Il latte come risposta sociale ed economica ai bisogni degli agricoltori e dei territori dell'Africa occidentale. Passerà anche dall'oro bianco la crescita del settore primario del continente africano? Per la Confederazione produttori agricoli-Copagri, che nelle scorse settimane ha siglato a Bruxelles insieme con Emb (European milk board) un accordo tra i produttori di latte dell'Europa e dell'Africa occidentale, sicuramente sì.

L'intesa, di fatto, impegna un bacino aggregato di 50 milioni di allevatori di bestiame, tanti sono i rappresentati dalle due organizzazioni agricole, ha la finalità di lavorare - insieme, ma anche ciascuno nei propri ambiti territoriali - su obiettivi comuni, che comprendono "una politica agricola sostenibile e uno sviluppo della produzione lattiera che rispetti la dignità dei produttori dei due continenti, contribuendo al contempo a valorizzare il potenziale del comparto africano anche attraverso progetti di solidarietà e cooperazione". Così si legge nella nota diffusa a livello internazionale.

"Vogliamo costruire un modello di sostenibilità agricola mondiale che combatta il dumping e le speculazioni economiche che avvengono a svantaggio di tutti - afferma Roberto Cavaliere, presidente di Copagri Lombardia e uomo chiave del sindacato in materia di lattiero caseario -. Di questo progetto ne avevamo parlato già un anno fa a un incontro dello European milk board e, fin da subito, c'è chi ha intuito la portata rivoluzionaria del progetto, che non deve essere sottovalutato o ancorato solamente all'Europa o all'Africa. Le opportunità possono avere ricadute più ampie e disegnare appunto un nuovo corso su scala globale. Siamo orgogliosi di firmare questo accordo per l'Italia".

Con questa dichiarazione comune, spiega Cavaliere, "le organizzazioni agricole firmatarie si impegnano a valorizzare le tipicità locali, puntando sulla qualità e sulla unicità delle produzioni, ma anche sulle logiche del massimo profitto e del dumping economico, che in passato hanno fra l'altro fatto sì che il latte in polvere comunitario venisse svenduto in Africa a prezzi bassissimi, creando un notevole danno economico a tutti i produttori". Operazioni di concorrenza sleale, di fatto, che hanno portato intere economie a preferire il latte in polvere al latte degli allevamenti del territorio.

"Tra gli intenti dell'accordo vi è, infatti, l'impegno a creare nuove politiche agricole a carattere sostenibile, che puntino sulla programmazione e sulle produzioni locali e che rispettino la dignità di chi lavora la terra e di chi si adopera per la produzione di cibo, mettendo al centro i produttori e i consumatori", aggiunge Cavaliere.

Secondo quanto emerso dalle analisi socioeconomiche, "c'è un significativo potenziale per sviluppare le strutture locali di raccolta e di lavorazione del latte, così da rendere tale prodotto una leva importante per garantire un maggiore sviluppo dell'occupazione, del reddito e della sicurezza alimentare e nutrizionale, portando al contempo benefici in termini di sviluppo socioeconomico sostenibile in zone rurali spesso fragili ed emarginate, e assicurando maggiore sicurezza, cooperazione e pace", si legge fra l'altro nel testo dell'accordo.
"Deve essere una crescita che parte dagli agricoltori per gli agricoltori stessi e la società", afferma Cavaliere.


Lo scenario dell'Africa occidentale

Circa il 60% della forza lavoro dell'Africa occidentale, su una popolazione totale di 382,5 milioni nel 2018, vive di bestiame e agricoltura. Nella zona del Sahel (Niger, Ciad, Mali, Burkina-Faso, Mauritania, Senegal), la pastorizia e l'agro-pastorizia sono un pilastro dell'economia, si legge nel dossier redatto da Gérard Choplin su richiesta di SOS Faim Belgium e Oxfam-Solidarité.

Sebbene la produzione di carne sia spesso il principale reddito degli agricoltori, la produzione e la commercializzazione locale del latte (ottenuto dalla mungitura di mucche, capre, pecore, cammelli) occupa un posto importante.
Le donne sono al centro dell'economia lattiero casearia locale, dalla produzione al marketing, fornendo reddito regolare alle famiglie. In media, una mucca produce da 2 a 3 litri di latte al giorno.

Entro il 2050 saranno 800 milioni le persone (la metà delle quali in Nigeria) che l'Africa occidentale dovrà nutrire. L'aumento dell'urbanizzazione - il 50% della popolazione oggi, il 62% al tasso attuale nel 2030 - aumenta la domanda di prodotti caseari a basso costo per i prodotti poveri e più sofisticati per la classe media in via di sviluppo. Nella città di Bamako, ad esempio, il 90% del latte consumato proviene dalla polvere.
Le industrie casearie europee sono state interessate al mercato lattiero caseario dell'Africa occidentale da più di trenta anni, rafforzando il proprio interesse negli ultimi dieci anni, con una forte accelerazione in particolare dopo la fine delle quote latte nel 2015.

Per il comparto lattiero caseario europeo l'Africa occidentale è attualmente ancora un piccolo mercato: Algeria, Egitto, Asia, Medio Oriente sono le principali destinazioni dell'export. Nel periodo gennaio-marzo 2019 l'export comunitario verso l'Africa in milk equivalent (Me) è diminuito di 63mila tonnellate su base tendenziale, a causa di una contrazione dell'export di polveri (formaggi, latte sfuso e confezionato, yogurt e latticello hanno invece incrementato i volumi, secondo quanto evidenziato da Clal.it, portale di riferimento per il lattiero caseario). Contrazione (-37mila tonnellate in Me, gennaio-marzo 2019 sullo stesso periodo del 2018) anche per le esportazioni in Medio Oriente.

Tutte le principali multinazionali del settore sono comunque presenti in Africa occidentale, come Lactalis (Francia), Arla foods (Danimarca), Nestlé (Svizzera), Friesland Campina (Paesi Bassi), Danone (Francia), Dmk (Germania), Glanbia (Irlanda), Sodiaal (Francia), Milcobel (Belgio), sotto forma di acquisizioni di imprese locali, joint venture, vendita di licenze o franchising.
Le rigenerazione del latte in polvere a livello locale - riferisce il dossier - consente a tali multinazionali di essere competitive tanto con il latte liquido prodotto in loco che con le polveri ottenute in Europa. Ma questo, secondo i firmatari dell'intesa (Emb-Allevatori Africa occidentale), penalizza l'economia locale del continente africano. E non va bene.