Già il nome, campi maledetti, descrive con efficacia i paurosi scenari conseguenti alla presenza del bacillus antracis, il responsabile del carbonchio ematico, malattia che colpisce uomini e animali, specie se questi ultimi sono erbivori.

A fine 800, quando la malattia era diffusa, ma non se ne conoscevano a fondo le cause, bovini e ovini che pascolavano su questi campi contraevano la malattia e il contagio si poteva trasmettere anche all'uomo.

Passavano gli anni, ma quei campi e quei pascoli, a dispetto del passaggio delle stagioni, incuranti di inverni rigidi o estati torride, continuavano a mietere vittime.

Incomprensibile allora come potesse la malattia restare per tanto tempo pronta a colpire. Campi maledetti, appunto, dove l'unico rimedio era evitare di farvi pascolare gli animali.
 

I primi studi

Poi arrivarono Robert Kock e Louis Pasteur a risolvere il mistero, spiegando che il bacillus antracis è un batterio sporigeno, e affida alla produzione di spore la sua sopravvivenza alle condizioni più estreme.

E quando queste spore incontrano un erbivoro, meglio se un ruminante, come accade a un seme quando incontra la terra, la malattia risorge, cattiva come prima.

Perché il carbonchio ematico, così si chiama la malattia, determina elevata mortalità, sia negli animali sia nell'uomo.
Un altro suo nome è antrace, forse più noto per l'essere in più occasioni finito sulle pagine dei giornali come protagonista di possibili guerre batteriologiche.
 

La situazione

Dopo aver compreso come la malattia si trasmette e quali sono le sue caratteristiche, è stato possibile prevenirla, sia allestendo vaccini, sia con alcune norme igieniche, come proibire il sotterramento delle carcasse di animali. Pratica che in passato consentiva il perpetuarsi della malattia attraverso le spore.

Eppure il carbonchio ematico continua ad essere presente, sebbene con un numero di casi limitato. In Italia la malattia è stata segnalata in passato in molte regioni, in particolare nel Mezzogiorno.

Uno dei più recenti episodi ha riguardato nell'agosto dello scorso anno la provincia di Roma, caso prontamente messo sotto controllo, come approfondito da AgroNotizie.

In Sicilia la situazione desta ancora qualche preoccupazione dopo un certo numero di casi registrati negli anni passati. Motivo che ha indotto le autorità sanitarie a confermare l'obbligatorietà della vaccinazione per bovini, ovini ed equini di alcuni comuni delle province di Catania, Enna e Palermo.


I sintomi negli animali...

Le regole per prevenire il carbonchio ematico sono note. Divieto di sotterramento delle carcasse animali e vaccinazioni ne sono i pilastri.

Non meno importante è conoscere come la malattia si manifesta. L'infezione si contrae prevalentemente per via digerente, dove le spore germinano per poi interessare i linfonodi e il sangue con la produzione di tossine. Il decorso della malattia può essere brevissimo, con un incubazione di appena un giorno o superare la settimana.

Nei bovini e in particolare negli ovini la forma iperacuta si conclude rapidamente con la morte dell'animale.
Nella forma acuta si ha febbre elevata, sino ai 42 gradi di temperatura, respirazione alterata (dispnea), disfunzioni del digerente con coliche e diarrea, mentre le urine possono evidenziare presenza di sangue (ematuria).
Anche il latte può presentare tracce di sangue.

Situazioni simili si possono riscontrare negli equini. Anche i suini possono contrarre la malattia, ma a differenza di ovini e bovini si ha una minore mortalità.
 

… e nell'uomo

Nell'uomo si hanno tre forme di carbonchio, respiratoria, cutanea e gastrointestinale.

Nella forma cutanea, si manifesta prurito nel punto di ingresso del batterio, al quale segue la formazione di un'area scura, delimitata da vescicole. Capo, mani e avambracci sono le sedi dove queste lesioni sono più frequenti. Dalla cute il batterio può trasferirsi al sangue e la mortalità, in assenza di trattamenti, può arrivare al 20%.

Nella forma respiratoria, che si realizza nella lavorazione della lana o delle pelli, la malattia ha una partenza subdola, sovrapponibile ad una banale influenza. I sintomi poi si fanno più marcati e in caso di diagnosi tardiva la mortalità è assai elevata.

Più raramente il batterio è assunto per via digerente e in questi casi prevalgono le sintomatologie gastroenteriche. Resta tuttavia elevata la mortalità.
 

Prevenire si può

Dunque una malattia che pur con intensità sempre minore continua ad essere presente e che può trasmettersi dall'animale all'uomo per più vie, con conseguenze spesso infauste. Cosa che impone una seria e attenta profilassi, come previsto dai regolamenti di polizia veterinaria.

La vaccinazione rappresenta in particolare uno dei principali strumenti di prevenzione della malattia.
La produzione del vaccino contro il carbonchio ematico è affidata in Italia all'Istituto zooprofilattico della Puglia e della Basilicata, uno dei 28 laboratori mondiali e fra gli 8 europei autorizzati a questa produzione.
Il vaccino non è venduto, ma messo a disposizione dei servizi veterinari.
Il tutto con elevatissimi gradi di biosicurezza.