Fosse accaduto in Italia non avrebbe suscitato altrettanta indignazione. Ma servire a un suddito di sua Maestà Elisabetta II una porzione di lasagne alla carne di cavallo, non poteva che scatenare un dramma collettivo. Perché il cavallo in Gran Bretagna è più di un animale da compagnia, un compagno di svaghi e un amico. Il paragone, alle nostre latitudini, con un cane o un altro animale da affezione non regge nemmeno il confronto. Ecco il perché di tanto scandalo, tanto più che l’etichetta delle lasagne incriminate non faceva nessun cenno alla componente equina. Per scoprirlo ci sono volute indagini ed esami di laboratorio. Dunque una frode come tante altre o forse un errore, non per questo scusabile.

 

La “giostra” degli scambi

Ma nell’andare alla ricerca delle motivazioni si è scoperto che la carne di cavallo per arrivare nelle lasagne ha preso un giro davvero contorto. Proviamo a riassumerlo. La carne di cavallo è partita da una società nel Nord Est della Francia, che a sua volta era rifornita da una società del Sud della Francia. Ma quest'ultima aveva acquistato la carne congelata da Cipro, proveniente da un subappalto di una società olandese i cui rifornimenti partivano dalla Romania.

Una girandola di passaggi che ripropone la necessità di indicare in etichetta la provenienza delle carni. Sia che si tratti di prodotti trasformati, sia di carni tal quali. L’Italia si è lungamente battuta in Europa per avere una legge che desse trasparenza alle etichette. Ma Bruxelles è rimasta sorda agli appelli. Ora lo scandalo delle lasagne ripropone il problema. Lo conferma anche Efsa, l'ente europeo per la sicurezza alimentare, che si è affrettata a specificare che la presenza di carne di cavallo non comporta rischi di carattere sanitario, ma solleva solo un problema di falsa etichettatura. Falsa l'etichetta e pure fuorviante il nome della preparazione, lasagna, che richiama alla mente un piatto tipicamente italiano, cosa che ha fatto insorgere Coldiretti, che ha ribadito a gran voce il grave danno di immagine provocato all'Italia. Mentre Cia ha tuonato contro la lentezza europea nell’affrontare il problema della tracciabilità dei prodotti alimentari.

 

Le lobby contro

Che sullo sfondo rimanga la forte difficoltà della legislazione europea nel dare trasparenza agli scambi commerciali lo dimostra l'aver convocato in tutta fretta, il 13 febbraio, un vertice informale dei ministri agricoli per discutere delle frodi nei prodotti a base di carne. Fra le proposte quella di procedere con una serie di test (4000 da qui alla fine di marzo) per verificare che non ci siano altri casi di false carni di bovino che girano fra i Paesi della Ue. Finiti i test che si farà? Nulla di più, tutto tornerà come prima. Pronti ad altre frodi e ad altri test, per di più costosi, visto che occorre tracciare il Dna delle carni. Era invece l’occasione buona per ridiscutere le decisioni in tema di etichette trasparenti, dove evidenziare anche la provenienza della carne, ma di questo non si è parlato. A fine mese ci sarà un altro vertice, questa volta formale, dei ministri agricoli della Ue. Potrebbe essere la sede giusta per tornare a parlare di etichettatura e di provenienza delle carni e dei prodotti a base di carne. Ma saranno già al lavoro, c'è da scommetterci, le lobby che si oppongono a questa proposta, invisa soprattutto alle industrie di trasformazione. Sino ad oggi la partita è stata a loro vantaggio. Per una svolta basterà un piatto di lasagne tarocco? C'è da dubitarne.