il colosso latinoamericano ha un mercato potenziale del biogas, estraibile da un mix di discariche, da impianti di trattamento di fanghi fognari, da sottoprodotti agroenergetici (come ad es. le vinacce dalla produzione di bioetanolo e la glicerina dalla produzione di biodiesel) e da scarti agricoli, per un totale di 50 milioni di Nm3/giorno, valutati in 5 miliardi di dollari all’anno in base ai prezzi attuali delle importazioni di gas naturale dalla Bolivia. E’, dunque, molto probabile che i primati di Cina, Usa e Germania nel mercato mondiale dei Paesi produttori di biometano si vedrà stravolto dall’entrata in campo del Brasile, il quale sembra non voler accontentarsi di comprare impianti chiavi in mano, ma di avere una certa ambizione di diventare sviluppatore e esportatore di tecnologia di digestione anaerobica.

Le applicazioni innovative e i futuri mercati  delle bioenergie
Tra le oltre 30 sessioni poster, la Sustainable Technologies ha presentato un nuovo tipo di digestore, sviluppato nell’ambito del progetto di ricerca H2Ocean (www.h2ocean-project.eu) con fondi del 7º Programma Quadro, finanziato dall’Unione europea per il 70% dei costi. Per la prima volta viene proposta la codigestione offshore, dei reflui e dei rifiuti solidi delle navi di linea (da crociera e da trasporto merci) e della biomassa residua generata negli allevamenti ittici (come ad es. i pesci morti durante il ciclo di crescita e le alghe che crescono sulle strutture galleggianti). La tecnologia sviluppata dall’azienda di Barcellona consiste in un innovativo digestore -adatto al funzionamento in ambiente marino- e in un semplice sistema di upgrading del biogas a ciclo aperto, utilizzando appunto l’acqua di mare come assorbente della CO2 in uno scrubber convenzionale, senza rigenerazione. Il biometano così prodotto andrebbe utilizzato come co-combustibile nei motori Diesel dei battelli, a servizio dell’allevamento di pesci, o dei pescherecci operanti nell’area. Si otterrebbero così due benefici ambientali: la riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera -causate dalle attività di pesca e piscicoltura- e il dimezzamento del carico inquinante organico, versato in mare dagli allevamenti di pesce e dalle navi di linea.

Le tecnologie già disponibili commercialmente
Durante il convegno sono stati presentati anche diversi prodotti già disponibili sul mercato.
Il fabbricante spagnolo di veicoli, Seat (Gruppo Volkswagen), ha proposto una serie di veicoli adatti al funzionamento bifuel, cioè indistintamente a benzina e gas naturale, o a biometano. La svedese Bioprocess Control Ab ha presentato gli ultimi strumenti da laboratorio per l’ottimizzazione dei processi di digestione anaerobica. L’inglese Carbo Clean Solutions ha presentato un’interessante tecnologia per l’upgrading del biogas basata sullo scrubbing chimico mediante un solvente altamente selettivo, e soprattutto atossico, il quale consente di risparmiare fino al 46% di energia nel processo di purificazione del biogas e di ottenere metano puro al 99,9%.