I numeri parlano chiaro. Produrre un litro di latte costa almeno 46 centesimi al litro, assai più dei circa 39 centesimi pagati in media agli allevatori.
E' quanto emerge da una recente analisi condotta da Ismea (Istituto di servizi per il mercato agroalimentare) nell'elaborare gli indici dei prezzi dei mezzi di produzione, che nello scorso anno hanno fatto un balzo in avanti del 7,4% su base annua.
A crescere, nel caso delle stalle da latte, i costi energetici e soprattutto quelli dell'alimentazione animale, con i foraggi aumentati del 22% e i mangimi cresciuti fra il 15 e il 17%.
Situazione che sta portando al collasso la zootecnia da latte, che ancora aspetta l'aumento di 4 centesimi promesso nel novembre 2021 al "tavolo del latte" promosso dal Ministero per le Politiche Agricole, sul quale molte erano le perplessità, come anticipato da AgroNotizie.


Le proteste

Anche se gli impegni presi dalla filiera del latte per portare il prezzo a 41 centesimi al litro fossero stati rispettati, ben poco sarebbe cambiato per gli allevamenti, che comunque continuerebbero a produrre in perdita.
Così ai produttori di latte non è rimasta altra via che quella di scendere in piazza per denunciare la gravità della loro situazione.
Lo hanno fatto prima a Cremona, sotto i vessilli di Confagricoltura, poi a Roma e Torino sventolando le bandiere di Coldiretti.
Insieme avrebbero forse ottenuto maggiore visibilità, ma l'agricoltura, nemmeno di fronte alle più forti difficoltà, sa superare le divisioni interne.
Un male antico, difficile da estirpare. 


Un altro "tavolo"

Il grido di allarme è comunque stato raccolto e da più parti si sollecitano interventi, ma ancora una volta in ordine sparso.
Così il ministro per le Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, promette l'apertura di un nuovo "tavolo di crisi". 
E' lui a riconoscere che i costi di produzione delle stalle sono "fuori controllo", ma al contempo ricordare che la nuova Pac con gli ecoschemi incentiva gli allevamenti al pascolo, mentre dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) si attendono incentivi per l'abbattimento dei costi energetici, riferendosi a biogas e agrisolare. 


Rimedi inutili

Misure che purtroppo non risolvono i problemi delle stalle, come evidenzia Alfredo Lucchini, di Confagricoltura Piacenza.
Mentre gli incentivi al pascolo sono un mero "specchietto per le allodole", che allontana l'attenzione dai problemi reali, quello delle agroenergie non può diventare l'attività prevalente, il "core business", delle aziende da latte.
Dalla Lombardia l'assessore regionale all'Agricoltura, Fabio Rolfi, promette sburocratizzazione, via libera all'impiego del digestato, e un intervento sull'Iva. Purché non siano solo promesse…


Pratiche sleali

Nel dibattito parlamentare viene rilanciata la proposta, più volte sentita, ma mai tradotta in concreto, di invocare il rispetto delle norme a contrasto delle pratiche commerciali sleali, come sono appunto le vendite sottocosto. Pena il ricorso alle aule di giustizia.
Un percorso lungo e tortuoso (e anche costoso), il cui esito favorevole è tutto da dimostrare e che la lunghezza della procedura giudiziaria renderebbe comunque inutile.
Nel frattempo le stalle continuerebbero inesorabilmente a chiudere.
Negli ultimi 15 anni, dicono ad esempio i dati di Veneto Agricoltura, nell'omonima regione gli allevamenti di vacche da latte si sono ridotti da settemila a meno di tremila. E così pure nel resto d'Italia.


Il latte da gettare

Un'emorragia di attività zootecniche che va arrestata, pena la perdita di risorse strategiche che non coinvolgono solo aspetti economici e sociali, ma vedono implicate biodiversità e tutela del territorio.
Aspetti che sembrano sfuggire all'attenzione di chi ha responsabilità di indirizzo, come evidenziano talune scelte di politica agricola in campo nazionale ed europeo.
Siamo talmente fuori strada che diventano utili persino proposte provocatorie come quella lanciata da Roberto Cavaliere, presidente di Copagri Lombardia, quando si dice pronto a destinare il latte alla produzione di agroenergie.
In altre parole, il latte vale così poco che tanto vale gettarlo nei vasconi insieme ai reflui.
Per quanto assurdo, la remunerazione potrebbe essere superiore a quella offerta dal mercato del latte.


Punto di rottura

Una provocazione utile a dimostrare che il settore è a un punto di rottura dal quale occorre uscire al più presto.
Una riorganizzazione della filiera per favorire una più equa distribuzione del valore è un percorso lungo e difficile e il tempo manca.
Nemmeno si può chiedere uno sforzo ai mangimisti per ridurre i prezzi o alle industrie del latte, entrambi alle prese con aumenti della bolletta energetica.
Improbabile che la distribuzione rinunci anche solo a una piccola fetta dei suoi margini.
Lo ha già dimostrato il fallimento del "tavolo del latte" dello scorso novembre.
Non resta che andare sui prezzi al consumo. Prima o poi accadrà, e non solo per il latte.
Tanto vale accelerare i tempi.