Il vino rappresenta un pezzo di Italia. Un pezzo di economia, visto che è uno dei settori che traina l'export. Un pezzo di cultura, visto che di uva e vino è piena l'arte e le tavole degli italiani. Un pezzo di territorio, basti pensare alle colline senesi, ai terrazzamenti valdostani o alle pianure venete.
Il vino è l'Italia, eppure parlare di vino non è affatto semplice, sempre che si voglia farlo informando il pubblico in maniera corretta.

"Ad alcuni piace che il vino sia un club per pochi e per questo si trincerano dietro ad espressioni difficili e ad un lessico da iniziati. La sfida è coniugare la semplicità della comunicazione ad una correttezza scientifica dei contenuti", spiega ad AgroNotizie Vito Intini, presidente dell'Onav (Organizzazione nazionale assaggiatori vino), che a Roma ha organizzato un convegno proprio per interrogarsi sul modo migliore per parlare di vino, avvicinando gli italiani a questa bevanda che è frutto della nostra storia, ma che spesso conosciamo poco.

"Gli assaggiatori Onav devono sentire come proprio il compito di diffondere la cultura del saper bere. Inoltre con la Convi, la Consulta nazionale del vino italiano, vogliamo portare la cultura del vino nelle scuole, per insegnare ai ragazzi a conoscere il vino e a bere responsabilmente".


Se da un lato le riviste cartacee del settore sono in crisi, internet e i social network hanno la capacità di raggiungere vaste fette della popolazione. "Ma dobbiamo stare attenti, perché su internet chiunque si può improvvisare esperto", mette in guardia Daniele Cernilli, direttore de L'assaggiatore e di Doctor wine.
"Serve una comunicazione chiara, diretta e veritiera nei confronti dei consumatori. Dobbiamo sempre tenere a mente che lo scopo della comunicazione è essere utili a chi ci legge o ascolta. Se usiamo termini respingenti abbiamo fallito".

Da questo punto di vista la stampa anglosassone avrebbe molto da insegnare. Riviste come WineSpectator tirano 300mila copie al mese e adottano una comunicazione semplice, ma rigorosa.


La sfida non è banale. Sbaglia chi pensa che il vino sia una bevanda semplice. Basti pensare che tutti i vini del mondo si assomigliano al 97%, visto che sono composti da acqua e alcool. Quello che differenzia un Barolo da un Prosecco, un Canonau da uno Champagne, è solo un 3% che dà corpo e aroma al vino.

"Online, ma anche su riviste, giornali e libri si leggono in continuazione informazioni sbagliate sul vino che generano confusione e alimentano falsi miti", spiega Vincenzo Gerbi, presidente del Comitato scientifico dell'Onav. "Per questo serve che chi scrive lo faccia con cognizione di causa, approcciandosi al vino con rispetto e onestà intellettuale".

Molti produttori e comunicatori fomentano l'aura di mistero e misticismo intorno al vino, andando ad alimentare falsi miti. "Come quello che le vigne vecchie producono sempre un vino migliore. Teoria spesso vera, ma non si tratta di un dogma. Come pure il fatto che i piccoli produttori sono gli unici a fare il vino eccellente, mentre le grandi etichette non raggiungono vette alte. O il fatto che il tappo di sughero sia l'unico veramente affidabile", racconta Francesco Iacono, direttore di Arcipelago Muratori.

"Molti miti riguardano le donne. Si dice che amino i vini bianchi e dolci, ma le ricerche di mercato dicono il contrario. Si dice non siano loro a comprare il vino, ma negli Usa scelgono la bottiglia nell'83% dei casi. Si dice che il mondo del vino è maschile, ma sono molti i paesi in cui enologi e sommelier sono maggioranza donne".
 

Parlando di falsa informazione e miti, un capitolo a parte andrebbe dedicato all'origine dei vitigni.
"La leggenda che il Syrah si chiami così perché proviene dalla città di Shiraz, in Persia, è ancora forte, nonostante si sia provato che venga dall'alta valle del Rodano", racconta Anna Schneider, ricercatrice del Cnr-Ipsp.
"Come non c'è alcuna evidenza che i vitigni coltivati da greci e antichi romani siano arrivati fino ai giorni nostri, come qualcuno ci vuole fare credere".