Dal 1800 ad oggi la temperatura media del globo si è alzata di un grado. Può sembrare poca cosa ma le conseguenze sono state importanti. Ogni agricoltore sa bene quanto il clima sia diventato imprevedibile e quanto siano aumentati i fenomeni estremi. Estati siccitose costellate di nubifragi, inverni miti e primavere ricche di gelate sono solo alcune delle 'pazzie' del clima che rendono la vita delle aziende agricole sempre più complicata.

Per evitare che gli effetti del cambiamento climatico siano ancora più devastanti è dunque essenziale bloccare l'aumento delle temperature, riducendo sensibilmente la quantità di gas ad effetto serra immessi nell'atmosfera. L'agricoltura nel suo complesso ha un ruolo importante, sia perché produce tra il 7% e il 9% delle emissioni climalteranti, sia perché può essere uno degli strumenti per mitigare gli effetti del surriscaldamento globale.

La zootecnia in particolare è fonte di un'ingente quantità di metano e protossido di azoto, due gas ad effetto serra. Il primo si forma principalmente nei pre-stomaci dei ruminanti, nei quali il microbiota degrada i tessuti vegetali liberando il gas. Altro metano viene poi rilasciato durante il ciclo di gestione dei reflui zootecnici. Il protossido d'azoto invece viene rilasciato soprattutto nel momento in cui l'urina e le feci degli animali vengono sparse in campo, oppure conservate nei letamai.
 

La sfida di Life beef carbon: ridurre le emissioni della zootecnia

Per mappare l'impronta carbonica che la produzione di carne bovina ha sull'ambiente è stato lanciato il progetto Life beef carbon. "Si tratta di un progetto internazionale finanziato dall'Unione europea che vede coinvolti Italia, Francia, Irlanda e Spagna, tutti paesi con un comparto zootecnico bovino sviluppato", spiega ad AgroNotizie Antonio Pirlo, responsabile del progetto per il Crea, capofila dell'iniziativa in Italia. "L'obiettivo è quello di ridurre le emissioni delle stalle europee del 15% in dieci anni, evitando in questo modo di immettere in atmosfera circa 120mila tonnellate di anidride carbonica".

Attraverso un software sono state mappate le emissioni di ventuno aziende zootecniche tra il Veneto e il Piemonte. Per ogni bistecca e hamburger è stato dunque calcolato l'impatto sull'ambiente in termini di emissioni di gas serra. Sono stati presi in considerazione sia i gas emessi dall'animale stesso e dalle sue deiezioni, sia le attività produttive collaterali all'allevamento, come la produzione di mangimi, di energia elettrica o di calore.

"Le azioni che gli allevatori possono mettere in campo per ridurre l'impronta carbonica dei propri capi sono molte. Alcune sono a costo zero, altre rientrano nei Piani di sviluppo rurale. La maggior parte però richiede un investimento da parte dell'azienda", spiega Pirlo. "L'obiettivo del progetto non è solo quello di mappare la carbon footprint degli allevamenti e diffondere la conoscenza di questi temi tra gli allevatori. Ma anche instaurare un dialogo con le regioni affinché nella prossima programmazione Pac siano finanziate anche quelle azioni volte a rendere maggiormente sostenibili le imprese zootecniche".


Le buone pratiche per ridurre le emissioni

Ma quali sono le buone pratiche che ogni azienda zootecnica dovrebbe mettere in atto? Sono diverse (vedi foto sotto) e riguardano principalmente la gestione dell'animale, dei reflui zootecnici e la mangimistica.

Il filo conduttore è l'ottimizzazione dell'uso delle risorse e in quest'ottica il benessere animale, di cui tanto si parla, gioca un ruolo fondamentale. Animali sani e che sopravvivono fino alle età della macellazione in percentuali maggiori si traducono in una maggiore produzioni di carne e quindi in una diminuzione degli input produttivi in media necessari.

Strategia di mitigazione
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(Fonte foto: Life beef carbon)

Un ruolo importante però è anche quello della genetica, che mette a disposizione degli allevatori razze più produttive ed efficienti nell'utilizzo delle risorse. Ma anche la zootecnia di precisione ha un ruolo sempre più rilevante proprio perché in grado di ottimizzare l'utilizzo degli input produttivi. Un'alimentazione tagliata sulle esigenze del singolo animale può ad esempio evitare gli sprechi. Esistono poi accorgimenti nella composizione della razione, ad esempio con l'introduzione di piccole quantità di grassi, che riducono le emissioni di gas ad effetto serra.

L'altro capitolo riguarda la gestione dei reflui zootecnici. Per minimizzare le emissioni in atmosfera di metano e protossido d'azoto, responsabili rispettivamente per il 45% e il 31% delle emissioni in capo all'agricoltura, una buona pratica è l'interramento in campo. In questo modo il refluo oltre ad arricchire il terreno non rilascia gas perché viene eliminato il contatto con l'aria. Esistono poi sistemi di copertura delle vasche di stoccaggio ed enzimi per inibire l'ureasi. Non dimentichiamo poi che i liquami possono essere una risorsa preziosa, ad esempio per quelle aziende agricole dotate di un impianto a biogas, in grado di catturare il metano prodotto ed utilizzarlo per le esigenze aziendali oppure immetterlo in rete.

Anche nell'approccio agronomico al campo l'agricoltore può conseguire il duplice obiettivo di diminuire l'impronta carbonica delle produzioni e al contempo sequestrare CO2 nel terreno. Un esempio è la semina su sodo o la minima lavorazione, che riducono la quantità di gasolio necessaria per l'utilizzo delle macchine e al contempo, eliminando o minimizzando l'inversione degli strati di suolo, conservando intatta nel terreno la presenza di biomassa che nel processo di crescita ha sequestrato proprio CO2.


Gli ostacoli alla riduzione delle emissioni

Gli agricoltori dovrebbero essere i primi a voler mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, poiché questi colpiscono in primo luogo proprio le aziende agricole. Si trovano però di fronte a due ordini di problemi. Il primo è sicuramente economico. Le quotazioni della carne bovina, ma anche suina e avicola, sono tali da non lasciare molto spazio ai nostri produttori per investire in soluzioni ecco-sostenibili. In quest'ottica l'Unione europea, che ha tra gli obiettivi proprio la lotta ai cambiamenti climatici (ma che al contempo vuole tagliare i fondi per la Pac), dovrebbe rendere disponibili maggiori risorse. Dall'altro lato è sicuramente difficile cambiare il modo di lavorare e implementare soluzioni nuove, la cui efficacia è provata ma non toccata con mano direttamente dagli allevatori.

C'è poi il tema di fondo, quello della globalizzazione. Ad oggi i maggiori responsabili delle emissioni climalteranti non sono certo i paesi europei, che già in passato hanno affrontato sforzi titanici, quanto il Sud America e l'Asia. Eppure, se si vuole raggiungere l'obiettivo della Cop 21, e cioè mantenere l'innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo, è necessario che ognuno faccia la propria parte. Agricoltura europea compresa.