Primo no: Einstein non avrebbe mai detto che all’Umanità resterebbero quattro soli anni in caso di estinzione delle api. Secondo no: in Cina non hanno dovuto impollinare a mano perché avevano estinto le api. No: i "pesticidi" non sono la causa principale di morte. E terzo no: le api non si stanno estinguendo. Semmai, si aggiunge, sono gli impollinatori selvatici a patire di una pressione le cui cause sarebbero molteplici e ancora da soppesare oculatamente, inclusa la competizione delle api allevate, anziché trovare facili colpevoli come accade con la chimica agraria.

Questo e molto altro nell’esposizione di André Fougeroux: entomologo, membro corrispondente dell’Académie d’Agriculture de France, insegnante associato all’Università Paris Sud Saclay nonché apicoltore dilettante. Una conferenza molto corposa in cui l’entomologo francese affronta e decostruisce alcuni dei più diffusi preconcetti che aleggiano in tema di api.

Per chi ha tempo e capisce il francese, può ascoltare per intero la conferenza di André Fougeroux:
 

Per chi invece ama le sintesi e preferisce leggere un testo in italiano: potete trovare la traduzione di Alberto Guidorzi per come è stata pubblicata su AgrarianScience.
 

Per chi infine ama le pillole

1) Le api non stanno scomparendo. Al contrario, secondo i dati Fao, nel mondo a partire dal 1960 al 2009 le popolazioni di api domestiche sarebbero aumentate del 45%. Dato che salirebbe al 65% nel 2014, grazie agli aumenti di colonie soprattutto in Asia e Africa. In Europa si segnala stabilità fino agli anni ‘90, poi vi è stata una caduta sensibile (la spiegazione nella conferenza) seguita da una prosecuzione stabile: tra il 2005 e il 2010 le colonie sarebbero cresciute da 22,5 a 24,1 milioni.

2) L’alimentazione mondiale, espressa in valore economico, è tributaria dell’impollinazione entomofila per il 35%, il resto usa altri meccanismi per produrre parti eduli. Le api non sono i soli insetti pronubi e solo il 10% circa di tale valore dipenderebbe da loro.

3) Il trasporto di polline a favore delle essenze a impollinazione entomofila è dovuto per il 90% agli insetti, il 9% a vento e acqua e 1% ad altri animali.

4) Le piante coltivate che hanno bisogno delle api per fruttificare sono le seguenti: colza (25%), girasole (20%), frutta (65-95%), soia (25%), produzione di sementi (95%), fagioli (5%).

5) Le 12 colture che forniscono circa il 90% del cibo mondiale sono riso, grano, mais, sorgo, miglio, segale, orzo, patate, patate dolci, manioca, banane e noci di cocco. Sono impollinate dal vento o autoimpollinate, oppure si propagano agamicamente o si sviluppano senza necessità di fecondazione sfruttando la partenocarpia. In Francia solo il 15% (2,4 milioni di ha) della superficie agricola ha bisogno delle api (ndt). Peraltro non mancherebbero pane, pasta, risotti, polenta, patate fritte o arrosto, olio, vino, uva, formaggi, carni, latte, burro, uova, pollame, salumi. Ecco perché anche se fossero vere la fake news sulla "Beepocalypse" l'umanità non si estinguerebbe (nda). 

6) In Francia il prezzo del miele all’ingrosso è di circa 5 €/kg mentre il miele cinese costa solo 1,5 €/kg. Ovvie le difficoltà degli apicoltori europei a contrastare economicamente i prodotti esteri.

7) La produzione mondiale di miele è variata dalle 750mila tonnellate del 1961 a 1,5 milioni di tonnellate attuali, di cui la Cina ne produce 400mila (quindi l'impollinazione manuale dei fruttiferi dovuta all'estinzione delle api è una notizia falsa).

8) Patologie e parassiti sono le cause maggioritarie di morte negli alveari. Un’indagine del 2013 svolta in Francia su 98 fenomeni denunciati di mortalità acuta, ha evidenziato come in 75 situazioni le mortalità fossero dovute a cause sanitarie o a pratiche apicole non conformi. Delle restanti 23, in 18 non si è stabilita una causa preponderante di causa-effetto e solo 5 mostravano che la causa era ascrivibile ai pesticidi. All’analisi vennero però rinvenuti fipronil (2 casi), proibito in agricoltura, Tau-fluvalinate, Cypermethrine e cyflutrine, sostanze sì usate in agricoltura, ma anche in apicoltura: il primo di questi insetticidi è infatti utilizzato contro la varroa. Nel 2014 un’analoga indagine ha dato risultati simili.

9) Lo studio francese (Inra e Acta), riportato anche da una puntata della trasmissione Presa Diretta su Rai3: i ricercatori dotarono le api bottinatrici di congegni elettronici di reperimento, somministrando loro una dose di neonicotinoidi pari a 1,34 ng/ape, rilasciandole poi a varie distanze dall’alveare, fino a un chilometro. In seguito, contarono quante di esse ritornavano all’alveare. Il risultato fu che le api non ritornavano all’alveare da un 10% (se rilasciate a 500 metri) a un 30% (se rilasciate ad un chilometro). L’Anses, acronimo di Agence nationale de sécurité sanitaire de l’alimentation, de l’environnement et du travail, ha però ripetuto la prova rilasciando le api in prossimità di campi di colza seminato o meno con seme conciato con neonicotinoidi, cioè riproducendo le condizioni reali di esposizione alle molecole. In tal caso, non solo non si ripeterono i risultati della prova dell’Inra, bensì si riscontrarono più api operaie quando le api bottinatrici erano rilasciate vicino ad un campo di colza trattato che non quando erano rilasciate vicino ad un campo non trattato. Non fu notata alcuna differenza di mortalità e di produzione di miele tra api che bottinavano su colza trattato oppure non trattato. Si dubita però che tali prove troveranno spazio nelle nostrane "trasmissioni di inchiesta", sempre pronte invece a diffondere notizie a senso unico.
 

Conclusioni

A quanto pare di false percezioni sulle api ne circolavano anche in passato. Non a caso, nel suo “Memoires pour servir à l'histoire des insectesRené Antoine Ferchault de Réaumur, fisico ed entomologo francese del XVIII secolo, ebbe a dire: "Il falso meraviglioso che è stato attribuito alle api sarà rimpiazzato dalla meravigliosa realtà che è stata ignorata”. Ed è con questa citazione che André Fougeroux ha concluso la propria conferenza.

Forse in un lontano futuro qualcuno guarderà ai tempi attuali con occhio diverso, magari grazie alle evidenze divenute certezze. Ma vi è da star certi che anche allora, chissà quando nel tempo, circoleranno altre storture della realtà a carico di chissà cosa. Perché, altrettanto forse, continuando di questo passo di agricoltura da attaccare in quel tempo non ve ne sarà più.

Sarà quindi ormai logora e desueta, ma resta pur sempre valida l’intimazione “Ai posteri l’ardua sentenza”.