Colpire la ricchezza illecitamente accumulata da parte di chi sfrutta i lavoratori. E' questo l'obiettivo degli interventi normativi del Governo presentati lo scorso venerdì 4 settembre dai ministri Martina e Orlando. L'efficacia delle misure va a rafforzare gli strumenti già attualmente disponibili in base alla disciplina delle misure di prevenzione personali patrimoniali e ad aggiungersi alle azioni di contrasto al caporalato messe in campo nei mesi scorsi e potenziati nelle ultime settimane. Una piaga antica e inaccettabile, quella dello sfruttamento del lavoro nero, che il Governo ha intenzione di combattere come la criminalità organizzata. 

"La lotta al caporalato è una nostra priorità assoluta - ha dichiarato il ministro Martina - le azioni che stiamo impostando non hanno precedenti e danno il segno concreto del salto di qualità che vogliamo imprimere a questa battaglia. Il rafforzamento delle norme penali, in particolare legate alla confisca dei patrimoni, sono cruciali. Così come essenziale è l'introduzione di uno strumento d'indennizzo e sostegno alla vittime. Ricordo che lo strumento innovativo della "Rete del lavoro agricolo di qualità" è operativo dal 1° settembre. E giovedì prossimo all'Inps si riunirà di nuovo la Cabina di regia della Rete che abbiamo fortemente voluto con il ministro del Lavoro Poletti per definire il piano d'azione oltre l'emergenza. Oggi con il ministro Orlando compiamo un passo decisivo. Nel frattempo ogni giorno si intensificano i controlli sul campo, con risultati significativi, in particolare nelle aree più esposte al fenomeno".

Le linee di intervento proposte possono essere sintetizzate così:

1) Confisca
Si rende obbligatoria - per una maggiore incisività repressiva - la confisca del prodotto o del profitto del reato, oltre che delle cose utilizzate per la sua realizzazione, in modo che la decisione sulla destinazione di questi beni non sia più affidata alla valutazione discrezionale del giudice, caso per caso (come è attualmente secondo l'articolo 240 del codice penale). In questa prospettiva, pertanto, nel caso di condanna il giudice ordinerà sempre la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato (a titolo esemplificativo, i mezzi utilizzati per accompagnare i lavoratori sul luogo di lavoro, gli immobili destinati ad accoglierli per la notte) come pure delle cose che ne costituiscono il prodotto o il profitto. Si eseguirà inoltre l'applicazione della confisca per equivalente su altri beni di cui il condannato abbia la disponibilità, per il caso in cui non sia possibile attuare quella in forma diretta. Può accadere che, al momento della condanna e prima, al momento del sequestro finalizzato alla futura confisca, non si sia nelle condizioni di rintracciare lo specifico profitto o prodotto del reato, oppure le specifiche cose che sono servite alla sua commissione. Magari perché l'imputato le ha saputo bene occultare, o perché nel frattempo sono andate disperse, consumate e riutilizzate. La confisca, in tutti questi casi, non può essere paralizzata dalla mancanza di oggetto, dal momento che il nucleo di pericolosità che occorre contrastare risiede proprio nell'illecita ricchezza che la commissione del reato ha determinato in favore del patrimonio del suo autore. Si deve allora agire su beni, del valore equivalente, che siano ovviamente nella disponibilità del reo, in modo da inibire qualunque forma elusiva della futura confisca e di assicurare in ogni caso la neutralizzazione della pericolosità che si estrinseca con la commissione del reato.

2) Intermediazione illecita
Si aggiunge anche il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all'articolo art. 603 bis c.p. all'elenco dei reati per i quali può operare la confisca cosiddetta estesa o allargata. Questa misura patrimoniale è stata introdotta per colpire le grandi ricchezze illecitamente accumulate, anche per interposta persona, dalla criminalità organizzata e la sua applicazione non è subordinata all'accertamento di un "nesso" tra i reati enunciati nella norma di riferimento e i beni oggetto del provvedimento di confisca. Ne consegue che non è necessaria la sussistenza del "nesso di pertinenzialità" tra beni e reati contestati bensì è sufficiente provare la sproporzione del bene rispetto al reddito o all'attività economica svolta dal soggetto e la mancanza di giustificazione circa la sua legittima provenienza. 

3) Responsabilità in solido
Si ritiene importante aggiungere il reato di caporalato (di cui all'articolo 603 bis c.p.) tra quelli per i quali si determina la responsabilità amministrativa da reato da parte degli enti. Lo sfruttamento dei lavoratori produce infatti quasi sempre vantaggio per le aziende, che spesso sono costituite in forma societaria o associativa: accanto alla responsabilità individuale dei singoli soggetti autori del reato, è quindi fondamentale prevedere specifiche sanzioni (pecuniarie, interdittive e di confisca) anche a carico dell'ente medesimo, quando risulta accertato che il reato sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.

4) Indennizzo alle vittime
Nell'ambito della predisposizione del disegno di legge per dare attuazione alla direttiva europea 2004/80/Ce circa l'indennizzo in favore delle vittime di delitti intenzionali violenti, di prossima elaborazione, si programma di inserire il reato di c.d. caporalato nell'elenco di quelli per cui si debba riconoscersi il diritto della vittima all'indennizzo a carico dello Stato.

Soddisfatto delle nuove misure di contrasto al caporalato è il presidente della Cia, Confederazione italiana agricoltori, Dino Scanavino, che commenta così: “Il rifiuto del lavoro nero e del caporalato sono due dei principi cardine che guidano la nostra azione sindacale. Le eccellenze della nostra agricoltura devono essere legate non solo alla qualità ma anche alla dignità del lavoro e della vita delle persone impegnate”.

Il numero uno dell'organizzazione agricola, aggiunge inoltre che per contrastare il fenomeno sono necessarie azioni positive e di sostegno nei confronti della maggioranza delle aziende agricole “sane” (quale la recente operatività della rete del lavoro agricolo di qualità o, più in generale, gli incentivi alle assunzioni e la semplificazione amministrativa) e un reale cambiamento, ormai da troppo tempo solo annunciato, dell’attuale sistema di vigilanza sul lavoro.

"C’è una riforma nel cassetto del governo dei servizi ispettivi che ad ora inspiegabilmente non vede la luce - ha aggiunto Scanavino -. Sarebbe utile che andasse in porto ma senza illudersi che anche in questo caso una legge possa cambiare comportamenti e mentalità profondamente radicate. Ciò che deve cambiare, e che chiediamo come Cia, è un approccio ispettivo completamente nuovo e diverso da quello attuale, che passi ad un sistema di vigilanza che dia priorità alle violazioni sostanziali rispetto a quelle formali, che non sia percepito dalle aziende come vessatorio, che sia coordinato, razionalizzato, più efficiente nei confronti delle reali situazioni di violazione, più fiducioso nei confronti di tutto il resto di un settore che, tra mille difficoltà, apporta valore, lavoro, qualità".