I cinghiali sono uno dei flagelli che colpiscono la nostra agricoltura. In Italia si stima che ce ne siano oltre 2 milioni e ogni anno creano danni enormi alle coltivazioni. Per questo motivo moltissimi agricoltori si chiedono se sia legale imbracciare un fucile per cacciarli.

 

Gli abbattimenti dei capi sono una delle poche strade percorribili, in quanto il tasso di crescita e di proliferazione di questi ungulati è talmente elevato da rendere inutile ogni altra operazione (come la sterilizzazione o la cattura e il rilascio). Posto che già oggi le regioni dovrebbero avere dei piani di abbattimento affidandosi ai cacciatori per metterli in atto, molti agricoltori si chiedono se non sia possibile abbracciare direttamente il fucile per intervenire in prima persona.

 

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Caccia al cinghiale, l'agricoltore può sparare?

La risposta sintetica è : gli agricoltori in possesso di porto d'armi possono uccidere i cinghiali che penetrando nei propri terreni arrecano danni alle colture. A stabilirlo è una sentenza della Corte Costituzionale di febbraio 2021 che spiega come l'agricoltore abbia il diritto di tutelare l'attività della propria azienda agricola, anche con l'abbattimento di cinghiali o di altri ungulati che la minaccino.

 

"Questo non è certo un liberi tutti", sottolinea Angela Garofalo, responsabile nazionale del Settore Zootecnia della Cia - Agricoltori Italiani. "Di recente sono stati approvati dalle regioni i nuovi piani di controllo cinghiale e in questi è previsto che l'agricoltore provvisto di licenza di caccia possa abbattere i cinghiali nei propri terreni, ma esclusivamente dopo aver ottenuto la qualifica di 'selettore' avendo seguito specifici corsi di formazione sulla biologia, sulla gestione, sulle normative e le tecniche di controllo della specie in oggetto".

 

I piani di controllo sono differenti in ogni regione. E ogni regione, in collaborazione con l'Ispra, autorizza il personale abilitato all'abbattimento in una determinata area geografica, nella quale si sono registrati scompensi demografici in una specie selvatica. L'abbattimento rientra quindi nei piani di controllo della fauna selvatica e l'agricoltore è libero di abbattere gli animali sui propri terreni.

 

Caccia al cinghiale e abbattimenti controllati

Per non generare equivoci è bene però distinguere tra la caccia al cinghiale e gli abbattimenti effettuati dall'agricoltore. La caccia è infatti una attività con finalità ricreativa che è strettamente normata dalle regioni. Sono di fatto stabiliti periodi di caccia, di norma da settembre a gennaio, nonché giorni di silenzio venatorio. Sono stabiliti il numero massimo di esemplari abbattibili e la tipologia.

 

"L'agricoltore non è invece soggetto a tali vincoli in quanto la sua attività di controllo nei confronti degli ungulati non ha scopo ricreativo, ma di tutela della propria impresa economica, oltre che del suolo e del paesaggio", specifica Angela Garofalo.

 

Questo significa che per l'agricoltore non vi è un calendario venatorio a cui attenersi e gli abbattimenti possono essere dunque effettuati durante tutto l'anno. Il fine ultimo deve sempre essere la tutela dell'impresa agricola.

 

Il 'selettore' ha in sostanza il compito di abbattere una determinata specie selvatica che è stata precedentemente monitorata in un'area geografica stabilita, nella quale si è assistito ad un eccessivo aumento demografico a scapito di altre specie animali. Quindi opera grazie alla concessione di speciali licenze durante il periodo di divieto di caccia e in zone protette.

 

E le carcasse dei cinghiali abbattuti? "L'agricoltore può anche destinarle all'autoconsumo, ma occorre una visita sanitaria per escludere contaminazioni da nematodi del genere Trichinella, pericolosi per l'uomo, nonché essere conferite al controllo per gli accertamenti sanitari previsti dalla normativa vigente. Non può invece vendere le carcasse di cinghiale a terzi".