Si è concluso il 36esimo congresso nazionale Aapi, l'Associazione apicoltori professionisti italiani, che quest'anno si è tenuto a Marina di Grosseto in Toscana.

Una quattro giorni di conferenze e interventi di esperti, tecnici, ricercatori italiani e stranieri sulle varie tematiche che interessano l'apicoltura professionale in Italia.

Per fare un bilancio e una sintesi dell'evento abbiamo intervistato Claudio Cauda, presidente di Aapi.

Presidente, innanzitutto com'è andato il congresso?
"Bilancio più che positivo, al di là delle più ottimistiche attese. Affluenza superiore alle previsioni. Rimarco in proposito come l'insieme dell'investimento per le aziende apistiche (viaggio + permanenza alberghiera + iscrizione all'associazione) sia stato assai impegnativo, in particolare nelle attuali difficoltà produttive/economiche della categoria. 'Clima' e partecipazione attiva assai positivi, ai vari e diversi momenti di confronto da parte dei congressisti. Le preoccupazioni più che fondate non si sono tradotte in lamentela e nelle sterili e aggressive polemiche alla moda, ma in sforzo collettivo per cercare strade di sopravvivenza e futuro. Relazioni e contributi sia italiani che da diverse parti del mondo, di ottimo livello, nell'ottica di una piena condivisione delle conoscenze.

Un evento quindi che anno dopo anno cresce confermando le scelte strategiche della nostra associazione e di tutto il mondo di Unaapi: condividere in primis cultura e conoscenze, sforzarsi per costruire strade e impegno collettivo, per la massima possibile unità anche fra soggetti con peculiarità e differenze di rilievo".


Quali sono oggi le problematiche principali dell'apicoltura professionale in Italia e quali i punti di forza?
"Ci troviamo a cercare di fronteggiare numerose problematiche negative. Una tendenza di veloce e radicale cambiamento climatico, che, da alcuni anni, riduce drasticamente secrezioni vegetali e possibilità di raccolto per le api. Un contesto ambientale sempre più sfavorevole per pratiche agricole di crescente impatto negativo sulla biodiversità del vivente, con sempre più evidenza di effetti da agrofarmaci inaccettabili su insetti, impollinatori e api. Gravi problematiche di mercato, in annata di scarsissima produzione, ancora magazzini di aziende apistiche con prodotto invenduto e senza prospettive di collocazione a breve. Punti di forza vengono da ciò che siamo riusciti a sviluppare nel tempo autonomamente come categoria: un ottimo livello di competenza degli apicoltori professionali e di varie tipologie di apicoltori commerciali, un livello di capacità di allevamento gestionali/tecniche/sanitarie di eccellenza in Europa e nel mondo. Una caparbia ricerca collettiva di strade per la sopravvivenza per un settore che ha saputo sopravvivere del e nel mercato, privo di sostanziali sostegni pubblici.

Un nuovo e proficuo piano di lavoro con tutta la filiera del miele dalla produzione alla commercializzazione"
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Tra i temi affrontati nel congresso c'è la crisi del mercato del miele, con un calo significativo dei prezzi all'ingrosso che paradossalmente si unisce a un calo di produzione dovuto soprattutto alle anomalie climatiche. Che cosa è venuto fuori su quest'argomento?
"Chiariamo innanzitutto che il consumo di miele pro capite nel nostro paese è relazionato a una dieta tradizionale che trae buona parte degli zuccheri da alimenti sani come verdura, frutta e derivati da cereali. Il nostro consumatore è cioè assai diverso da quello di molti altri paesi, anche europei, che necessitano di ben altra dose di zuccheri, in particolare nella prima colazione.

Abbiamo saputo costruire negli ultimi decenni una certa differenziazione qualitativa sia rispetto all'origine botanica, sia rispetto allo stato fisico liquido o cristallizzato. Dal 2006 inoltre siamo riusciti a imporre una diversa obbligatorietà d'informazione del consumatore rispetto alla dizione truffaldina europea per le cosiddette 'miscele di miele'. Abbiamo così potuto verificare per i mieli italiani quotazioni costantemente in ascesa nel corso degli ultimi dieci anni. Un possibile ridimensionamento era nell'aria, anche solo per la crisi e il severo calo dei consumi alimentari che caratterizza economia e morale del nostro paese. Ma non potevamo certo aspettarci una frenata così brusca dovuta principalmente all'effetto sui mercati internazionali di 'miele' di importazione dalla Cina e dall'Ucraina a prezzi stracciati"
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Su questo tema un altro aspetto paradossale è che la produzione del miele italiano è sensibilmente più bassa rispetto alla domanda complessiva di miele, quindi in teoria non ci dovrebbero essere problemi di mercato, mentre invece gli ultimi dati ci dicono il contrario. Dove è il problema?
"In Italia le procedure produttive, le attenzioni sanitarie, le varie voci di costo allevatoriale come manodopera e carburanti, determinano costi produttivi molto più alti rispetto non solo a Cina, Ucraina, India e Vietnam ma anche rispetto ad altri paesi europei, come quelli dell'Est. Va precisato che di fatto abbiamo diversi mercati, la vendita diretta, il confezionato da desco nelle varie forme di distribuzione commerciale, il miele a uso industriale. Partiamo da quest'ultimo. L'importante industria agroalimentare nazionale, per suoi tanti trasformati che vantano la presenza di miele, acquista solo il prodotto a prezzo più conveniente, indipendentemente da altre considerazioni e della stessa qualità organolettica del prodotto. E' sufficiente che presenti parametri chimico fisici apparentemente in regola. Per questo mercato l'Italia e l'Europa dipenderanno forse sempre dall'importazione. Certo che se, nella descrizione degli ingredienti, vi fosse l'obbligo di indicare anche il paese di provenienza del miele, forse un segmento dell'industria di trasformazione agroalimentare, così come dei consumatori, potrebbe decidere di privilegiare e di valorizzare come merita il miele da paesi con normative igienico sanitarie e produttive equiparabili a quelle italiani".

E dunque cosa invece penalizza gli altri segmenti di mercato dei mieli italiani?
"Una peculiarità dell'Italia, poco considerata ma di notevole rilievo, è che oltre il 50% del miele commercializzato è quello a marchio delle catene di distribuzione commerciale. Inoltre i drastici cali produttivi in Italia dal 2016 a oggi non hanno consentito la disponibilità di prodotto nazionale per importanti referenze monofloreali quali ad esempio: acacia, agrumi, bosco ed eucalipto Sia la vendita diretta e sia quella nei vari canali della distribuzione commerciale dunque sono sempre più drammaticamente influenzati dalla crescente importazione in Europa e in Italia di sciroppi zuccherini miscelati con  nettare raccolto dalle api, ma non maturato e trasformato in miele dalle colonie d'api, bensì trasformato in stabilimenti industriali".

C'è dunque un problema di concorrenza del miele estero a basso costo o del cosiddetto finto miele cinese, ma chi è che compra e distribuisce questi prodotti sul mercato nazionale?
"Il dato eclatante di cui bisogna prendere atto è che le capacità di sofisticazione si sono eccezionalmente evolute e che superano nettamente quelle per accertare adulterazioni. Rintracciare le frodi comporta dover effettuare molteplici e costose tipologie di analisi sullo stesso campione. In più Europa e Italia allo sdoganamento non effettuano controlli sostanziali, ma si limitano a quelli cartacei e sanitari. Importiamo probabilmente quindi decine di migliaia di tonnellate di falso miele, che non rispetta i parametri della vigente direttiva comunitaria. Cito in proposito quanto riportato dall'ottimo documento predisposto dalla presidenza del gruppo miele, con l'apporto del nostro Francesco Panella, e oggi fatto proprio dal Copa-Cogeca, l'organizzazione di tutti gli agricoltori d'Europa. 'Il prezzo del miele dei principali paesi d'importazione è sempre più basso. Dal 2013, l'Ue importa dalla Cina in media 80mila tonnellate di miele all'anno a prezzi che variano tra 1,30 euro/chilogrammo e 1,64 euro/chilogrammo, scesi ulteriormente a 1,24 euro/chilogrammo nel 2019. Dal 2012, l'Ue importa dall'Ucraina tra le 20mila e le 50mila tonnellate di miele all'anno a prezzi compresi tra 1,69 euro/chilogrammo e 2,16 euro/chilogrammo'.

La domanda internazionale cresce, la produzione di miele vero nel mondo è stazionaria o langue, solo alcuni paesi moltiplicano pane e miele. E diversi operatori commerciali di vari paesi europei (Belgio, Spagna, Portogallo ecc…) poi miscelano quanto importato con mieli prodotti nella comunità, per poi riproporli nel mercato Ue. Mentre un prodotto con una indicazione di provenienza è relativamente facile da analizzare, una tale mescolanza non facilita certo l'accertamento di analitico qualitativo. Aziende commerciali Ue distribuiscono, quindi confezionano il prodotto in miscela, attendendosi a quanto prevede la direttiva e non la nostra norma nazionale, molto più restrittiva, per cui il consumatore non è informato sull'effettivo paese di origine del miele che gli viene proposto a prezzo stracciato"
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Molti dei grandi invasettatori nazionali sono anche produttori primari di miele, o consorzi di produttori, c'è un problema interno alla filiera? E dove?
"Il grande problema di filiera che si è affacciato prepotentemente è la variabilità produttiva in conseguenza dei cambiamenti climatici, che ha sconvolto le possibilità di approvvigionamento del miele in maniera drammatica; il clima impazzito ha dimezzato negli ultimi anni le produzioni, cosa che  non si era mai verificata. La distribuzione commerciale per contro necessita e richiede stabilità di fornitura. Se non si è in grado di garantire costanza di rifornimento si rischia di perdere posizionamenti e clienti faticosamente conquistati, e di essere sostituiti. Mantenere le posizioni commerciali e fornire miele di qualità con tutte le oneste informazioni per il consumatore è stata una necessaria e utile operazione che ha garantito futuro per i mieli nazionali. Tant'è che in questo momento sono proprio gli operatori che hanno saputo garantire continuità, gli stessi che stanno commercializzando e remunerando con relativo successo, e a prezzi adeguati le aziende apistiche aderenti a quelle filiere".

Quali sono le proposte venute fuori per rilanciare il mercato e soprattutto il valore del miele italiano?
"Da decenni ci battiamo per la valorizzazione del miele italiano. Se non avessimo perso la battaglia anni fa per ottenere la Stg 'miele vergine integrale', anche a causa di quanti in Italia non l'hanno voluta, oggi avremmo un eccezionale strumento di differenziazione e di valorizzazione. I mieli italiani presentano qualità e caratteristiche diversificate. Tali unicità vanno ancor più promosse e fatte conoscere. Ma le aziende apistiche sono di dimensioni medio piccole. Per questo nel congresso abbiamo chiesto ad alcune delle aziende di successo italiane di condividere le loro esperienze e particolarità. Lo hanno fatto con grande generosità e ricchezza di particolari e suggestioni".

Un'altra tematica interessante proposta è quella delle assicurazioni, una realtà presente in molti comparti agricoli ma pressoché assente in apicoltura. Cosa e come si vorrebbe assicurare?
"Come detto, siamo in una fase di crisi produttiva, ben oltre il normale rischio d'impresa. Lo sforzo e l'impegno associativo è concepire e creare nel piano nazionale assicurativo in campo agricolo, polizze specifiche per limitare o attutire il rischio da mancato reddito delle aziende apistiche, sotto forma di polizze Index (indicizzate a parametri meteorologici) o in alternativa con polizze parametrate agli scostamenti produttivi rispetto alla produzione media standard per zona e raccolto. Ci stiamo lavorando in collaborazione con alcune rappresentanze agricole. E' tutt'altro che semplice e scontato ma è la condizione per ottenere la copertura parziale della spesa con risorse comunitarie".
foto di gruppo degli organizzatori del congresso
Foto di gruppo degli organizzatori del congresso Aapi di Grosseto. Claudio Cauda è il quinto da sinistra in piedi 
(Fonte foto: Aapi)

Veniamo alla selezione e al miglioramento genetico delle api, altro tema centrale del congresso e argomento su cui c'è un forte dibattito nel mondo apistico italiano. Di cosa c'è bisogno?
"Affrontare questa problematica in modo serio e non con semplificazioni e slogan divisivi e aberranti, che non hanno alcun fondamento sia scientifico e sia pratico. Anche i bimbi oggi sanno che la genetica è continua evoluzione e relazione ambientale. Il dato di vera e grande novità sotto tale profilo è che la varroa e i cambi colturali hanno reso la sopravvivenza dell'ape dipendente dall'uomo. Questa è la grande 'rivoluzione' genetica, cui si accompagnano gli altri fattori ambientali decisivi di cambiamento: invivibilità nei campi coltivati per api e insetti, cambio climatico. Gran parte degli alveari italiani è oggi accudita da apicoltori professionali. Senza o contro gli apicoltori professionali non si otterrà e non si costruirà mai nulla. Non è certo qualche norma restrittiva la principale arma che possa garantire la conservazione di biodiversità. La priorità è lavorare per ottenere selezione e gran varietà genetica effettiva dei ceppi d'ape presenti in Italia. Questo è purtroppo il vero punto di debolezza storica della nostra apicoltura nazionale. Pochi se non nulli i processi selettivi italiani capaci di avvalersi anche dell'indispensabile apporto genetico selettivo maschile. Invece in altri paesi hanno saputo rimboccarsi altrimenti le maniche. I loro ceppi genetici hanno quindi conquistato spazio e interesse, non certo per il vigore ibrido ma per la stabilizzazione di caratteri genetici riscontrabili. Sgomberando il campo da intenti protezionistici la speranza e gli sforzi possono essere indirizzati a recuperare il tempo perso.

C'è bisogno di recuperare un gap di decenni e bisogna farlo in fretta se non vogliamo perdere o mettere a ulteriore rischio le sottospecie autoctone. Basta in proposito verificare quanto areale coprano oggi i ceppi di carnica selezionati nel nostro Nord Italia, con un'espansione ben difficilmente spiegabile con la moda. Ciò che auspico è una nuova capacità di sviluppare nel mercato una gran varietà di genetica con delle linee prodotte in Italia efficaci e competitive. Per questo motivo presentiamo e diffondiamo al convegno da diversi anni progetti di selezione che possano essere efficaci, rispettosi delle diversità, innovativi e che non inficino la capacità produttiva. Va evidenziato, tuttavia, il ruolo molto marginale del mondo della ricerca su questo aspetto, che pur con sporadici tentativi, non ha mai implementato progetti efficaci che avessero una qualche effettiva relazione e ricaduta con il mondo produttivo"
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Il dibattito su questo tema riguarda soprattutto la tutela della biodiversità delle api da miele, di cui l'Italia è una delle nazioni più ricche con ben quattro sottospecie presenti sul territorio, Aapi come intende affrontare l'esigenza di una selezione, necessaria in zootecnia, e la tutela e la conservazione della biodiversità delle api miele, parte integrante della biodiversità agraria, spesso richiesta con forza nei confronti di altri comparti agricoli?
"Su questo tema si è fatta solo molta confusione, da sempre la sopravvivenza di una popolazione e la tutela della biodiversità passano in primo luogo dalla conoscenza, per questo la tematica è da sempre presente e di rilievo nei nostri convegni Aapi. E' il nostro contributo concreto per costruire finalmente una via italiana alla selezione e alla conservazione, che però deve prevedere e saper includere come attori gli operatori stessi, mantenendo una capacità produttiva in grado da sostenere la sopravvivenza dei produttori apistici a fine economico.

In sintesi, visto l'attuale contesto, in un'ottica di crescita delle competenze tecniche degli operatori e del valore economico dell'allevamento dei nostri alveari, anche per tentare di ridurre un gap tecnico-pratico rispetto a contesti esteri, l'associazione Aapi ritiene che la promozione e divulgazione di conoscenze relative alle metodologie di controllo della via materna e paterna nell'accoppiamento delle api regine sia la migliore strada percorribile per ottenere risultati ampi, significativi e duraturi sul tema della selezione in apicoltura.

Tutto ciò in coerenza con i disposti normativi nazionali attualmente vigenti e senza ravvedere quindi la necessità di alcuna ulteriore imposizione normativa che vada a ledere o limitare la libertà di impresa dei singoli produttori, soprattutto per quanto riguarda le scelte sulla sottospecie allevata e le possibilità di movimentazione degli alveari sul territorio nazionale, in particolare nei territori maggiormente vocati"
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Altra questione centrale è il rapporto tra apicoltura e agricoltura, intesa come produzioni vegetali. Si sta riuscendo a ricomporre la frattura che da alcuni anni ha visto contrapporsi queste due realtà del mondo agricolo?
"La collaborazione non è solo necessaria ma essenziale. L'attuale modello di produzione agricola è insostenibile non solo per le api ma per tutti gli insetti e microrganismi, per l'intera biodiversità del vivente; cioè per gli stessi fattori che sono indispensabili alla fertilità. La biodiversità non è entità astratta, stiamo progressivamente riducendo, ci stiamo mangiando la fertilità agricola. L'agricoltura oggi ha estrema necessità di ripensare i suoi modelli di produzione. Senza addentrarsi sugli effetti plurimi e indifendibili da agrofarmaci e da erbicidi, basti pensare all'aberrazione di coltivazioni quali girasole e colza o di fruttiferi e orticole selezionati per produrre 'fiori finti'. Fiori tali solo in apparenza, ma senza alcuna secrezione per gli impollinatori. I modelli per un futuro dell'agricoltura dovranno necessariamente essere meno spinti e univocamente relazionati alla resa produttiva immediata; non più basati sull'abuso di agrofarmaci ed erbicidi, devastanti per i fragili ecosistemi interconnessi. Bisogna smetterla di postulare aggressivamente la sola positività dell'agricoltura, smetterla di elencare obiettivi e non verificare se si fanno passi avanti nelle direzioni proclamate. Così l'agricoltura rischia che altri decidano e che… la mettano nell'angolo per le sue ricadute sempre più evidenti. Contaminazione delle acque, declino innegabile di molteplici specie viventi quali insetti, uccelli e batteri; sono evidenze non più negabili. Bisogna con urgenza mettere in atto strumenti per avere e per dare una misura dei risultati, tali da monitore e garantire la sostenibilità delle pratiche agricole. Tali da giustificare i notevoli investimenti pubblici a tutela del mondo rurale. Uno degli indicatori di avanzamento di risultato può essere rappresentato dagli insetti impollinatori, di cui le api sono parte indicativa di più facile lettura.

Anche riguardo alla biodiversità agraria tutta l'agricoltura italiana deve esserci riconoscente per aver contribuito a evidenziare approcci inaccettabili come lo spandimento di molecole insetticide sistemiche, la necessità di riformulare drasticamente le procedure autorizzative di molecole e preparati. Il gioco delle tre carte e le falsificazioni pseudo scientifiche sono implosi. Non a caso il Parlamento europeo ha rifiutato a maggioranza bulgara il compromesso imposto alla Commissione dagli Stati membri di fregarsene degli effetti cronici e sub letali. Come se si proponesse di non considerare cosa comporta ancora avvalersi dell'amianto! C'è molta strada ancora da fare ma noi, quale componente del mondo agricolo, siamo più che disponibili a dare un indispensabile contributo. Basta che vi sia una diversa attitudine e disponibilità all'ascolto reciproco. Certo che fino a quando la priorità sarà solo la resa produttiva immediata, non si potranno che produrre ulteriori e drammatici disastri. Il tema attuale e prioritario è come misurare l'impatto delle pratiche agricole e come renderlo relativamente accettabile. E' questo peraltro l'obiettivo sbandierato della nuova Pac"
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Proprio la Pac è stato un altro tema affrontato al congresso, quali sono le aspettative e le richieste che ha Aapi a riguardo?
"Sinteticamente, auspichiamo che si ponga al centro della nuova Pac anche la tutela degli insetti impollinatori, con misure dirette e indirette sia sul Primo che sul Secondo pilastro e con le api quali ottimi misuratori di risultato. Misure e incentivi peraltro più indirizzati agli agricoltori che non agli apicoltori. Il documento, frutto della riflessione coordinata di Unaapi e della nostra associazione europea BeeLife, porta un titolo emblematico 'Una Pac per gli impollinatori', ed è stato presentato e discusso in anteprima al 36esimo congresso Aapi di Grosseto".

Nel comunicato stampa rilasciato all'apertura del congresso si dice: "Nei 36 anni di vita associativa, di volta in volta in zone diverse d'Italia, abbiamo affrontato emergenze sempre nuove e problemi che sembravano montagne, ma che insieme abbiamo scalato e spesso vinto". In questi ultimi anni però molte aziende hanno cessato l'attività. Come vede il futuro dell'apicoltura professionale?
"Non mi risulta siano molte le aziende che abbiano cessato, c'è sofferenza, sono certo molte quelle in serie difficoltà, ma.. uno dei necessari pregi apistici è…la caparbietà. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un grande interesse per quest'attività, moltissimi vi hanno riposto speranze di reddito e di qualità di vita, nel corso dell'ultimo anno le prospettive si stanno invertendo per i motivi su indicati. Certo io escludo dalle mie considerazioni spirito e logica di contrapposizione presuntuosa e aggressiva che caratterizzano oggi gran parte della comunicazione via social. Alcuni ne hanno fatto arena e spazio per emergere, al passo coi tempi, ma non per questo rispecchiano un tessuto produttivo ancora, non so per quanto, sano e vitale".

Con una domanda più secca, consiglierebbe a un giovane di dedicarsi esclusivamente all'apicoltura come unica fonte di reddito?
"La situazione non è certo delle più rosee, le difficoltà sono tante e intersecate. Noi canuti abbiamo passato analoghi e gravi periodi anche in passato. Li abbiamo contenuti e superati con la conoscenza, lo spirito d'iniziativa e la collaborazione produttiva. Senza false modestie ritengo che per far ciò il contributo di Aapi e Unaapi sia stato importante se non determinante. Consiglierei quindi passi avveduti, senza eccessi e crescita assai graduale, ponendo al primo posto capacità di aggiornamento, investimenti in associazionismo ed elasticità estrema. Speriamo di cavarcela anche questa volta…certo anche se riusciremo a costruire positivamente…ci aspettano almeno alcuni altri anni di sofferenza e sforzi…collettivi! D'altro canto è l'agricoltura che ha bisogno che noi si sopravviva, vediamo se riusciremo a costruire insieme e come!"