Vi è un’associazione di risonanza globale che non si fida dei monitoraggi ufficiali dell’ortofrutta e si prende la briga di campionare e analizzare in proprio 126 campioni di mele, raccolti in 23 catene diverse di supermercati in 11 Paesi europei. Ed è un trionfo: dal monitoraggio si evince infatti che il 100% dei campioni è risultato conforme ai requisiti di legge in materia di residui. Essendo questi ampiamente cautelativi dal punto di vista tossicologico, l’associazione ha perciò dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che la salute dei consumatori è del tutto al sicuro.
 
Quando però l’associazione si chiama Greenpeace, un monitoraggio al cento per cento rassicurante può essere trasformato in uno al cento per cento allarmante. E la cosa viene pure rilanciata da numerosi quotidiani.
Per esempio, su “La Repubblica”, notoriamente ospitale nei confronti di Greenpeace, Slow Food e altre associazioni anti-pesticidi e anti-Ogm, appare un articolo in cui si riporta l’evento, aprendo però con un incipit che lascia perplessi se si capisce un filo di residui e di tossicologia: “Una mela al giorno leva il medico di torno. Oppure, nel caso contenga pesticidi pericolosi, il medico ce lo fa chiamare di corsa”.

Da giornalista comprendo le esigenze del collega e gli faccio i complimenti per il sottile gioco di contrapposizione fra salute e malattia. Perché se non si mette un incipit accattivante, si rischia di catturare solo parzialmente l’attenzione dei lettori. Anch’io del resto ricorro spesso a fantasia e provocazione per aprire i miei articoli. Solo che lo faccio confinando la mia creatività al contenuto oggettivo che poi verrà narrato dal mio pezzo.
 
Per tale ragione, le corse dal medico le avrei personalmente lasciate a favole di Walt Disney come Biancaneve, emblematica vittima di mele avvelenate da una brutta strega. Va bene il mestiere, va bene la creatività, ma la seconda parte di quell’incipit descrive uno scenario che nulla ha a che vedere con la realtà dei fatti, perché miliardi di mele vengono mangiate ogni anno e mai nessuno è dovuto correre dal medico per questo. Anzi: di solito ci finiscono quelli che di ortofrutta ne mangiano poca, ma questo, chissà perché, lo ricordano in pochi.
La salute, si sa, fa poca notizia.

Il quotidiano si fa però parzialmente “perdonare” riportando anche nel sommario, oltre che in fondo al pezzo, la replica di Agrofarma, la quale ha perciò avuto l’opportunità di ricordare gli esiti positivi dei monitoraggi ministeriali italiani, ribadendo la totale sicurezza dell’ortofrutta nazionale.
 
Tornando però al monitoraggio in questione, siamo onesti, ricordiamoci che si sta parlando di Greenpeace, la quale deve pur trovare qualche argomento per giustificare la propria esistenza.
Anzi, considerato il mancato scoop, il “Mondo mela” dovrebbe quasi ringraziare gli attivisti verdi. Peccato che questa sia già la seconda volta in poco tempo che la melicoltura viene messa al centro delle manovre dell’associazione.
È infatti di poco tempo fa un’analoga campagna di monitoraggio sulla presenza di sostanze attive nel terreno di diversi meleti europei, seguita anche allora da un pezzo sul già citato “La Repubblica”.
Anche in questo caso si potrebbe parlare di tutto tranne che di scoop, perché presenza non implica di per sé esposizione, né tanto meno rischio, ambientale o sanitario che sia. Questi due concetti, esposizione e rischio, sono infatti i grandi assenti ogni qual volta esca un comunicato ecologista con il palese intento di far passare gli agricoltori come avvelenatori di ambiente e consumatori.
Melicoltori in testa.
 
Più che i numeri, sarà quindi bene analizzare le modalità comunicative adottate da Greenpeace al fine di trarne un’utile lezione per il futuro. La lobby ambientalista – gli va riconosciuto – è infatti una vera e propria macchina da guerra, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione e leggendo l’articolo sulle mele se ne trovano molteplici riprove. Per esempio, solo all’inizio del pezzo si tira la prevedibile volata al biologico, salvo poi omettere l’uso di questo termine nel prosieguo del pezzo. Si parla infatti di “pratiche di coltivazione sostenibili” (si trova anche la variante “ecologiche”). Oppure si citano “tecniche che non necessitano di pesticidi”.

Nel primo caso, sarà bene comunicare a Greenpeace che ormai da vent’anni la Lotta integrata e guidata opera esattamente nel senso della sostenibilità delle produzioni agricole, quindi se lo desiderano possiamo tenere loro qualche lezione di aggiornamento su quanto fatto nelle ultime due decadi da tecnici, normatori e industrie produttrici.

Sul secondo punto, invece, ci si rende disponibili noi a prendere lezioni da loro su pratiche agricole a noi evidentemente sconosciute. Sarebbe infatti meraviglioso apprendere da Greenpeace l’arte di salvare le mele dalla ticchiolatura o la vite dalla peronospora senza necessitare di appositi fungicidi. Perché noi lo sappiamo bene che alcuni Ogm, o altre recenti invenzioni del biotech, possono resistere ai parassiti e alle patologie senza aiuto della chimica, ma si dubita seriamente che Greenpeace alludesse a questi. Se però così fosse, li si invita perfino con maggior gioia, al fine di stappare insieme qualche ottima bottiglia e suggellare finalmente la pace in tema di genetiche innovative. Attendiamo quindi di essere illuminati in tal senso, tenendo le bottiglie in fresco per scaramanzia.
Ma andiamo oltre, analizzando le azioni e le tattiche dei sagaci eco-strateghi.

 
Le mele richiedono numerosi trattamenti per giungere sane e integre alla raccolta. Che non se ne spaventino i consumatori, né tanto meno se ne vergognino melicoltori e supermercati
(© d-hatch - Morguefile)
 

Il target dell’attacco

Ovviamente, ad avere il bersaglio stampato sulla schiena è la chimica agraria, ma gli interlocutori chiamati in causa questa volta sono stranamente altri. Si scavalcano infatti a piè pari i produttori di mezzi tecnici e di mele e si chiede direttamente ai supermercati di “abbandonare l’uso di pesticidi pericolosi”, come se fossero loro a produrre fisicamente l’ortofrutta dopo averla pure trattata.
Il messaggio, cioè, si rivolge prettamente alla Gdo.

Una mossa alquanto abile, gli va riconosciuto, perché Greenpeace sa bene di non avere alcun potere diretto su industrie e produttori agricoli, mentre un potere enorme ce l’hanno i supermercati, i quali sono clienti dei produttori stessi che a loro volta sono clienti delle industrie di agrofarmaci. Per colpire queste ultime appare quindi molto più efficace chiamare in causa chi può battere i pugni sul tavolo e imporre ai produttori di fornire solo ortofrutta a residui zero. Come se certe pretese di alcune Gdo non fossero già oggi abbastanza discutibili nella sostanza, sebbene si comprenda benissimo le ragioni d’immagine e di marketing che stanno alla base di tali gratuite intransigenze in tema di fitoiatria.
In altre parole, come nel famoso antistress dalle palline d’acciaio, si colpisce la prima sfera per far schizzare via l’ultima. Geniale, ammettiamolo.
 

Storia maestra di vita

A questo punto, però, prima di giungere alle logiche conclusioni di questo articolo si deve abbandonare temporaneamente l’agricoltura per ricordare quanto insegna la storia. Le crociate per liberare la Terra Santa spesso risultavano vincenti non tanto per la potenza bellica dei Crociati in sé, peraltro agguerriti, quanto per la divisione fra i diversi sceicchi che venivano di volta in volta affrontati dai guerrieri cristiani(1). Omar e Yussuf facevano infatti gli gnorri quando i Crociati attaccavano Abdul, pensando che starsene in disparte fosse la tattica vincente, anche perché l’idea di schierarsi al fianco di uno sceicco sotto attacco appariva loro imbarazzante per via delle secolari rivalità che li avevano spesso divisi. E Yussuf, dopo la caduta di Abdul, magari se la rideva pure nel vedere attaccare e sconfiggere il rivale Omar, salvo poi essere a sua volta attaccato e sconfitto.
Se invece Omar e Yussuf avessero capito che dopo Abdul sarebbe toccato a loro, avrebbero unito le forze e avrebbero rispedito i Crociati a ringhiare, frustrati, al di là del Bosforo.
 

Basta divisioni

Miei buoni Omar-produttori-di-mele e cari Yussuf-supermercati che le vendete, se non capite che Abdul-Agrofarma è solo il primo, perché dopo tocca a voi, allora i Crociati faranno bene a dettare la Legge del più forte e a venire a comandare perfino in casa vostra, espugnandovi uno dopo l’altro grazie alla dominanza assoluta mostrata sui media rispetto alle flebili voci dei prevedibili comunicati stampa, siano essi dei produttori o di Agrofarma.
Invece da voi supermercati, ben più potenti quando parlate, solo silenzi. Quei silenzi che vi ostinate a tenere, facendo spesso i pesci in barile e sperando di potervela cavare semplicemente defilandovi ogni qual volta venga attaccata la fitoiatria. Fitoiatria dalla quale - non giochiamo a nascondino che siamo ormai grandicelli - ricavate voi per primi innegabili vantaggi. Perché senza agrofarmaci, niente ortofrutta da vendere. Per lo meno nelle quantità e nelle qualità che voi pretendete nei vostri capitolati.
Si capisce bene che se i consumi si spostano sul biologico per voi è molto meglio dal punto di vista dei volumi e dei margini commerciali. Ma mica v'illuderete di poter convertire a biologico il 90% di ciò che oggi vendete, vero?

Quindi palesatevi, dite qualcosa. Fate qualcosa. Perché, vedete, evitare di andarsi a cercare problemi non può evitare che i problemi vengano a cercare voi. E non so se lo avete notato, ma nel report di Greenpeace a essere citati come venditori di prodotti “contaminati”, questa volta siete stati voi. Ora i casi sono due: o scendete in campo e difendete la verità dei fatti, oppure potete come al solito ribaltare sui produttori agricoli l’onere di accondiscendere alle istanze ambientaliste, imponendo arbitrariamente livelli di residui assurdi, magari zero. Ma in tal caso vi avviso: fra vent’anni i metodi analitici saranno in grado di rilevare perfino tracce “omeopatiche” di residui.
Vi è cioè la possibilità che presto la percentuale di campioni esenti da residui cali fino ad annullarsi. Come pure lieviteranno per la medesima ragione anche i campioni multiresiduo. E dubito che i vostri direttori acquisti abbiano voglia di lucidare le mele una a una con le proprie cravatte per rendere quei frutti coerenti con le loro stesse imprudenti e miopi pretese.

Quindi sappiatelo: in fondo al vicolo cieco in cui Greenpeace sta infilando tutti noi, c’è un muro che aspetta anche voi. E c’è un solo modo per evitarlo: non farvi incanalare come pecore in un periglioso budello senza sbocchi, illudendosi che correndo più veloci degli altri vi salverete. Al contrario, più forte correrete, più forte sarà la facciata finale che darete.
Viceversa, il primo di voi che sceglierà di aprire un canale trasparente di comunicazione col resto del Mondo in materia di residui e agrofarmaci, traccerà una via che gli altri potranno percorrere solo da secondi. E a nessuno di voi, mi risulta, piace arrivare secondo.
 
E voi produttori di mele non svicolate mentre parlo alla Gdo.
Perché anche voi sul tema "pesticidi" - oltre a mandare qualche comunicato sempre reattivo e mai proattivo - non è che vi siate mai sbattuti molto nel tempo per aiutare la fitoiatria a sbufalare le accuse capziose di avvelenare ambiente e cittadini. Con costanza e continuità, intendo, non "on-demand" a caso ormai scoppiato.
La tattica del "vai avanti tu che a me scappa da ridere", però e come vedete, non funziona più. Ed è per giunta abbastanza curioso che a difendere le vostre mele, in quanto frutti sani e sicuri, sia scesa in campo Agrofarma. Cioè proprio quell'associazione al fianco della quale avete sempre avuto molta riluttanza a mostrarvi, perché - siate sinceri - non vi è mai piaciuta l'idea che i consumatori abbinassero gli agrofarmaci ai vostri meleti. Un po' come illudersi di passare inosservati vestendosi di nero perché c'è buio, salvo essere i primi a essere beccati non appena qualcuno accenda la luce. E questa volta il dito sull'interruttore è quello di Greenpeace, mica cotiche.

Difendere la propria merce facendo singoli comunicati a buoi scappati, ognuno a modo suo e usando terminologie tecniche di difficile comprensione al grande pubblico? Lasciamo perdere. Graffiano meno di un gatto di pelouche e danno solo l'impressione che, in fondo, qualcosa da temere pur ce lo si abbia.

No, la soluzione è un'altra: cari Melinda e/o Marlene; cara Assomela e cari supermercati, non sarà forse giunto il momento di salire tutti insieme su un palco, magari al fianco delle associazioni di consumatori, per chiarire  una volta per tutte la questione e dire la verità sulle mele e sulla loro completa sicurezza? Ognuno ovviamente per ciò che gli compete: la Gdo raccontando i propri controlli rigorosi a tutela dei clienti. I produttori spiegando l’importanza delle tecniche agronomiche nel minimizzare l’uso di agrofarmaci, pur nel rispetto della domanda di cibo della società moderna.
Infine Agrofarma, aggiornando i consumatori sulle abissali differenze che intercorrono fra i prodotti mediamente applicati oggi e quelli del passato. E magari, perché no, su quel palco mica sfigurerebbe neppure il Ministero, il quale produce ogni anno monitoraggi capillari e affidabili, i quali pare ora siano scavalcabili mediaticamente da 126 campioni di mele raccolti da un’associazione ambientalista in vena di fare San Tommaso. E magari ciò potrebbe di per sé andare pure bene, basti ricordare analoghe iniziative come per esempio quella di Altroconsumo, oppure quella de Le Iene. In tal caso si davano però messaggi ben diversi da quelli di Greenpeace in materia di sicurezza dei cibi e sui falsi miti delle agricolture “alternative”. L’importante è ricordarsi che un’associazione resta pur sempre un’associazione. Le Autorità pubbliche, magari, sono un’altra cosa.
 
Rompete quindi ogni opportunistico indugio, abbandonate ogni attendismo. E saliteci su quel palco, maledizione. Perché noi, voi – tutti, ma proprio tutti – abbiamo una sola Terra Santa da difendere dalle scorribande dei Crociati.
Ed è quella coltivata.
 
(1) Amin Maalouf (1989): “Le crociate viste dagli arabi”. Edizioni SEI