Trappole selettive auto-scattanti, recinti di sosta, quarantena in un'area apposita, controlli sanitari sui capi catturati. È quanto prevede in Sicilia il protocollo nell'ambito del "Piano di intervento per il controllo dei suini selvatici" nel Parco dei Nebrodi proposto dall'Organizzazione prodotto allevatori Nebrodi approvato dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dalla Regione Siciliana nell'ambito degli interventi per il contenimento degli ungulati.

Un protocollo di controllo, sorveglianza e monitoraggio della popolazione suina selvatica, che potrebbe avere valenza nazionale. Come si augura Graziano Salsi, coordinatore del settore zootecnico dell'Alleanza delle cooperative italiane - Settore agroalimentare: "Dopo l'approvazione del piano da parte dell'Ispra, ci auguriamo che il Protocollo che parte dalla Sicilia, possa diventare una soluzione a livello nazionale. L'Alleanza è vicina alle sue cooperative e ai problemi che affliggono i suoi allevatori".
 

Il Protocollo per il Parco dei Nebrodi

La proposta dell'Opan presieduta da Giuseppe Frusteri nasce dall'esigenza di tenere sotto controllo il proliferare degli ungulati e il diffondersi di eventuali malattie. Il protocollo definisce misure per il controllo, la sorveglianza ed il monitoraggio della popolazione suina selvatica nel Parco dei Nebrodi e prevede la possibilità di catturare, nei fondi degli agricoltori che ne facciano richiesta, con trappole selettive i suini rinselvatichiti o i cinghiali o i loro incroci. E, dopo una verifica dello stato di salute dell'animale catturato ad opera del servizio veterinario regionale, destinarlo al libero consumo.
 

Quarantena e controlli sanitari

Il protocollo prevede che siano abbattuti soltanto i capi ritenuti infetti e quindi pericolosi per l'uomo e per il resto della fauna che li circonda. Gli animali catturati, infatti, saranno posizionati in recinti di quarantena permettendo all'Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia di effettuare le analisi e stabilire come procedere in totale sicurezza. I capi ritenuti sani e regolarmente identificati potranno essere destinati agli allevatori che ne faranno richiesta ed entrare nella filiera alimentare, dopo aver effettuato un periodo di stabilizzazione nelle stalle/recinto di sosta.
 

Non soltanto abbattimenti

Uno degli aspetti del protocollo, sul quale l'Alleanza cooperative agroalimentari esprime grande soddisfazione, è il fatto che il solo abbattimento non è una soluzione. I capi infetti che verrebbero abbattuti nei boschi contribuirebbero al diffondersi della malattia nell'ambiente che li circonda. Di conseguenza non soltanto non si risolverebbe un problema, ma si aggraverebbe quello della trasmissione ad altre specie di malattie infettive come la tubercolosi, la brucellosi ed eventualmente la trichinosi, in particolare nei bovini che pascolano allo stato brado nelle stesse aree.
 

La necessità di intervenire

Nell'ultimo decennio si è assistito in Sicilia ad un incremento esponenziale della popolazione di suini selvatici e domestici inselvatichiti con gravi ripercussioni sull'incolumità pubblica, sullo sviluppo delle aziende agrozootecniche oltre che di sanità pubblica umana e veterinaria. La situazione rappresenta un rischio di trasmissione, diffusione e persistenza di alcune patologie classiche (tubercolosi, sindrome di Aujeszky) ed emergenti, come la Peste suina africana che tiene con il fiato sospeso tutto il settore suinicolo europeo.