Secondo Cia - agricoltori italiani i cinghiali nel nostro paese sono ormai 2 milioni. Per Coldiretti invece sono solo 1 milione, mentre per gli scienziati il numero è di 0,6-1 milione. Al di là dei numeri quel che è certo è che per gli agricoltori i danni da fauna selvatica in generale e da cinghiale in particolare sono elevatissimi.

Secondo Coldiretti gli animali selvatici causano circa 100 milioni di euro di danni all'anno, di cui l'80% sono ascrivibili a Sus scrofa. Per gli scienziati invece i milioni sono 10, di cui il 90% causato dai cinghiali. Se sui numeri non c'è accordo è innegabile l'allarme sociale causato dalle incursioni nei centri abitati e gli incidenti stradali causati dai cinghiali, come quello mortale avvenuto ad inizio anno sulla A1 tra Lodi e Casalpusterlengo.

In generale tutti gli ungulati causano problemi agli agricoltori. Cervi e camosci mangiano i germogli delle viti, scortecciano le giovani piante e fanno scorribande nei campi più isolati in cerca di cibo durante l'inverno. Ma sono i cinghiali a fare i danni maggiori, essendo tanti in numero assoluto e adattandosi a mangiare qualunque cosa: dalle parti aeree delle piante (gemme, frutti, bacche e semi, ma anche sistemi fogliari) alle parti sotterranee (radici, rizomi, tuberi), fino a carcasse di altri animali e rifiuti umidi urbani.
 

Conoscere il cinghiale per contrastarlo

Il problema cinghiali non è dunque di facile soluzione. Ma è bene conoscere a fondo questa specie per poterla gestire. Prima di tutto bisogna dire che il cinghiale è autoctono dell'Italia, ma il numero di esemplari è stato ridottissimo a causa della caccia per secoli. Per gli agricoltori pre-rivoluzione verde era una questione di vita o di morte tenere lontani i cinghiali dai campi. La popolazione è iniziata a crescere dal Secondo dopoguerra, anche a causa dell'introduzione di esemplari Est europei liberati per scopi venatori.

Diminuita la pressione esercitata dall'uomo, il cinghiale è stato in grado di moltiplicarsi velocemente viste le sue intrinseche caratteristiche biologiche. Basti pensare che una femmina entra in età fertile quando raggiunge i 30 chilogrammi di peso e questo può avvenire già a sette mesi. E se le condizioni ambientali sono favorevoli (clima mite e presenza di cibo) può partorire quattro-sei cuccioli per volta.

E i danni non sono solo all'agricoltura, ma anche alla zootecnia. Lo sanno bene in Sardegna dove la peste suina africana è ancora endemica proprio perché trova nel cinghiale selvatico un ospite, che poi infetta gli animali da allevamento quando entra in contatto (anche indiretto) con essi.
 

Come difendersi dai cinghiali

In una situazione di elevata pressione dei cinghiali sul territorio e quindi sull'agricoltura difendere le colture risulta estremamente difficoltoso. "Quello che manca è una programmazione pubblica nella gestione del problema", spiega ad AgroNotizie Marco Apollonio dell'Università di Sassari e profondo conoscitore del tema. "Allo stato attuale quella del cinghiale è una emergenza che deve essere affrontata con sistemi di controllo della popolazione e aiuti agli agricoltori per difendere le colture".

Come tutti i problemi complessi non esiste una unica soluzione, ma devono essere messe in campo strategie integrate. Prima di tutto da parte dell'agricoltore, che può difendere i propri campi con recinzioni elettrificate e non, prodotti repellenti, emettitori di ultrasuoni e cannoncini ad aria compressa. Sono strumenti efficaci, ma che hanno un costo spesso ingente, come nel caso delle recinzioni, che molti non vogliono/possono affrontare.

"Ci sono Atc (Ambiti territoriali di caccia) che rimborsano in toto o in parte le spese sostenute dagli agricoltori. Alcune regioni, come l'Emilia Romagna, hanno degli uffici dislocati sul territorio che assistono in maniera attiva gli agricoltori", spiega Apollonio. "In molte altre regioni invece gli agricoltori vengono lasciati a se stessi. Ed è quindi normale che monti il malcontento".

Anche perché nel caso di danni da cinghiale i risarcimenti gestiti dagli Ambiti territoriali di caccia sono piuttosto bassi. Se infatti il lupo è un animale protetto, altrettanto non si può dire del cinghiale, che può essere abbattuto da cacciatori e agricoltori nel rispetto delle leggi locali. Agli importi contenuti si deve sommare poi una macchina burocratica che rendere i risarcimenti non certi ed erogati in tempi lunghi.

Se dunque le amministrazioni locali fossero in grado di sostenere gli agricoltori nell'implementazione delle tecnologie volte ad allontanare i cinghiali e a risarcirli efficacemente dei danni, la situazione sarebbe più gestibile. "Ma è altrettanto vero che nelle aree ad elevata pressione è anche necessario intervenire con abbattimenti mirati oppure catture", sottolinea Apollonio. "Le popolazioni di cinghiali possono essere lasciate indisturbate in aree non antropizzate, mentre vanno controllate attivamente in quelle agricole, anche con l'aiuto dei cacciatori".
 

Il lupo, nemico del cinghiale

In questo articolo abbiamo analizzato il rapporto tra lupo e agricoltura, visto che questo canide è l'altra grande specie selvatica che desta timori tra gli agricoltori. In molti ritengono che il lupo giochi un ruolo fondamentale nel contenere la popolazione di cinghiali, ma così non è. Anche se il cinghiale è la preda prediletta dai branchi, ad essere presi di mira sono soprattutto gli esemplari vecchi e malati, meno capaci di difendersi. Mentre i giovani esemplari scampano con più facilità agli agguati.

Più che limitare il numero di cinghiali, si ritiene quindi che il lupo contribuisca a mantenere in buone condizioni le popolazioni, sottraendo gli individui più deboli o in peggior stato di salute. "C'è poi da dire che esiste una enorme sproporzione tra le popolazioni. Di lupi ne abbiamo qualche migliaio, di cinghiali milioni. Lasciare al lupo il controllo di questa specie è irrealistico".