Buone notizie per gli allevatori del Nord. Nulla è ancora ufficiale ma, da quanto si apprende, i rappresentanti di alcuni rilevanti sindacati agricoli e i vertici di Galbani si sarebbero incontrati un paio di volte nelle ultime settimane e avrebbero raggiunto un’intesa di massima. Il prezzo del latte, per i prossimi mesi e fino alla fine dell’anno, potrebbe dunque rispecchiare il trend rialzista del mercato e – seppure nulla sia ancora stato sottoscritto – le voci parlano di un prezzo a scalare che dai 29,5 centesimi al litro dello scorso agosto dovrebbe passare a 32 centesimi in ottobre, 33 in novembre e 34 a dicembre.

Accordo di breve durata, pertanto, che sarebbe una decisione gradita a entrambe le parti. In effetti, con la volatilità dei mercati e le incognite in chiave mondiale che comportano repentine oscillazioni, siglare accordi più lunghi potrebbe scontentare i produttori o l’industria di trasformazione. Per produttori e industria di trasformazione, in effetti, sarebbe una forma di tutela particolarmente utile, in attesa di capire quale sarà il futuro del prezzo.

I segnali di questa ultima fase indicano una ripresa a livello mondiale, dagli stati Uniti all’Italia, passando per l’Europa, dei listini. Tutto ciò sarebbe merito di una congiuntura positiva su più fronti.

In base ai dati Clal.it diminuisce la produzione lattiera in Europa (-258.000 tonnellate le consegne fra giugno 2015 e maggio 2016), registra un avanzamento positivo l’export dei prodotti Dop made in Italy (Grana Padano e Parmigiano-Reggiano +1,70% e Gorgonzola +9,88% nel periodo gennaio-giugno 2016, con una fiammata a giugno, pari al +6,9% per Grana Padano e Parmigiano-Reggiano e +13,3% per il Gorgonzola)e i listini di Lodi e Verona per il latte spot segnano rispettivamente il valore di 36,5 e 38 euro/100 chilogrammi, nella quotazione del 12 settembre scorso.

Un incremento del 4,29% e del 5,56% rispetto alle mercuriali precedenti e un trend che – se è impossibile prevedere quanto durerà o se proseguirà la propria corsa – di certo ha sensibilizzato anche l’industria alimentare che opera in Italia.
Qualcuno, in effetti, potrebbe non accontentarsi e chiedere perché, se già oggi il latte spot italiano ha raggiunto i 38 centesimi al chilogrammo, i produttori dovrebbero ricevere 34 centesimi a dicembre, a conti fatti 4 centesimi in più rispetto all’accordo raggiunto in Francia tra Lactalis e gli allevatori. La multinazionale della famiglia Besnier potrebbe mettere sul piatto qualche centesimo in più? Vediamo.
Dal quartier generale di Laval, Emmanuel Besnier ha richiamato i valori che animano il rapporto con gli allevatori: “Fiducia, responsabilità e rispetto”. Elementi chiave e che Lactalis ha fatto bene a ricordare, soprattutto dopo un’estate di conflitti piuttosto accesi con i sindacati dei produttori di latte.

Secondo quanto affermano gli operatori di mercato, altre industrie di trasformazioni pagherebbero già oggi cifre superiori, alcuni intorno a 35 centesimi, grazie all’applicazione di parametri combinati fra il prezzo del latte tedesco e il prezzo del latte destinato alla produzione del Grana Padano. Un mix che, appunto, tenderebbe la mano agli allevatori e, soprattutto, rappresenta un metodo più rispondente all’effettiva destinazione della materia prima made in Italy che, ricordiamo, per il 51% circa è destinata a diventare formaggi Dop.

La valorizzazione in formaggi a denominazione d’origine, peraltro, già da alcuni anni ha consentito al sistema di regolare la propria produzione. Certo, non sempre con risultati esaltanti, ma in ogni caso la programmazione delle produzioni della Dop ha permesso al mercato di orientarsi con più facilità e di reagire meglio e con maggiore tempestività alle procelle di una volatilità in alcuni frangenti decisamente esasperata. Perché dunque la filiera lattiero casearia non si siede attorno a un tavolo e fissa regole per programmare le consegne di latte anche per l’industria alimentare?

La missione non è delle più facili, anche per quei risvolti che potrebbero far scattare allarmi in chiave di libero mercato e di addio alle quote latte. Alcuni potrebbero obiettare, infatti, che una programmazione delle produzioni made in Italy potrebbe significare l’introduzione di paletti desueti, ma a bene vedere ce ne corre tra avere un sistema di quote – che forse nessuno vuole davvero più – e regole elastiche per reagire il più in fretta possibile, alle turbolenze globali.
A livello europeo, l’ultima asta di Fonterra – una delle più importanti cooperative lattiero casearie del mondo – ha registrato a settembre un aumento medio del 7,7%, mentre l’offerta si è ridotta del 2,7 per cento. Segnali positivi, che dovrebbero trascinare verso l’alto anche l’Europa.