Siamo fra primi al mondo per formaggi a denominazione di origine. Ne contiamo 50, cinque in più della Francia che pure in questo settore vanta una non trascurabile tradizione. Un “giacimento” agroalimentare che non ha eguali, fatto esclusivamente con latte italiano. Eppure gli allevatori sono in profonda crisi. Il prezzo del latte non ripaga nemmeno i costi di produzione.
Una situazione che dovrebbe dare grandi vantaggi alle industrie lattiere, artefici della mirabile trasformazione di questo latte in formaggi straordinari. Eppure anche loro sono in sofferenza. Lo dicono i numeri, quelli resi noti a Milano il 15 giugno in occasione dell'assemblea annuale di Assolatte, l'associazione che riunisce la gran parte delle aziende lattiero casearie italiane.

Giù i consumi
Fra i punti dolenti il calo dei consumi. Nel 2015, ha evidenziato il presidente di Assolatte, Giuseppe Ambrosi, gli italiani hanno comprato meno latte, yogurt e formaggi. Il calo nel consumo di latte fresco assomma a 28milioni di litri, l'8% in meno. Numeri analoghi per il latte a lunga conservazione (-5%), mentre per i formaggi il calo si ferma ad un meno 2,3%.
Molte le variabili che si possono riconoscere in questa flessione dei consumi, dalle vicende economiche ai nuovi stili alimentari, sospinti a volte da allarmismi e informazioni distorte che coinvolgono i prodotti di origine animale e il latte fra questi.

Corsa alle innovazioni
A frenare la caduta dei consumi non è bastata la spinta che le industrie del latte hanno impresso alle nuove proposte alimentari. Fra queste i prodotti senza lattosio, i formaggi ottenuti con caglio vegetale, i latticini con poco sale o le nuove “formule” che esaltano piacevolezza e gusto. In questi segmenti i consumi sono aumentati, ma anche qui, come per i prodotti tradizionali, il settore paga i maggiori costi che derivano da una filiera del latte poco competitiva e di una burocrazia complicata.

Export, grande speranza
Su un comparto già fragile per questa serie di fattori ecco poi arrivare, con la fine del regime delle quote latte, un aumento della produzione di latte che non riesce a trovare sbocco sul mercato. Un fenomeno che ha coinvolto quasi tutti i Paesi della Ue, compresa l'Italia che anche nei primi mesi di quest'anno registra un incremento del 7%.
Unica via “di fuga” resta l'export, sul quale si sono concentrati gli sforzi delle industrie del settore. Le esportazioni di formaggi hanno così raggiunto nel 2015 il record di 363mila tonnellate, il 10,3% in più rispetto all'anno precedente. Un record che potrebbe essere superato a conclusione di questo 2016 che già nei primi tre mesi ha segnato un +8,9% rispetto allo stesso periodo del 2015.



Gli altri fanno meglio di noi
E' dal 2009 che la nostra bilancia dei pagamenti, in tema di formaggi, presenta risultati positivi. Ma non ci si può accontentare. Impietoso il confronto con la Germania, che pur potendo contare su meno di dieci formaggi a denominazione, riesce ad esportare oltre un milione di tonnellate di formaggi, tre volte la quantità esportata dall'Italia.
Ci supera anche l'Olanda con le sue 763mila tonnellate e la Francia che arriva a 681mila. Per migliorare i nostri risultati sui mercati esteri molto potranno fare, oltre all'impegno delle industrie, le iniziative a livello nazionale e comunitario. Fra queste le trattative per concludere gli accordi commerciali fra Ue e Usa contenuti nel Ttip, in discussione da alcuni mesi.

Questione di prezzo
Dall'evoluzione dei mercati internazionali dipendono in larga misura le sorti del prezzo del latte sul mercato interno e in ultima analisi il destino dei nostri allevamenti, da tempo nella morsa della crisi. E' di questi giorni l'aumento del prezzo del latte spot, quello commercializzato fuori contratto. Le ultime rilevazioni sulla piazza di Lodi indicano quotazioni di 27,25 centesimi al litro, il 4,8% in più rispetto al periodo precedente.
Il confronto con l'anno scorso parla ancora di un meno 18,7%. Peraltro in questo periodo la curva del prezzo punta sempre verso l'alto, dunque è presto per parlare di un'inversione di tendenza. Che potrebbe comunque arrivare dall'effetto combinato di un incremento dei consumi (si spera nella campagna promozionale promossa dal Mipaaf) e da maggiori flussi di export. Ne potrebbero beneficiare tutti, allevatori e industrie.