Dove sta andando la produzione mondiale di latte? A vedere i dati forniti da Clal.it, portale di riferimento per il settore lattiero caseario, l'anno 2018 è iniziato con la crescita della produzione di latte nella maggior parte delle regioni mondiali: +2,7% le consegne dei principali paesi esportatori (Argentina, Australia, Bielorussia, Cile, Nuova Zelanda, Turchia, Ucraina Usa, Ue-28, Uruguay) nel bimestre gennaio-febbraio, rispetto allo stesso periodo del 2017.
 

Pressioni ribassiste sul prezzo

Questa dinamica sta esercitando una pressione al ribasso sui prezzi del latte alla stalla abbastanza diffusa, anche se non generalizzata.
 

Crollo Usa

Basti pensare che il prezzo del latte alla stalla negli Stati Uniti è sceso a 27,32 euro/100 chilogrammi nel mese di febbraio, con una flessione del 27,2% rispetto al primo bimestre del 2017. Solo a novembre il latte veniva pagato ai produttori americani 34 euro. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario del dipartimento Agricoltura Usa, Sonny Perdue, che ha sollecitato gli allevatori a sottoscrivere il programma di protezione dei margini del latte (Mpp, Milk protection project), che è stato nelle ultime settimane adattato per rispondere maggiormente alle esigenze di un mercato estremamente volatile e globalizzato.
 

Giù anche l'Olanda

Anche la cooperativa big Friesland Campina ha virato verso il ribasso e per il mese di aprile ha annunciato che pagherà il latte crudo alla stalla 34,50 euro per 100 chilogrammi, cioè 1 euro in meno (35,50 euro/100 chilogrammi) rispetto al mese di marzo. Un ripiegamento del prezzo derivato, secondo la realtà olandese, dal leggero calo previsto dei prezzi del latte delle società di riferimento e dall'aumento dell'offerta di latte nell'Unione europea.
 

Critiche all'Ue

In Nuova Zelanda, patria dell'export lattiero caseario, secondo gli analisti di Clal.it gli operatori lamentano la pressione sul mercato degli eccessivi stock europei di polvere di latte scremato (Smp), che influenzano negativamente i prezzi dei mercati. Al contempo, l'allerta proviene anche da Oltreoceano. Negli Stati Uniti, infatti, nel mirino ci sarebbe la super-produzione europea, accusata di non essere in equilibrio con l'attuale domanda globale.
 

Il commissario Hogan

Questa volta, tuttavia, difficilmente si potrà accusare il commissario europeo all'Agricoltura, Phil Hogan, di aver sottovalutato il problema. Già nella prima metà di marzo era intervenuto con un appello tutt'altro che oscuro.
"Gli agricoltori europei devono capire che non possono continuare ad aumentare sostanzialmente la produzione di un particolare prodotto, se non hanno un mercato per questo surplus. Se la loro industria di trasformazione non ha un giusto equilibrio tra offerta e domanda sul mercato dei prodotti lattiero caseari, ci sarà una riduzione del prezzo per l'allevatore", aveva tuonato Hogan.
 

Le consegne comunitarie

I numeri confermano l'aumento delle consegne europee, cresciute del 3,8% a gennaio. Un dato medio, figlio di diversi trend. La crescita è avvenuta in Italia (+5,1%), in Germania (+5,2%), in Francia (+3,9%), in Austria (+10,3%), in Belgio (+8,3%), in Danimarca (+2,4%), nel Regno Unito (+1,2%), in Repubblica Ceca (+4,8%), in Spagna (+5,1%) e, nonostante la diminuzione delle vacche, la produzione è aumentata in Irlanda dell'1,5% e in Polonia del 4,3%.

Caso a parte i Paesi Bassi, tra i grandi paesi produttori di latte, che hanno segnato un decremento produttivo dello 0,5%. Non molto, ma abbastanza significativo. L'Olanda, da sempre all'avanguardia come mentalità commerciale e di sensibilità ambientale, ha introdotto le quote fosfati, variabile che si è sommata alla direttiva nitrati e sta rimettendo in discussione il modello di allevamento intensivo.
Ci vorranno anni, certamente, anche perché il segmento lattiero caseario è un'economia tutt'altro che marginale nelle grandi pianure olandesi, ma nel frattempo l'opinione pubblica si sta interrogando su cosa è giusto fare per proteggere l'ambiente.
 

Non tutto è perduto

Eppure, nonostante sia corretto non abbassare la guardia, l'analisi del team di Clal.it lascia qualche speranza. La siccità in Nuova Zelanda, combinata con un aumento delle importazioni dal Sud-Est asiatico e l'avvicinamento della punta della produzione di latte nell'emisfero settentrionale, avvertono, potrebbe significare che l'entità del ribasso dei prezzi non è così ampia come si pensava in precedenza.
 

Quotazioni latte Italia in aumento

In effetti, le piazze di Verona e Lodi, riferimenti nazionali per il mercato del latte liquido, non segnalano flessioni. Anzi, hanno invertito la tendenza. Ed è anche per questo che il mondo agricolo rigetta il ribasso unilaterale applicato sulle consegne da Italatte.

Lo scorso lunedì 9 aprile sulla piazza di Lodi il latte spot (in cisterna, ndr) è stato quotato 30,25 euro per 100 kg, in aumento dell'1,68% rispetto alla quotazione precedente. Incremento superiore (+3,33%) a Verona, dove il latte crudo spot è arrivato a 31 euro per 100 chilogrammi.
Bene anche le tendenze del latte intero pastorizzato spot estero, che è salito del 3,51%, toccando 29,50 euro al quintale, così come sulla piazza di Lodi sono stati registrati gli stessi segnali positivi per il latte intero pastorizzato spot di provenienza francese (28 euro per 100 kg, +3,70%) e per il latte intero pastorizzato spot di provenienza Germania, salito a 29,50 euro al quintale, l'1,72% in più rispetto alla settimana precedente.