Che il settore della vacca da latte debba dire addio all'uso a tappeto dell'antibiotico alla messa in asciutta non è più una novità. In Italia se ne parla da anni, e non mancano le stalle dove la cosiddetta asciutta o terapia "selettiva" è già realtà.

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Purtroppo negli ambienti buiatrici - tanto in Italia quanto all'estero - non c'è ancora identità di vedute su quale sia il criterio migliore per scegliere le vacche da trattare e quelle da asciugare senza antibiotico. Un fatto, tuttavia, è certo: il minore impiego di antimicrobici implica anche la necessità di sostenere durante l'asciutta, attraverso una dieta appositamente formulata e un management "anti-stress", il sistema immunitario delle bovine al fine di scongiurare lo sviluppo di infezioni intramammarie e di altre patologie infettive.

Di qui è partito, in occasione di un recente convegno organizzato dalla Sivar (Società italiana veterinari animali da reddito) e sponsorizzato da Boehringer Ingelheim, il catalano Alex Bach nel suo intervento sulla gestione dell'asciutta. Non prima però di aver evidenziato un altro aspetto cruciale: la necessità di diminuire la produzione lattea alla messa in asciutta. Oggi non è infatti difficile imbattersi in vacche Holstein che a fine lattazione producono 22, 25, 30 chilogrammi di latte, laddove invece il National mastitis council, massima autorità mondiale in fatto di mastiti bovine, segnala che al di sopra dei 15 chilogrammi il rischio di contrarre successivamente infezioni intramammarie è molto alto. Infatti l'accumulo di latte in mammella e l'aumento della pressione intramammaria, oltre che a provocare dolore, favoriscono la penetrazione e la proliferazione dei mastidogeni. Con l'antibiotico a tappeto il rischio mastite veniva tamponato, ma che fare oggi, in epoca di terapia selettiva?

Da sinistra: Alex Bach con il presidente di Sivar Daniele Gallo. Bach è un ricercatore catalano che ha all'attivo numerose pubblicazioni scientifiche e che collabora con le migliori università americane
Da sinistra: Alex Bach con il presidente di Sivar Daniele Gallo. Bach è un ricercatore catalano che ha all'attivo numerose pubblicazioni scientifiche e che collabora con le migliori università americane
(Fonte foto: Sivar)


Non allungare la lattazione

A quest'ultimo fine le strategie possibili sono molteplici, ma poche quelle prive di controindicazioni, ha osservato Bach. Separare in un box a parte le vacche da asciugare una settimana prima della messa in asciutta e offrire a questo gruppo una dieta diluita, meno nutriente (l'unifeed della lattazione più paglia) è efficace al fine di ridurre la produzione di latte (effetto riscontrabile in cinque giorni), ma è controproducente per il sistema immunitario: in questo breve lasso di tempo, ha infatti evidenziato il relatore, la bovina continua a produrre latte, ha meno energia a disposizione e mobilita le riserve corporee; in circolo aumenta quindi il tenore di acidi grassi non esterificati e questo limita la capacità di moltiplicazione dei neutrofili - la prima linea di difesa del sistema immunitario - favorendo le infezioni mammarie. In alternativa è possibile, cinque-sette giorni prima della messa in asciutta, ridurre la frequenza delle mungiture (nelle stalle robotizzate è ad esempio possibile allungare gli intervalli tra le mungiture): il calo produttivo ci sarà, anche se meno evidente rispetto a quello ottenuto con la diluizione alimentare, ma c'è il rischio - ha ricordato Bach - di trovarsi di fronte a un aumento delle cellule somatiche all'inizio della successiva lattazione.

Da evitare anche l'allungamento della lattazione e il conseguente accorciamento dell'asciutta: nella lattazione successiva la produzione lattea subirà un netto calo, senza dimenticare il fatto che anche riempire il gruppo in lattazione di vacche stanche è un autogol economico (aumento del Dim di stalla e minore efficienza alimentare) e tecnico (sovraffollamento del reparto).

Un aiuto proviene invece dalla ricerca farmaceutica: è da poco disponibile sul mercato un bolo a base di sali anionici che, somministrato nei tempi e nelle quantità indicate, riduce rapidamente l'assunzione di sostanza secca e quindi anche la produzione lattea alla messa in asciutta, limitando il rischio mastite. Anche la cabergolina, un principio attivo ad effetto antiprolattinico, ha dato buoni risultati - ha ricordato Bach - ma al momento non è più disponibile sul mercato. Interessante infine il richiamo dell'altro relatore della giornata Sivar, Erminio Trevisi, circa la possibilità di somministrare allo scopo estratti vegetali o fitoprodotti ad azione galattofuga (a base di pervinca, salvia, menta piperita, ecc.).

Nel corso dell'asciutta la bovina deve consumare una dieta immunogena, e quindi con il giusto tenore di proteine, calcio e magnesio, ma anche ricca di vitamina E e selenio
Nel corso dell'asciutta la bovina deve consumare una dieta immunogena, e quindi con il giusto tenore di proteine, calcio e magnesio, ma anche ricca di vitamina E e selenio


Gruppo unico e un solo carro

Una volta esaurito il tema della messa in asciutta, Alex Bach ha poi affrontato il tema dell'alimentazione e del management delle bovine in asciutta. Un unico gruppo e un'unica dieta: questo il suggerimento di fondo offerto dal ricercatore, alla luce di nuove evidenze scientifiche che pongono alcuni interrogativi sulla necessità di una dieta separata per le bovine in close-up.

Ecco in sintesi il ragionamento proposto da Bach: sulla base di studi condotti negli anni '90, l'Nrc del 2001 raccomandava di offrire alle bovine in asciutta due razioni, una per il periodo dopo la messa in asciutta e una per il periodo di fine asciutta o close-up. Questo perché - si sapeva all'epoca - in prossimità del parto l'ingestione cala, per cui per coprire i fabbisogni e scongiurare la mobilitazione dei grassi corporei occorre offrire una dieta più energetica, da 1,65 Mcal/kg SS (20,6 Mcal al giorno). In secondo luogo perché occorre adattare i microrganismi ruminali alla dieta della lattazione, che è ricca di concentrati amilacei. Terzo, perché occorre promuovere la crescita delle papille che rivestono il rumine al fine di limitare, una volta che l'animale sarà in lattazione, il rischio di acidosi. Purtroppo - ha osservato Bach - l'implementazione dello steaming up non ha di fatto portato a una diminuzione dei problemi post-parto e le conoscenze scientifiche sono nel frattempo progredite, gettando significative ombre sulla correttezza dei sopra menzionati presupposti dello steaming up.

In particolare, secondo quanto ha evidenziato a Cremona il ricercatore catalano:
  • il calo dell'ingestione a fine gravidanza si verifica soprattutto quando la dieta è troppo carica di energia e una dieta come quella consigliata dall'Nrc del 2001 è da considerare decisamente ipernergetica. A tali condizioni, la bovina tende a depositare l'energia in eccesso sotto forma di grasso, e questo aumenta la probabilità di chetosi dopo il parto. Molto meglio, allora, offrire anche nel close-up una dieta da asciutta, meno energetica (da 1,32 Mcal/ kg SS), che copre i fabbisogni e stimola un aumento del consumo alimentare post-partum.
  • L'adattamento della microflora ruminale non richiede tre settimane, come si riteneva un tempo, ma in condizioni di anaerobiosi ai batteri del rumine sono sufficienti due giorni per rinnovarsi. Per cui se la dieta di close-up è iperenergetica, nei due giorni a cavallo del parto la bovina non mangerà, e in questi due giorni la microflora si rinnoverà adattandosi a una situazione di inedia, non certo a un'alimentazione ricca di amidi.
  • Offrire diete ricche di amido prima del parto stimola sì la crescita, ma purtroppo soltanto numerica, delle papille ruminali, che tuttavia risultano più corte. Pertanto quando l'animale inizierà la lattazione, nel suo rumine la superficie totale di mucosa disponibile per l'assorbimento degli acidi grassi volatili sarà addirittura minore.
     

Prevenire l'ipocalcemia

Bach propone quindi una sola dieta per l'asciutta. Dunque, un carro in meno da fare per l'allevatore, ma tocca poi all'alimentarista preoccuparsi di formulare una dieta che come detto dovrà essere immunogena, e quindi - ha sottolineato il ricercatore catalano - con il giusto tenore di proteine (da incrementare lievemente se nel gruppo ci sono molte manze), ma anche ricca di vitamina E e selenio.

Anche un corretto apporto di calcio è di fondamentale importanza ai fini del sostegno al sistema immunitario e della prevenzione delle infezioni mammarie. L'obiettivo è infatti evitare che dopo il parto le bovine soffrano di ipocalcemia, e non soltanto di quella in forma clinica, ma anche subclinica. È infatti dimostrato che un'ipocalcemia subclinica riduce la capacità proliferativa e fagocitaria dei neutrofili, favorendo così il rischio di infezioni. A tale fine Bach preferisce mantenere per l'intera asciutta un moderato apporto di calcio (0,6% SS), evitando alcuni foraggi, come l'erba medica, che sono ricchi di questo minerale. Da monitorare anche i livelli e la biodisponibilità del magnesio (tenore consigliato: 0,3% SS) perché una sua carenza porta all'ipocalcemia subclinica.

È dimostrato che la capacità di assorbimento degli anticorpi colostrali da parte del vitello migliora se la madre è stata correttamente alimentata durante il periodo dell'asciutta
È dimostrato che la capacità di assorbimento degli anticorpi colostrali da parte del vitello migliora se la madre è stata correttamente alimentata durante il periodo dell'asciutta


L'ambiente giusto

Toccherà invece all'allevatore preoccuparsi di arrecare il minimo stress alle vacche: il cortisolo che viene immesso in circolo in condizioni di stress è infatti nemico della risposta immunitaria. Gli strumenti sono noti: lotta al caldo anche in asciutta, massima igiene e spazi generosi. Senza dimenticare - ha anche osservato il relatore - che l'asciutta in gruppo unico annulla una voce di stress importante, ovvero la necessità di trasferire le bovine prima del parto in un box a parte.

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di Alessandro Amadei