“I sistemi biologici sono generalmente più resilienti e produttivi se sono diversificati e adattati agli specifici contesti, tuttavia lo sviluppo delle pratiche agronomiche non è andato in tale direzione - spiega il professore Gianluca Brunori del dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Ateneo pisano - e nel tempo si è verificata una diminuzione costante della quantità di diversità coltivata, a cui nemmeno gli sforzi di conservazione dei materiali genetici messi in atto negli ultimi decenni dalle banche del germoplasma sono riusciti a far fronte”.
Nei quattro anni del progetto sono previste sperimentazioni e analisi per una serie di prodotti dell’agricoltura e della selvicoltura, a livello di sistemi colturali, di azioni di marketing e di comunicazione e di studio delle relative cornici normative.
Fra i prodotti che il progetto intende valorizzare ci sono ad esempio il farro della Garfagnana o il “grano monococco”, che dal punto di vista nutrizionale si differenzia dal frumento tenero o da quello duro per l'alto contenuto proteico e per l'elevata quantità di carotenoidi, o quello “saraceno”, che in realtà non essendo un cereale è adatto per celiaci, oppure ancora l'amaranto, uno pseudocereale originario del centro America dai chicchi commestibili e solitamente consumato in modo simile ai cereali.
L’obiettivo di Diversifood è dunque di portare a risultati concreti di diretta applicazione: nuove specie, varietà, popolazioni e relative tecniche di produzione, riproduzione e utilizzo, definizione di modelli organizzativi tra i vari attori delle filiere e studio di marchi e altri strumenti di qualificazione e promozione.
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