Narra il mito che Sisifo, figlio di Eolo e fondatore della città di Corinto, per aver osato sfidare gli dei fu condannato da Zeus a spingere per l’eternità un enorme masso dalla base alla cima di un monte. Ogni volta che avesse raggiunto la cima, il masso sarebbe rotolato di nuovo alla base del monte.
Devono sentirsi un po’ come Sisifo le imprese italiane che hanno l’ardire di aspirare a essere competitive sui nuovi mercati mondiali, se è vero che in Italia servono 19 giorni per smaltire la burocrazia necessaria a esportare via nave un prodotto agroalimentare (che per inciso dopo poco meno di tre settimane di attesa ha spesso ben poco di fresco e dell’eccellenza di cui ci piace tanto vantarci), contro i 9 giorni necessari in Germania e i dieci di Francia e Spagna.

Questo ed altro è quanto emerge da uno studio Nomisma per Agrinsieme presentato in anteprima dal coordinamento agricolo durante la Conferenza stampa, tenutasi ieri 14 ottobre, che anticipa la Prima Conferenza economica di Agrinsieme, in programma a Roma il 18 novembre presso l’Auditorium della Conciliazione.

Dai primi dati presentati si delinea il quadro di un sistema agroalimentare che, in quanto a competitività, fa acqua da tutte le parti, soffocato dalla burocrazia e da costi fuori controllo, ma anche da una tendenza all’ipotrofia delle imprese che non consente un adeguato approccio ai mercati esteri.

Nonostante questo, in un Paese che soffre del sesto anno consecutivo di crisi, agricoltura e agroalimentare sembrano essere quelli che se la passano meglio, almeno stando a quanto è emerso nel corso dell'incontro di ieri: "L'unico settore che in questi anni di crisi ha tenuto è l'agroalimentare. Al contrario del manifatturiero e tessile o costruzioni, agricoltura e industria alimentare hanno mantenuto positivo il trend, con valori tra +4% e +7%, rappresentando il 9% del Pil e il 14% degli occupati".

La sfida che abbiamo di fronte è quella della globalizzazione - ha affermato il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi - che non si vince certo con un modello di agricoltura conservativa e ferma al passato, come quella del km 0. Dobbiamo uscire dai nostri confini e anche da quelli europei, che sono ormai diventati mercati domestici, sostanzialmente fermi. Dobbiamo internazionalizzarci. E per fare questo è necessario puntare su imprese che abbiano una valenza economica e su politiche che abbiano come obiettivi il mercato, la crescita, l’occupazione e la sostenibilità”.

Secondo le organizzazioni che compongono Agrinsieme (Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative italiane) si rende quindi necessario rivalutare un'intera filosofia che da anni condiziona il settore nel settore, che oggi si trova a fare i conti con un contesto di mercato complesso, tra una riduzione dei consumi alimentari interni del 12% rispetto al 2007 e rilevanti potenzialità da cogliere su mercati esteri in continua espansione. In questo quadro l’export agroalimentare italiano, seppur in continua crescita (+85% nell’ultimo decennio) rappresenta ancora solo il 20% del fatturato totale dell’industria alimentare, contro il 27% della Francia e il 34% della Germania.

L’agroalimentare italiano ha bisogno di più aggregazione - ha dichiarato il presidente dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari Giorgio Mercuri - perché l’elevata frammentazione del tessuto produttivo costituisce ancora oggi un serio ostacolo alla competitività del nostro sistema. Se facciamo un confronto con altri paesi produttori europei vediamo che il fatturato medio delle imprese agroalimentari italiane è meno della metà di quello tedesco e inferiore anche a quello di Francia e Spagna”. Verità apparentemente lapalissiana, ma che si scontra con una realtà che vede negli ultimi anni una crescita dell’associazionismo nel nostro Paese pari a zero.

Pur in presenza di numerosi ostacoli economici, dal ‘credit crunch’ alla burocrazia elefantiaca, le imprese agricole dimostrano di essere attive e vitali, garantendo produttività e lavoro in assoluta controtendenza - ha spiegato il presidente della Cia, Dino Scanavino - ma è chiaro che bisogna fare un passo in avanti: per questo chiediamo alle istituzioni di investire sul serio sull’agricoltura, dopo averla lasciata per anni in un angolo”.

Il disinteresse della politica verso il mondo agricolo è emerso più che mai all'indomani della presentazione della legge di stabilità, quando tutte le associazioni presenti hanno dovuto ammettere di brancolare nel buio sui contenuti del testo che riguardano l’agroalimentare. E' invece fondamentale instaurare un dialogo tra mondo politico e mondo agricolo, in modo da poter investire seriamente su un comparto particolare come quello agricolo previa consultazione con chi lo vive quotidianamente.

Cosa si propone di essere, date le premesse, la Conferenza economica di Agrinsieme? Un momento di incontro, riflessione e di confronto tra i diversi stakeholder della filiera sui cambiamenti di scenario vissuti dal mercato e dal comparto negli ultimi anni, sulle problematiche del sistema agroalimentare e sulla necessità di interventi per la sostenibilità e lo sviluppo delle imprese. Tutta la conferenza sarà focalizzata su una domanda: il nostro sistema agroalimentare è adeguato?
Poiché la risposta si profila come negativa, gli organizzatori si propongono di farne anche l’occasione per individuare nuove possibili linee di sviluppo per il settore agroalimentare, in un’ottica di sistema-Paese, per avviare un ragionamento serio di politica economica su quelli che sono i veri punti di forza da cui ripartire.

È evidente che rimane da verificare se ai buoni propositi seguiranno effetti concreti, ma è altrettanto chiaro che, accettate per valide le premesse, un ripensamento e una ristrutturazione generale di tutta la filiera agroalimentare (che non può non comprende anche l’agricoltura) diviene indispensabile se non si vuole continuare a lasciare le nostre imprese a svuotare il mare dei mercati esteri con il cucchiaio di infrastrutture obsolete, burocrazia kafkiana e chiacchiere da campagna elettorale.