Quando all'alba, controllando le bestie, si scopre che un lupo ha ucciso una pecora, una capra oppure addirittura una vacca, la rabbia è tanta. Rabbia per il danno economico. Rabbia perché ci si sente soli davanti ad un nemico che attacca di notte. Rabbia perché si percepisce violata la propria casa e la propria sicurezza.

Il lupo è un animale che per secoli è stato ucciso da pastori e cacciatori delle zone montane, fino ad arrivare alla sua completa estinzione dalle Alpi e (quasi) dagli Appennini. Considerato un animale nocivo per l'allevamento e pericoloso anche per l'uomo, era cacciato con tanto di premi a chi ne abbatteva un esemplare.

Oggi le cose sono cambiate e dagli anni '70 il lupo è considerato un animale protetto e dunque non può essere abbattuto arbitrariamente. Ma intorno a questo predatore, che spesso finisce sulle pagine dei giornali per le sue incursioni negli allevamenti, girano molte notizie false o imprecise. Mentre sulla sua gestione ancora non c'è in campo una soluzione che faccia felici tutti, opinione pubblica e agricoltori.
 

Lupo specie protetta

"Prima di tutto bisogna dire che il lupo non è stato reintrodotto in Italia, ma è autoctono dei nostri monti", spiega ad AgroNotizie Paolo Ciucci, professore dell'Università La Sapienza di Roma che da trent'anni studia questo predatore. "Negli anni '70 ne erano rimasti appena ento, confinati in zone montuose isolate dell'Abruzzo e della Basilicata. Dopo essere diventata specie protetta nel 1977 il numero è gradualmente aumentato fino ad arrivare a quello di oggi, circa 1,2-2mila esemplari".

I lupi rimasti hanno infatti goduto di una abbondanza di prede selvatiche (cinghiali, caprioli, cervi, stambecchi e camosci) e di una riduzione delle attività agricole umane nelle zone montane e collinari. Si sono così espansi prima lungo la dorsale appenninica, fino ad arrivare in Liguria, e da lì hanno iniziato a colonizzare l'arco alpino.

"Se sugli Appennini la densità di lupi ha ormai raggiunto un punto di saturazione, sulle Alpi ci sono invece ampie aree da colonizzare e dunque ci aspettiamo un aumento del numero di esemplari nei prossimi decenni", spiega Ciucci.

A differenza dei cinghiali, il cui numero aumenta finché c'è cibo a disposizione, con sconfinamenti degli esemplari anche nei centri abitati. Il lupo ha una struttura del branco molto complessa che auto-regola la crescita demografica. Ogni 'famiglia' ha infatti un territorio a cui è fedele e solo il maschio e la femmina dominante si accoppiano, dando vita alla progenie. Una crescita incontrollata, dicono gli esperti, è impossibile.
 

Lupo e allevamento, una convivenza possibile?

Non esistono in Italia casi documentati di attacchi all'uomo, ma i lupi vedono nel bestiame domestico, ed in particolare in pecore, capre, giovani vitelli e puledri facili prede. E all'occasione ne fanno incetta. "Giustamente gli allevatori sono arrabbiati quando un lupo uccide un animale, per questo bisognerebbe mettere in atto delle politiche ad hoc per facilitare la convivenza".

L'alternativa alla coesistenza è l'abbattimento degli esemplari. Una opzione che non solo vede contraria gran parte dell'opinione pubblica, ma che è ad oggi illegale secondo le leggi europee e nazionali.

Bene, ma come fare a far convivere lupo e zootecnia senza sobbarcare gli allevatori di nuovi oneri, incompatibili con i già bassi margini delle attività agricole delle zone marginali di montagna? "Ci sono una serie di comportamenti e accorgimenti tecnici sviluppati dalle popolazioni contadine nel corso dei secoli, che si sono rivelati efficaci nel minimizzare il numero dei capi abbattuti dai lupi", spiega Ciucci.

"Parlo ad esempio delle recinzioni elettrificate o di metallo. Dell'uso dei cani da guardiania, appositamente selezionati ed allevati per stare giorno e notte con le pecore e non lasciarle mai sole. Oltre a buone pratiche come riportare gli animali nei ricoveri durante la notte".

Ma perché un allevatore, che già fatica a far quadrare i conti, deve anche cambiare il proprio modo di lavorare e perdere del denaro per attrezzarsi con reti e cani? "Perché il lupo è una realtà con cui bisogna fare i conti e lo Stato e le regioni avrebbero dovuto muoversi anni fa per accompagnare gli allevatori verso un cambio di approccio all'allevamento, fatto anche di formazione e sovvenzioni", spiega Ciucci.

Insomma, visto che il lupo non si può eliminare bisogna conviverci e gli enti locali dovrebbero fare il massimo per facilitare la vita agli allevatori.
 

Il nodo dei risarcimenti

Le tecnologie per limitare gli attacchi ci sono, ma resta la questione dei risarcimenti. Oggi le regioni e i parchi nazionali hanno politiche differenti per risarcire gli agricoltori dei danni che subiscono a causa dei lupi. Alcune (molte) funzionano male, altre (come quella del Parco nazionale d'Abruzzo), sono invece ben rodate.

"Ma non dobbiamo pensare al risarcimento come ad una soluzione", sottolinea Ciucci. "Se un allevatore subisce un attacco e non fa nulla per prevenirne altri il lupo continuerà ad abbattere i capi di bestiame. Risarcimenti o no".

Certo è che per abbassare la tensione sociale tra allevatori, lupi e società civile il risarcimento è un ottimo strumento. Purché sia congruo al danno, veloce nell'erogazione e certo. Oggi ad esempio molti allevatori lamentano ritardi e il fatto che si debba provare che l'abbattimento sia opera del lupo e non di un cane, ad esempio. Una norma che, a dirla tutta, è stata introdotta anche per scoraggiare chi lamentava finti attacchi.

"Credo che a fronte dello stanziamento di risorse maggiori e di norme più snelle, all'agricoltore dovrebbero essere richiesto come precondizione per l'accesso al risarcimento l'adozione di tecnologie e buone pratiche volte a sfavorire l'attacco del lupo, che oggi attacca gli animali d'allevamento perché sono le prede più facili", rimarca Ciucci.

D'altronde ad oggi, in una assenza dello Stato, c'è una situazione di anarchia che vede ogni anno il 25% dei lupi abbattuti dall'uomo, di cui l'80% da bracconieri. Il rischio è che lasciando al caso l'equilibrio tra uomo e natura prima o poi scoppi il caos.

Se si guarda all'andamento dei danni causati dalla fauna selvatica agli agricoltori il trend è in crescita. Ma a fronte di un clamore mediatico elevato suscitato dagli abbattimenti di pecore e agnelli eseguiti dai lupi, i danni maggiori sono provocati dagli ungulati. Cervi, daini, camosci e soprattutto cinghiali generano danni ingentissimi, di cui parleremo in un prossimo articolo.