L'idea è buona. Valorizzare le produzioni degli allevamenti che mettono il benessere degli animali al primo posto.
Prima della produttività, prima del mercato e prima del tornaconto economico.

A lanciare l'iniziativa è l'Associazione allevatori dell'Emilia Romagna (Araer), "costola" regionale dell'Associazione italiana allevatori (Aia). Come partner del progetto figura la centrale del latte di Cesena, il tutto incentrato come intuibile, sui prodotti lattiero caseari, dal latte fresco ai formaggi.
 

Piccolo è bello

A chi obiettasse che l'associazione allevatori poteva scegliere un alleato più importante del polo lattiero cesenate (e in Emilia Romagna c'è solo l'imbarazzo della scelta), rispondono i numeri di questa centrale romagnola del latte.

Un fatturato che nel 2017 ha superato i 13 milioni di euro, con la prospettiva di sfiorare a fine 2018 i 14 milioni di euro.
Dimensioni contenute, ma non modeste e forse più adatte all'obiettivo che il progetto si è dato. Perché è innegabile che sui numeri piccoli il controllo può essere più efficace.
 

Nome da rivedere

Peccato però per il nome scelto. "Gli allevamenti del benessere" appare discriminatorio nei riguardi di tutti gli altri allevatori, e sono la maggior parte, che ogni giorno fanno il possibile e talvolta l'impossibile, per il benessere dei loro animali.

Inoltre chi acquista i prodotti degli "allevamenti del benessere" potrebbe essere indotto a pensare che nelle stalle "normali" gli animali siano maltrattati, assecondando così una diffusa convinzione che non ci sia differenza fra allevamenti e lager.
 

Le leggi del benessere

Certo, esistono casi di maltrattamenti, ma si tratta di comportamenti illeciti e come tali da denunciare e perseguire.
Lo dicono le norme sul benessere degli animali, che prendono le mosse da direttive comunitarie varate da molti anni (98/58/CE) e più volte aggiornate e migliorate negli anni successivi.

Direttive puntualmente accolte in Italia da precisi riferimenti normativi, il cui rispetto è verificato dai servizi veterinari che fanno capo al ministero della Salute.

Dunque tutte le produzioni animali italiane provengono da "allevamenti del benessere" e non solo quelle che escono dal polo lattiero romagnolo. Certo, in questo caso sono previste norme più stringenti per il benessere e qualche controllo in più.
 

Più benessere e più controlli

Vediamo quali sono questi elementi aggiuntivi.
Come illustrato nel presentare il progetto "allevamenti del benessere", vengono prese in esame cinque aree strettamente collegate ad una buona condizione di allevamento e cioè il management aziendale, le strutture aziendali, il comportamento degli animali, la biosicurezza e infine le condizioni ambientali.

Il tutto seguendo il protocollo messo a punto dal Centro di referenza nazionale per il benessere animale che ha sede presso lo Zooprofilattico Ubertini.
Sulla base dei dati raccolti dai tecnici dell'Araer, poi validati dai veterinari dell'Ubertini, viene stilato un punteggio che esprime il suo massimo nella definizione di "condizione ottimale di benessere".
Le aziende che raggiungono questo livello, o che ad esso si avvicinano almeno per il 60%, possono rientrare fra gli "allevamenti del benessere".
 

Un nome "giusto"

Meglio però sarebbe stato scegliere una definizione più puntuale, ad esempio "allevamenti ad ALTO benessere" o qualcosa di simile.

Qualificava meglio l'iniziativa e non prestava il fianco a interpretazioni sbagliate.
In ogni caso, resta il plauso per l'idea, che mi auguro abbia successo.