Nessuno se lo aspettava che da Roberto Cingolani, neoministro per la Transizione ecologica, potesse arrivare un così duro attacco alla zootecnia italiana.
Una laurea in fisica, un palmares di docenze sparse nel mondo, premi a volontà e mille attività, ultima in ordine di tempo la direzione dell’Istituto italiano per la tecnologia. Lo stesso che in questi giorni ha presentato un prototipo di robot per la potatura della vite. Cose da fantascienza.

Insomma un curriculum come pochi, quello di Cingolani. E se a un Fisico non si può forse chiedere di saperne anche di campi e di stalle, certo ci si aspetta che quando cita numeri e fatti lo faccia dopo essersi ben documentato. Ma non è andata così.
 

Il "cobeneficio"

Cosa è successo? Alla recente "Conferenza preparatoria della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile", il neoministro ha inserito fra i vari argomenti quello del "cobeneficio", neologismo che un antico adagio riassumeva nel detto "due piccioni con una fava".

Ma per spiegarlo meglio il neoministro ha affermato: "si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali, d’altro canto la proteina animale richiede 6 volte l’acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi che producono il 20% della CO2. Allora modificando un modello di dieta aumentando le proteine vegetali avremmo un cobeneficio".
 

Una "lettera aperta"

I numeri e le percentuali citate da Cingolani hanno lasciato esterrefatti chi questi argomenti li studia da tempo e sa che la realtà, almeno quella italiana, è ben diversa.
Così Giuseppe Pulina, docente di Zootecnica speciale all’Università di Sassari, ha preso carta e penna e ha mandato all’indirizzo del ministero per la Transizione ecologica una lettera aperta per ricordare quali sono i numeri "giusti".
Eccoli: "la Fao - scrive Pulina nella sua lettera - stima l’incidenza delle emissioni riferite a tutta la zootecnia (carne, latte e uova) al 14,5% su scala globale e l’Ispra al 5,2% per l’Italia. Il settore carni, escludendo latte e uova, si colloca così sotto il 10% nel primo caso e sotto il 4% nel secondo."

Poi qualche precisazione sul tema dell’acqua. "l’intero settore delle carni (bovino, avicolo e suino) - continua la lettera - impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che sono restituite all’ambiente come l’acqua piovana, mentre solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene effettivamente consumata."
 

Una fonte attendibile

Forse il neoministro ha preso in prestito i numeri predisposti da uno dei tanti movimenti che da tempo criminalizzano il consumo di carne.
Come sia possibile ricavare numeri così diversi, ora a favore di una tesi ora di un’altra, ben lo spiega Mario Rosato in un recente articolo pubblicato da AgroNotizie.
Invito a leggerlo quanti hanno a cuore una visione corretta di argomenti così "delicati".

E se non basta, ecco una "memoria" dell’Accademia dei Georgofili, che evidenzia i grandi progressi nella riduzione dei gas climalteranti e che sfata le fandonie sul consumo di acqua per le produzioni animali. Una copia è da settimane a disposizione della commissione Agricoltura del Senato.
 

Un coro di voci

Immagino che questi documenti li vorrà leggere anche Cingolani dopo la levata di scudi che il suo intervento ha sollevato in tutto il mondo zootecnico e non solo.

Ha alzato la voce Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, ricordando che "il modello agroalimentare italiano è profondamente diverso da quello massificato di altri Paesi e che l'agricoltura e l'allevamento italiano sono tra i più sostenibili al mondo."

Gli ha fatto eco il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, affermando che "occorre tenere conto non solo di alcuni dati parziali ma di tutti i dati, anche quelli positivi, con cui l'agricoltura contribuisce alla salvaguardia ambientale."
Franco Verrascina, presidente di Copagri, si è rivolto al neoministro per ricordargli che "l’agricoltura, e il settore primario in generale, non spreca le risorse, ma al contrario le utilizza e le restituisce all’ambiente."

Critica la posizione di Antonio Forlini, presidente di Unaitalia che ha definito le dichiarazioni del ministro come una visione miope, sbagliando per di più quando si afferma che consumare carne fa male.
 

Pronti a collaborare

Analoghe considerazioni giungono da altri esponenti del mondo agricolo e politico, inutile ricordarle tutte, il tono è sempre il medesimo. E in molte di queste si riafferma tuttavia la volontà alla collaborazione, perché agricoltura e ambiente sono fra loro intimamente legate.
Lo dimostra lo sforzo costante per l’innovazione che ha portato al progressivo ridursi dell’impatto ambientale delle produzioni agricole.

Ora le tecnologie digitali promettono ulteriori passi avanti e il "precision farming", l’agricoltura di precisione per dirla in italiano, è già una realtà in sviluppo.
Con essa aumenta l’efficienza e si riducono gli sprechi. Produrre di più con meno sembra impossibile, ma sui campi e nelle stalle ci stanno riuscendo. Eccolo il vero "cobeneficio".
Non avviliamo allora con dichiarazioni improvvide il lavoro e l’impegno di tanti che all’ambiente ci tengono davvero.
Questi i loro nomi: agricoltori e allevatori.