L’hanno sempre chiamata “agricoltura celeste”, ma di paradisiaco non c’è nulla. Anzi. La risicoltura italiana, oltre 216mila ettari confinati per il 92% in quel Nord che va dal Vercellese a Isola della Scala, nella Bassa veronese, è in ginocchio.

“Quasi un’azienda su cinque ha chiuso i battenti”, ricorda la Coldiretti, che in una gara a chi scende per prima in piazza ha portato migliaia di agricoltori a manifestare a Milano e a Venezia, trovando alleati nei governatori Roberto Maroni e Luca Zaia e negli assessori alla partita, il pirotecnico Gianni Fava e il collega Franco Manzato, ma anche nel ministro delle Politiche agricole Martina. A Torino, inoltre, è stato presentato un vero e proprio “Dossier riso”.

Colpa del trattato internazionale Everything but Arms (Tutto tranne le armi), che avrebbe favorito l’insediamento delle multinazionali nei Paesi del Sud Est asiatico. Con la conseguenza che l’invasione del riso made in Cambogia (ma anche Myanmar e altri Paesi dell’area) a dazio zero, inesorabilmente ha messo in ginocchio il mercato. A soffrirne, in modo particolare, le imprese risicole italiane, che non possono giocarsi alcuna carta con i costi produttivi della zona asiatica. Eccetto quella della sicurezza alimentare, aspetto non meno importante, che vede il prodotto italiano di gran lunga superiore rispetto a quello asiatico.
In questi primi sei mesi dell’anno, il Sistema di allerta rapido europeo (Rasff), in particolare, ha segnalato - con cadenza settimanale - riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati e l’assenza di certificazioni sanitarie. Senza dimenticare che l’import di riso dall’Asia ha segnato nel primo trimestre del 2014 un boom del 754 per cento.

Ferme le richieste di Coldiretti, per bocca del presidente nazionale Roberto Moncalvo. “Chiediamo l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza del riso in vendita, che vengano resi pubblici i nomi delle industrie che utilizzano riso straniero, l’applicazione della clausola di salvaguarda nei confronti delle importazioni incontrollate, ma anche l’istituzione di una unica borsa merci e la rivisitazione dell'attività di promozione dell’Ente Nazionale Risi”.
Il ministro Martina la definisce “una battaglia giusta”, quella dei risicoltori italiani. “Primi in Europa – afferma il ministro - abbiamo posto anche formalmente la questione alla Commissione europea. E stiamo lavorando con il ministero dello Sviluppo economico e con l’Ente Nazionale Risi a un documento che valuti le effettive conseguenze negative sul settore, in termini di margini economici per le imprese e di tenuta dell’intero comparto risicolo italiano ed europeo. Abbiamo intenzione di sensibilizzare al massimo la Commissione su questa vicenda che richiede in tempi brevi un riscontro rapido ed efficace per salvaguardare il settore”.

Non perde tempo Regione Lombardia, che ha incontrato una delegazione guidata dal numero uno di Coldiretti Lombardia, Ettore Prandini, appena nominato vicepresidente nazionale. “Sono al fianco dei nostri risicoltori, e di Coldiretti, nella loro protesta contro Bruxelles e nella loro battaglia contro l’assurda scelta di lasciare libera circolazione, senza dazio, alle produzioni asiatiche prive di ogni tracciabilità – spiega il governatore della Lombardia, Roberto Maroni -. La Lombardia, tramite l’assessore all’Agricoltura Gianni Fava, farà sentire la sua voce a Bruxelles, per chiedere l’introduzione della clausola di salvaguardia e di tutelare i produttori di riso della Lombardia, e del Nord, contro le importazioni a dazio zero dai Paesi del Sud Est asiatico”.

Dal canto suo, Gianni Fava ha già sollecitato il collega Fabrizio Nardoni, “affinché venga posto all’ordine del giorno della prossima Conferenza delle Regioni il tema della crisi del riso, coltura espressione di territori che vantano una lunga tradizione che non possono essere minacciate da importazioni selvagge”.
Soddisfatto il presidente Prandini, che parla di obiettivo raggiunto. “Con il presidio di oggi volevamo dare un segnale forte alle istituzioni e ci siamo riusciti, perché abbiamo ottenuto le risposte che volevamo”.

Anche il presidente del Veneto, Luca Zaia, si schiera al fianco dei risicoltori. “Aderisco con tutta la forza e la convinzione possibili alla protesta della Coldiretti contro l’ennesimo attentato alla tipicità dei prodotti agricoli e contro la scellerata libera circolazione, addirittura senza dazio, di produzioni asiatiche prive di qualsiasi tracciabilità, che rappresentano un grave problema di qualità e di incognita, anche dal punto di vista della salute”.

Non è finita. Anche Confagricoltura e Cia manifesteranno contro quello che hanno definito un “lento strangolamento del settore”. Oggetto delle proteste, per l’intera settimana da oggi a venerdì 18, le principali borse merci nelle province risicole del nord: oggi a Novara, domani a Vercelli e Milano, mercoledì a Pavia e venerdì a Mortara. Contrattazioni bloccate per richiamare l’attenzione sulla crisi del riso.
“Senza le opportune difese da attuare alle frontiere nei confronti di un prodotto che proviene da agricolture con costi di produzione non comparabili a quelli europei, la risicoltura italiana rischia di essere fortemente compromessa, mettendo a rischio un territorio che non potrebbe essere riconvertito ad altre colture – rende noto Germano Patrucco, responsabile della Cia a Casale Monferrato (Alessandria) -. Tutto questo comporterebbe gravi ripercussioni sul tessuto economico e occupazionale della provincia. Inoltre, una risicoltura ridimensionata coinvolgerebbe anche l’attività dei Consorzi irrigui, in quanto i risicoltori non avrebbero più interesse a mantenere quella rete che finora ha salvaguardato il territorio da dissesti idrogeologici e alluvioni”.

Confagricoltura pone l’accento sui listini. “A causa della concorrenza del riso cambogiano – scrive in una nota Palazzo della Valle - i prezzi di mercato delle varietà italiane di riso Lungo B (indica) sono scesi dai 26 euro al quintale dello scorso febbraio, agli attuali 22 euro, livello che ormai non copre neppure i costi di produzione”.