Per i suini è di nuovo crisi, ma non è una sorpresa. Già un primo allarme lo aveva lanciato Agronotizie nel suo Speciale Cremona. Gli “ingredienti” per prevedere l'approssimarsi di un crollo delle quotazioni c'erano tutti. Dall'aumento dei listini del suino pesante che in ottobre viaggiavano intorno a quota 1,80 euro chilo, al tentativo degli allevamenti di inseguire il vento favorevole aumentando il numero di scrofe in produzione. Ad accelerare la crisi ci hanno poi pensato le industrie di trasformazione che hannno aumentato la già enorme importazione di cosce “leggere” provenienti dal Nord Europa. Certo, “prosciuttini” che nulla hanno a che vedere con i nostri prosciutti Dop, ma che a questi ultimi hanno rubato spazio giocando certo sul prezzo e forse anche su una millantata “italianità”.
Ancora chiusure
Il risultato, ora, è un mercato in affanno con prezzi che per i suini pesanti faticano a raggiungere 1,4 euro al chilo, e in molti casi non si arriva nemmeno a stabilire una quotazione. Nè ci si può aspettare a breve una svolta. L'aumento del numero di scrofe in produzione potrebbe persino accentuare una situazione già difficile. I prezzi di mercato non coprono nemmeno i costi di produzione, mentre in molti casi gli allevatori devono far fronte agli investimenti fatti per adeguarsi alle nuove norme sul benessere animale. In altri Paesi, come ad esempio in Francia, l'aggiornamento degli impianti è stato accompagnato da politiche di sostegno, per lo più attraverso facilitazioni per l'accesso al credito. In Italia nulla di tutto ciò e ora per molti allevamenti si profila lo spettro di non poter onorare i debiti contratti con le banche. E il rischio chiusura in molti casi si fa sempre più concreto.
Un appello alle industrie
Anche Coldiretti ha voluto lanciare un allarme per la difficile situazione del settore nel quale trovano occupazione oltre 100mila addetti e che fornisce materia prima indispensabile per la realizzazione dei nostri salumi e insaccati Dop. Come uscirne? Inutile rivolgersi al “Palazzo”, in tutt'altre faccende affaccendato. E poi non ci sono soldi, che a dire il vero nemmeno gli allevatori chiedono. Da sempre sono abituati a far da soli. Meglio rivolgersi alla “controparte”, a quegli industriali della trasformazione, per lo più riuniti in Assica, che oggi preferiscono risparmiare qualche spicciolo con le importazioni, ma che così facendo mettono in forse la sopravvivenza del settore. Continuando su questa strada finiranno per ridurre al lumicino la produzione suinicola nazionale. E quando ciò sarà successo comprare una coscia di suino pesante da trasformare in prosciutto di Parma, o in un San Daniele come in uno degli altri nostri magnifici prosciutti Dop, costerà una fortuna. E le industrie non potranno rimettere a posto i loro bilanci solo con prosciuttini anonimi. Uno scenario futuribile che certo non è sfuggito ai “capitani” d'industria. Ma è meglio ricordarglielo. Così, magari, eviteranno di disertare la “borsa dei suini”, il Cun di Mantova, per puntare ad un ribasso dei prezzi che finirà con il penalizzare tutti. Industrie comprese.
11 novembre 2013 Zootecnia