"Non possiamo continuare a mangiare e produrre carne come facciamo adesso".

Se un'affermazione simile l'avesse fatta qualche organizzazione ambientalista avrebbe potuto essere bollata come la solita esagerazione di esaltati contro la carne. Invece, tale riflessione arriva da Danish Crown, uno dei principali esportatori di carne suina al mondo con sede in Danimarca, uno dei più piccoli Stati dell'Unione europea che nel 2020 ha macellato quasi 1,6 milioni di tonnellate di carne suina (l'Italia si è fermata a 1,27 milioni di tonnellate) ed è il quinto Paese dell'Ue per volumi di carne di maiale dopo Spagna, Germania, Francia e Polonia. Oltre l'85% della carne suina macellata in Danimarca viene esportata.

L'invito di Danish Crown, ricordato nella frase di apertura, che cosa significa? Che il mondo della suinicoltura e, più in generale, quello della zootecnia devono interrogarsi sul loro futuro e impostare un percorso di sostenibilità. Senza vergogna, senza nascondersi e senza fraintendimenti. Da più parti, infatti, la scienza ha messo in evidenza che l'impatto della zootecnia è inferiore rispetto ad altri settori produttivi.

Solamente pochi giorni fa Cia-agricoltori italiani, parlando specificatamente del settore bovino, aveva toccato il nervo scoperto della zootecnia che "nonostante sia un settore strategico per l'economia nazionale, con un fatturato di 40 miliardi di euro e 270mila imprese coinvolte tra produzione e trasformazione, e sebbene abbia compiuto enormi passi avanti sulla strada della sostenibilità, arrivando a pesare appena il 5,2% sul totale delle emissioni di CO2 che si riversano sull'ambiente, deve ancora difendersi da visioni allarmistiche e messaggi fuorvianti non suffragati dai dati che incidono negativamente sulla filiera e sui consumatori".

Secondo la Cia, però, "gli allevatori sono pronti a cogliere la sfida del Green deal europeo: chiedono solo strumenti e risorse adeguate per affrontare la transizione verde puntando su innovazione, ricerca e nuove tecnologie, con l'obiettivo di impattare sempre meno sul clima, ma tutelando al contempo competitività, reddito e qualità".

Una road map se l'è data, appunto, Danish Crown, riconoscendo innanzitutto il ruolo della carne quale alimento non sostituibile. Lo stesso grande Gruppo - che è anche uno dei maggiori esportatori di carne suina in Cina - ha messo sul piatto il tema della popolazione mondiale in aumento. "Nel 2050, secondo l'Onu, ci saranno circa 10 miliardi di bocche da sfamare". Questo vuol dire che di rinunciare a produrre carne non se ne parla nemmeno. Contemporaneamente, scrivono, "vogliamo offrire alle persone un'alternativa sostenibile, in modo che possano mangiare carne in quantità responsabili con la coscienza pulita. Per avere successo, tutti gli anelli della catena devono contribuire a fare le cose in modi nuovi: consumatori, catene di vendita al dettaglio, produttori di alimenti e agricoltori.
Sarà quindi un viaggio che dobbiamo intraprendere insieme a tutta la nostra catena del valore, dalla fattoria alla tavola e dal mangime per il bestiame al consumatore"
. Senza dimenticare l'uso di acqua ed energia, i trasporti e il packaging.

Nessun volo pindarico, nessun affidamento alla pseudoscienza, nessuna polemica e nessuna concessione agli allarmismi, beninteso, ma pragmatismo e un faro a illuminare la via: gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, sui quali sono stati fissati "obiettivi sostenibili in una serie di aree, come la strategia e lo sviluppo del business, dove possiamo vedere che possiamo fare una differenza positiva per gli agricoltori, i clienti e il nostro ambiente. Vogliamo che le generazioni attuali e future abbiano l'opportunità di gustare carne di qualità, prodotta in modo più sostenibile e nel rispetto dell'ambiente, del bestiame e delle persone".

Danish Crown vuole diventare "il produttore di carne più sostenibile e di successo al mondo nel 2030: puntiamo a emettere il 50% in meno di gas serra nel 2030 rispetto al 2005. La nostra visione è un futuro nel 2050 in cui la nostra produzione di carne è climaticamente neutra".

Cinque, in particolare, i campi di azione. Si va dall'alimentazione sostenibile del bestiame alle nuove tecnologie, si punta ad avere un'agricoltura senza combustibili fossili nel 2050, con un piano di sviluppo per foraggi di prima qualità e una strategia per la gestione del liquame, ridurre al minimo il consumo di risorse, valorizzare l'intero animale e garantire un uso efficiente di energia e acqua.
Attenzione allo stesso tempo al mondo del lavoro e all'etica professionale, cercando di garantire l'occupazione e integrare socialmente le persone ai margini del mercato del lavoro.

Per raggiungere l'obiettivo della produzione sostenibile, Danish Crown ha avviato una serie di dialoghi denominati "Meat2030", in cui "invitiamo clienti, fornitori, pensatori di sostenibilità, sviluppatori di concetti alimentari, ricercatori e altri esperti a discutere possibili modi per trovare soluzioni concrete alle sfide del futuro". Come detto, nessuno spazio alle polemiche, ma solamente ai contributi positivi, per migliorare l'approccio e non per distruggere.
"Se produciamo carne in modo più intelligente e sostenibile, possiamo continuare a mangiarla in futuro". Una posizione, insomma, costruttiva, che non nega le criticità, ma non cede alla rissa e ai pregiudizi di un ambientalismo qualunquista.

È quello che sta accadendo, comunque, anche in Italia. Pochi giorni fa è stato presentato il nuovo programma dell'Istituto valorizzazione salumi italiani (Ivsi) realizzato con la collaborazione di Nativa, rivolto alle aziende del settore della salumeria.
Dopo Measure what matters (Misura ciò che conta) - che ha visto le aziende impegnate a misurare il proprio profilo di sostenibilità attraverso il Bia, B impact assessment, lo standard internazionale della certificazione B Corp - l'istituto ha presentato Sdg Action manager - lo strumento che punta a misurare, in modo tangibile e oggettivo, il contributo aziendale rispetto agli Sdgs dell'Agenda 2030 dell'Onu e consente di individuare le azioni da mettere in campo per migliorare le performance della propria azienda. Questo nuovo impegno prosegue nella direzione del percorso intrapreso da Ivsi per la diffusione di un nuovo modello di impresa sempre più orientato alla sostenibilità.

"Le nostre aziende avranno la possibilità di identificare il proprio contributo verso il raggiungimento degli Sdgs, in linea con l'impegno che i governi, le istituzioni e le imprese stanno mettendo in campo per risolvere le grandi questioni ambientali, economiche e sociali del nostro tempo" ha affermato Francesco Pizzagalli, presidente Ivsi. "Dobbiamo pensare a garantire un benessere che non comprometta chi verrà dopo di noi. Per questo credo che questo sia un momento cruciale per il settore e per la sopravvivenza stessa delle aziende".