Dopo cinque anni di continua flessione dei consumi, le carni di vitello hanno invertito la tendenza, facendo segnare nel 2017 un aumento dell'1,5% in quantità e un più 2,3% in valore.

Poca cosa, si dirà, ma l'aver interrotto un trend che proseguiva da tempo e che dal 2012 aveva eroso oltre il 30% del consumo di queste carni, è un evento non solo inaspettato, ma degno di nota.

A confermarlo sono le analisi di Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare), che hanno fatto il punto sull'andamento di questo comparto, analizzandone le singole componenti.


Chi e dove compra

Si scopre così che è rimasto praticamente immutato il numero di famiglie che abitualmente acquista carni di vitello, ma è aumentata la quantità che si porta in tavola.

Altro elemento che scaturisce dalle analisi Ismea, è la distribuzione geografica degli acquisti, che vede al primo posto l'area Centro meridionale, mentre nelle regioni del Nord i consumi restano fermi ai valori dell'anno precedente, o persino in flessione, come nel Nordest.
 

Il vitello e i giovani

Altro elemento preso in considerazione è la tipologia del consumatore.
Al primo posto si collocano le famiglie più avanti negli anni, insieme alle coppie con figli.

I giovani al contrario continuano a disertare le carni di vitello, tanto che anche il 2017 fa segnare in questo segmento un calo pesante (-15%).

Infine il canale di vendita, con il ruolo importante delle macellerie tradizionali, attraverso le quali transita circa un terzo delle carni di vitello commercializzate, mentre segnano il passo le vendite presso la grande distribuzione organizzata.
 

Le carni e la crisi

Molte le indicazioni che si possono trarre da queste analisi di Ismea. In linea generale questa evoluzione dei consumi si può interpretare come il segnale di un allentarsi della stretta economica.

E' intuibile che carni che si posizionano nella fascia alta di prezzo, come nel caso delle carni di vitello, siano le prime ad essere penalizzate nelle fasi di congiuntura negativa dell'economia.
Dunque un segnale, per quanto non esaustivo, di un miglioramento della capacità di spesa delle famiglie.

Non è un caso che gli aumenti più significativi nel consumo di carni di vitello si sia registrato nelle aree del Mezzogiorno, dove il morso della crisi economica si è più sentito.
Al Nord il consumo è invece rimasto costante, o in flessione in alcune aree, come anticipato.
 
Pecentuale dei consumi di carni di vitello dal 2012 al 2017
Evoluzione dei consumi di carne di vitello
(fonte Ismea)
 

I segnali

Questa divisione nell'andamento dei consumi fra Nord e Mezzogiorno, deve far riflettere. Come pure l'andamento dei consumi per fasce di età.

I giovani in età "pre-famigliare", categoria nella quale rientrano molte tipologie, non hanno partecipato a questa crescita dei consumi di carni di vitello. Ciò lascia presumere che il loro ingresso nell'età più adulta non cambierà le loro abitudini, penalizzando il consumo di carni di vitello.

Nemmeno un più sostenuto rilancio dell'economia sembra in grado di invertire questa tendenza, se si osserva quanto avvenuto ad esempio nel Nordest.
 

Quando c'era il vitello a carne bianca

Quello della carne di vitello è tuttavia un comparto "minore", più apprezzato in Italia rispetto ad altri paesi europei.

Una sorta di "eredità" della filiera del vitello a carne bianca, che prendeva le mosse dalla disponibilità di vitelli maschi delle razze da latte, portati alla macellazione dopo un alimentazione a base esclusivamente di latte in polvere.
Pratica oggi abbandonata, anche per rispetto delle norme comunitarie e sostituita da vitelli portati ad un peso maggiore e nella cui alimentazione rientrano anche alimenti solidi.
 

La riscoperta della carne

Se per la carne di vitello il futuro non sembra offrire particolari opportunità, va tuttavia ricordato che più in generale si assiste a una "riscoperta" della carne bovina, troppe volte minacciata da insensate campagne di demonizzazione, per presunte e inesatte accuse di nocività per la salute.

Nel 2017, infatti, il consumo di carni rosse è cresciuto del 3,4%, contestualmente all'aumento della produzione, aumentata di quasi l'1%.
Merito anche dell'andamento dei prezzi all'origine, che hanno fatto registrare un più 5%, interrompendo una fase di prezzi bassi che stava mettendo a dura prova la sopravvivenza dei nostri allevamenti di bovini da carne.

Un segnale positivo che apre all'ottimismo, in particolare per le aziende che sapranno puntare sull'innovazione in stalla e sull'organizzazione della filiera.