I cinesi amano la carne di maiale. Il suino è l'ingrediente principale in un gran numero di piatti tipici consumati da 1,4 miliardi di cittadini del Celeste Impero. E le dimensioni del settore rispecchiano questa passione. Nella Repubblica popolare ci sono circa 26 milioni di allevamenti, molti dei quali di piccole dimensioni, altri invece con estensioni notevoli. Gli animali allevati sono circa 440 milioni, la metà di quelli presenti sull'intero pianeta. E il giro d'affari del settore è pari a 114 miliardi di euro. Ma tutto questo sistema è in crisi.

Da alcuni mesi infatti è scoppiata una epidemia di febbre suina africana, scatenata dal virus Asfv, che sta decimando i capi presenti negli allevamenti. Si stima che quest'anno saranno macellati il 20% in meno dei suini, con un danno economico (e di immagine) enorme. La suinicoltura rappresenta infatti una colonna dell'economia del paese, ma il controllo della crisi sanitaria è anche un banco di prova per il governo cinese.

L'epidemia di peste suina in Cina ha ripercussioni a livello globale. "E' da marzo che stiamo assistendo ad un aumento dei prezzi della carne suina in Europa. Il rialzo è una conseguenza del periodo difficile che sta attraversando il settore in Cina", spiega ad AgroNotizie Gabriele Canali, direttore di Crefis (Centro di ricerche economiche sulle filiere sostenibili) e professore del dipartimento di Economia agro-alimentare all'Università Cattolica di Piacenza. "E' difficile avere notizie certe, ma è probabile che il governo cinese interverrà direttamente sovvenzionando l'import di carne di maiale da altri paesi per assicurare alla popolazione prezzi ragionevoli".
 

La crisi cinese fa bene al settore in Europa

La situazione cinese si traduce dunque in una opportunità per il settore suinicolo europeo che può contare su un comparto produttivo ben rodato e su un sistema sanitario che può garantire esportazioni sicure. Ad avvantaggiarsene dovrebbe essere in primis la Spagna, oggi primo produttore europeo di suini, ma anche i paesi del Nord Europa.

Per l'Italia la situazione è positiva, ma meno di quanto potrebbe esserlo. Il nostro sistema produttivo difficilmente potrà rispondere in maniera pronta ad un aumento della domanda di suini da parte della Cina. Inoltre non dobbiamo dimenticare che sul nostro stesso territorio è in corso una epidemia di febbre suina africana. E' dal 1978 che in Sardegna è presente il virus e nonostante gli sforzi non si riesce a debellato (le autorità affermano che l'obiettivo è vicino), anche a causa della vasta presenza di cinghiali allo stato selvatico.

Ad oggi è in corso una trattativa per ottenere l'esportabilità dei nostri prodotti verso la Cina. Trattativa che potrebbe avere una accelerazione oggi che Pechino necessita di aumentare l'import. In ogni caso per i produttori nostrani il mercato interno europeo diventerà più facile. La Cina rappresenta una valvola di sfogo per le produzioni continentali e dunque per gli allevatori italiani i prezzi di vendita dovrebbero salire.
 

Peste suina, una crisi di difficile risoluzione

La domanda che molti si fanno, anche per pianificare le produzioni, è quanto durerà l'epidemia di peste suina in Cina. "Fare delle previsioni è impossibile. Quello che è certo è che le dimensioni del problema non permettono una risoluzione nel breve periodo", spiega Canali. "Tuttavia vista l'importanza del settore, il governo cinese non può permettersi di trascinare questa crisi per troppo tempo".

Gli abbattimenti di maiali infetti sono già consistenti ed è probabile che aumenteranno. Ma per Pechino ci sono due ordini di problemi: far rispettare le leggi e riformare un settore che produce quasi mezzo miliardo di capi all'anno.

In Cina spetta agli amministratori locali monitorare il territorio per individuare focolai. Non tutti tuttavia procedono agli abbattimenti con la solerzia necessaria. Da un lato per non inimicarsi gli allevatori, dall'altro per non dover sborsare gli indennizzi previsti. Il settore suinicolo cinese dovrà poi subire una profonda ristrutturazione, come quella che ha messo in atto la Spagna, quando nel 1967 scoppiò una epidemia di peste suina, risolta però solo dopo quasi trent'anni.

Oggi esistono infatti milioni di allevamenti di piccolissime dimensioni, spesso domestici, che non possono essere controllati e che rappresentano un bacino di inoculo enorme per il virus. Soprattutto perché gli animali vengono trasportati anche per lunghe distanze per essere venduti sulle piazze più convenienti.

A complicare le cose c'è il fatto che l'Asfv è un virus estremamente resistente e contagioso, contro cui non esiste alcuna cura. La malattia si manifesta con febbre alta, inappetenza, ridotta mobilità ed emorragie interne che portano l'animale alla morte in oltre nove casi su dieci.

Il virus è presente nelle urine e nelle feci dei maiali, ma anche nelle secrezioni oculari o nella saliva, oltre che in carne e sangue. In un allevamento il contagio è veicolato con il contatto diretto, ma può passare anche attraverso utensili contaminati, la terra sotto la suola delle scarpe, cibo o acqua. Senza contare che il virus resiste a lungo nell'ambiente e può contagiare un suino anche dopo giorni e addirittura mesi (in caso di temperature ridotte). Mentre le carcasse di maiali e cinghiali che muoiono in natura rappresentano una fonte di inculo per molto tempo.

Il contagio è molto facile. La virulenza del microrganismo cambia da regione a regione e da soggetto a soggetto. Può impiegare una o due settimane per manifestarsi, ma ancora prima che i sintomi siano evidenti il maiale è infetto e può trasmettere il virus ai suini con cui entra in contatto, diretto o indiretto. L'Asfv rappresenta una sfida enorme per il governo cinese che sul tema della sicurezza alimentare, intesa come food safety, sta facendo molto per venire incontro alle richieste della popolazione.