“Grazie a strumenti come l'analisi del Dna è possibile essere certi che un Nebbiolo sia stato effettivamente fatto con dei grappoli provenienti dall'omonimo vitigno e non con un mix di uve diverse”, spiega Francesco Loreto, capo dipartimento al Cnr.
La filiera del vino è già estremamente controllata, ma ogni anno sui giornali si leggono di sequestri eseguiti dai Nas o di scandali relativi al vino sofisticato. Si tratta di un danno alla salute dei consumatori e di immagine per l'intero settore, uno dei più importanti nel panorama agroalimentare italiano.
Oltre a quella del Dna, ad Expo sono stati presentati il naso elettronico, capace di scandagliare i composti voltatili. Ma anche analisi chimiche per capire su quali terreni è cresciuto il vitigno ed infine analisi ottiche per indagare gli spettri di emissione del vino consentendo di capire quali tipi di composti sono presenti.
All'esperienza del Cnr si sono affiancate aziende private con solide competenze nel campo delle infrastrutture tecnologie, come Cisco, e nella gestione dei flussi informativi, come Penelope Spa. Aziende che hanno sviluppato sistemi biotecnologici applicati al settore agroalimentare, come Bionat Italia Srl, fino a società specializzate nella certificazione del vino, come Valoritalia.
La partnership tra queste realtà differenti ha reso possibile sviluppare metodologie diagnostiche dal prezzo abbordabile e soprattutto portatili. Certo non saranno i singoli coltivatori ad acquistare le strumentazioni, quanto ad esempio i consorzi che in questo modo potranno certificare con dati scientifici, e non solo con pezzi di carta, la genuinità del loro prodotto.
Per la maggior parte delle analisi servono appena pochi minuti, mentre per quella del Dna qualcuno in più. Basta miscelare il vino ai reagenti, inserirlo in un piccolo laboratorio portatile e nel giro di poco, attraverso una procedura guidata su un tablet, è possibile sapere quali tipologie di uve sono contenute nella bottiglia.
“Il Dna non è qualcosa che si può sofisticare - spiega ancora Loreto - Ogni vitigno lascia una sua impronta inconfondibile che passa dalla pianta al grappolo d'uva e quindi al vino. Certo il processo di fermentazione degrada questo codice che però i nostri strumenti sono comunque in grado di leggere”.
La domanda che in molti si potrebbero porre è la ragione per cui una azienda agricola dovrebbe sobbarcarsi di un costo aggiuntivo. E la risposta sta nei numeri. L'export vitivinicolo vale 5 miliardi di euro. Essere all'avanguardia nel campo della tracciabilità significa poter offrire un prodotto sicuro al mercato e in questo modo avere una marcia in più rispetto alla concorrenza.
Ma c'è dell'altro. Queste analisi sono state pensate per il vino, ma trovano applicazione anche in molti altri settori. Basta pensare a quello dell'olio, dove spesso si sente parlare di prodotti esteri spacciati come italiani oppure di extra vergini che in realtà sono oli di semi colorati con la clorofilla. Un sistema di tracciabilità dell'olio spazzerebbe via ogni dubbio sull'autenticità di una bottiglia.