I capi di Stato e di Governo hanno approvato il 23 ottobre l'accordo sul pacchetto clima-energia 2030. Prevista una riduzione obbligatoria di almeno il 40% di emissioni Co2 rispetto al 1990, che verrà ripartito fra i diversi Paesi Ue in obiettivi nazionali; almeno il 27% di consumo di energia da rinnovabili vincolante ma solo a livello Ue; un indicativo 27% di aumento dell'efficienza energetica. Per quanto riguarda la riduzione di Co2 ci si affida soprattutto al mercato europeo delle emissioni (Ets) e a nuove misure in settori finora non coperti come agricoltura, trasporti ed edilizia.
Inoltre viene proposto anche un obiettivo minimo del 10% entro il 2020 - 15% entro il 2030 - di interconnessioni della rete elettrica rispetto alla produzione installata, da realizzare al più presto tramite misure urgenti.

L'Italia frena sulle misure agricole. In una lettera indirizzata al presidente uscente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina invita alla prudenza: “L'agricoltura europea può far parte della soluzione per il cambiamento climatico. Tuttavia non dovremmo andare troppo in fretta, perché gli obiettivi troppo ambiziosi possono fare più male che bene". Secondo Martina "i costi per gli agricoltori non devono essere superiori al guadagno che raggiungerebbero per il cambiamento climatico, e le specificità del settore agricolo, tra cui il suo basso potenziale di attenuazione, dovrebbero essere adeguatamente presi in considerazione".

La bocciatura degli ambientalisti europei. Secondo le principali associazioni ambientaliste europee, il compromesso raggiunto dai 28 leader nazionali costituisce “un accordo al ribasso".
"La lotta contro i cambiamenti globali ha bisogno di un trattamento choc, ma quello che l'Ue sta offrendo è al massimo un'annusata di sali" commenta Mahi Sideridou, direttore di Greenpeace Ue che, come le altre associazioni, punta i dito sia sulle percentuali target che sulla volontarietà di alcune misure. Per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di Co2, inoltre, secondo Wwf Europaabbiamo solo un target del 31%" di riduzione come risultato dei complessi meccanismi previsti dal pacchetto”. Dura anche Friends of the Earth Europe: "Descrivere il 40% come un obiettivo adeguato o ambizioso è pericolosamente irresponsabile". Pollice verso anche da parte dell'European Environmental Bureau (Eeb), per il quale si tratta di “un risultato minimalista, una delusione per i cittadini europei che avevano sperato in un'azione responsabile da parte dei loro governi”.

La delusione dell'industria delle rinnovabili. L'accordo raggiunto dal Consiglio europeo raccoglie anche le critiche delle associazioni di categoria dei produttori di energia pulita. La Federazione europea delle rinnovabili (Eref) si dice “molto delusa” dell'obiettivo del fatto che l'obiettivo dell'aumento del 27 per cento dell'efficienza energetica non sia obbligatorio e che i 27 per cento di aumento delle rinnovabili lo sia solamente a livello europeo e non per tutti i Paesi membri. L'Associazione europea dell'energia eolica (Ewea) parla di “occasione persa”, mentre i rappresentanti della geotermica (Egec), del solare (Estif) e delle biomasse (Aebiom) parlano di “fallimento nel fissare un quadro normativo adeguato”. Unici produttori a dirsi soddisfatti sono quelli dei biodiesel (Ebb) che, in rappresentanza del 75 per cento della produzione europea di biocarburanti, che vedono “una prospettiva a lungo termine che promuove l'utilizzo di questi biocarburanti dopo il 2020”.

Adesso la parola passa al Parlamento europeo. L'accordo preso tra i capi di Stato e di Governo deve essere approvato dal Parlamento europeo, dove il pacchetto non avrà vita facile. I socialisti dell'italiano Gianni Pittella promettono battaglia: "Il compromesso del Consiglio è un punto di partenza. Facciamo di più”, promette. Più dura Monica Frassoni, coordinatrice di Green Italia e copresidente del Partito Verde Europeo, che chiede a Parlamento europeo e Commissione Ue di "non accettare" questa decisione e proporre invece "un pacchetto davvero ambizioso". Laconico Guy Verhofstadt dei liberali: “Gli Stati membri hanno posto le loro priorità nazionali a breve termine prima degli interessi europei".