Potrà sembrare un ritornello, o un appuntamento fisso, ma anche quest'anno dobbiamo tornare a parlare di una pessima annata per la produzione di miele, l'ennesima, come se al peggio non ci fosse mai fine.

Che il 2021 sia stato un annus horribilis per il miele se ne era già iniziato a parlare in estate, quando era chiaro che alcune produzioni, prima tra tutte l'acacia, fossero stata seriamente compromesse o completamente azzerate dalle gelate tardive, mentre la siccità iniziava a far vedere i suoi effetti.

Ma come è stata nel complesso la produzione di miele, e dei vari tipi di miele, sia a livello nazionale che a livello regionale? A fare un quadro come tutti gli anni sono le rilevazioni mensili dell'Osservatorio Nazionale del Miele, che indica approssimativamente la produzione totale di miele in Italia sotto la soglia delle 15mila tonnellate, mettendo il 2021 tra le peggiori annate degli ultimi vent'anni, insieme al 2013 e al 2014, 2016 e 2017.

Come si è detto la causa principale è stato l'andamento climatico caratterizzato dalle gelate tardive di aprile e dalla siccità estiva e autunnale e anche della ventosità che in alcune zone è stata maggiore della media ostacolando il volo e quindi anche la raccolta delle api.

Pesantemente segnate dalle gelate sono state le produzioni primaverili. L'acacia è stata pressoché azzerata in quasi tutte le regioni vocate e, laddove un po' di produzione c'è stata, i raccolti sono andati da 4 chili ad alveare in alcune zone della Calabria e dell'Abruzzo, per passare ai 3,5 chili di alcune zone della Lombardia e tra i 2 chili e 1 chilo dell'Emilia Romagna, Friuli, Campania e Liguria. Valori più o meno inferiori di dieci volte rispetto alle produzioni attese.

Stessa sorte per il miele di agrumi, completamente azzerato in Sicilia e Sardegna e ridotto a medie dai 9 chili ad alveare in alcune zone della Campania dove è stato possibile produrlo, a 3,5 chili in Basilicata, rispetto ad attese di 30-35 chili ad alveare.

Forti riduzioni anche per i millefiori primaverili che sono stati prodotti praticamente solo in Basilicata e in Puglia con produzioni di 10 chili e 8 chili ad alveare rispetto ai 20-25 chili attesi, e in Lazio, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Lombardia, con valori medi che vanno dai 6 chili a un 1 chilo ad alveare, valori anche qui ben al di sotto delle medie produttive attese.

Il calo si è fatto sentire anche per altri monoflora primaverili, come per il miele di melo, completamente azzerato, per l'asfodelo in Sardegna pesantemente ridotto, il ciliegio in Puglia, la sulla e l'erica in Toscana, il tarassaco sulle Alpi, con l'unica eccezione della colza che in alcune zone della Pianura Padana ha permesso produzioni medie intorno ai 25 chili ad alveare.

La situazione non è poi molto migliorata con l'avanzare della stagione. Il tiglio ha fatto registrare rese inferiori di almeno la metà delle attese in tutte le regioni vocate, così come il cardo, completamente azzerato in Sicilia e ridotto ad una decina di chili ad alveare in Sardegna.

Il miele di castagno invece ha generalmente tenuto, facendo registrare cali di produzione di almeno la metà delle attese solo nelle regioni del Nord Ovest e in Basilicata.

Pesanti e generalizzate sono state invece le perdite per i millefiori estivi, che hanno portato a produzioni più basse della metà delle attese in tutte le regioni italiane, con punte particolarmente gravi in Val d'Aosta e Piemonte, dove la produzione è stata azzerata e in Sicilia, dove è stata diminuita di circa dieci volte. Uniche eccezioni sono state il Lazio e il Veneto, dove in genere è stato possibile ottenere i 15 chili ad alveare solitamente previsti per questa tipologia di miele.

La stagione produttiva si è poi chiusa nel modo peggiore con il pressoché completo azzeramento della produzione di miele di corbezzolo in Sardegna.

Una stagione che ha messo in seria difficoltà molte aziende apistiche italiane, segnate ormai da anni di produzioni in ribasso, a fronte di spese di gestione sempre maggiori, come ad esempio la nutrizione di soccorso.

Dalle stime fatte dall'Osservatorio Nazionale del Miele e da Ismea, tenendo conto delle produzioni e dei prezzi degli ultimi cinque anni, nel 2021 c'è stato una perdita media di ricavi di circa 140 euro ad alveare per il miele di acacia e di circa 104 euro ad alveare per il miele di agrumi.

Perdite a cui si sommano i costi vivi dovuti alla nutrizione di soccorso, che in primavera (quando le api dovrebbero produrre e non essere nutrite) è stata valutata tra i 2 chili e i 12 chili di sciroppo ad alveare, con un costo dai 2 ai 12 euro ad alveare per il convenzionale e tra i 5 e i 25 euro ad alveare per il biologico, dal momento che i prodotti per la nutrizione certificati hanno un costo di almeno il doppio. Oltre poi ai costi di gestione e al lavoro aggiuntivo.

Una situazione che ha spinto le associazioni apistiche nazionali a proporre forme di assistenza che sono andate dal riconoscimento dello stato di calamità per le gelate tardive anche per il settore apistico, con lo stanziamento di 5 milioni di euro per i risarcimenti, alla messa a punto di una assicurazione per le mancate produzioni alla richiesta di aiuti diretti ad alveare.

Provvedimenti su cui si sta creando un dibattito nel mondo apistico sull'effettiva efficacia per il settore, ma sul fatto che ormai delle misure di sostegno specifiche siano necessarie non può più esserci discussione.