Il bagolaro (Celtis australis L.) è un albero deciduo della famiglia delle Cannabacee (anticamente collocato fra le Ulmacee) noto anche come "spaccasassi" perché il suo possente apparato radicale è capace di svilupparsi in terreni sassosi.

 

È una specie autoctona, presente in tutta Italia anche allo stato subspontaneo in siepi e boschetti presso gli abitati, al di sotto della fascia montana. Esistono inoltre una specie alloctona, il bagolaro occidentale introdotto dall'America settentrionale nel Diciannovesimo Secolo, ed una sottospecie autoctona, il bagolaro di Tournefort (Celtis tournefortii Lam.) che cresce esclusivamente sulle pendici dell'Etna.

 

Il bagolaro ha un areale che si estende dal Mediterraneo fino alle zone basse del Nepal. Di fatto, la maggior parte della letteratura scientifica disponibile su questa specie riguarda l'uso medicinale e quello foraggero che ne fanno le popolazioni dell'Himalaya. Nella letteratura scientifica occidentale si trovano solo riferimenti generici.

 

Un albero dai mille utilizzi

Il bagolaro comune viene frequentemente coltivato come pianta ornamentale soprattutto lungo le vie perché resiste all'inquinamento e cresce su qualsiasi tipo di suolo, anche coperto dal manto stradale.

 

Eppure si tratta di una specie con grande potenziale produttivo, in grado di fornire numerosi prodotti utili e anche servizi ecosistemici:

  • È una specie frugale, comune sulle rupi e sui ruderi, che si presta bene all'utilizzo per il rimboschimento di pendii aridi.
  • Il suo fogliame è un ottimo foraggio avente il 18% di proteine (1). Gli estratti alcolici delle foglie hanno proprietà antimicotiche e antimicrobiche (2).
  • I fiori sono melliferi e sbocciano in aprile, precisamente quando le api ed altri insetti pronubi ne hanno più bisogno.
  • Le sue drupe (Foto 1), oltre a fornire nutrimento all'avifauna, sono commestibili (tradizionalmente venivano utilizzate per la preparazione di una confettura e di un liquore). Se consumate fresche, sono fonte di fibra alimentare, antiossidanti e vitamine (2, già citato).
  • I semi legnosi delle drupe contengono un olio simile a quello di mandorle dolci, composto al 73% da acido linoleico, fonte di Omega 6 (3). Il metilestere (biodiesel) estratto da questo olio ha proprietà antibatteriche (4). I semi delle drupe venivano impiegati in alcune aree del Mediterraneo per fare rosari, da cui il nome locale di "albero dei rosari".
  • Il legno, chiaro, molto resistente ed elastico, è impiegato in falegnameria per lavori al tornio ed è un ottimo combustibile, anche per la preparazione di carbone. Si tratta di un legno molto compatto: la sua densità al momento del taglio è pari a 960 chilogrammi/m3; dopo la stagionatura (12% di umidità) si stabilizza a 720 chilogrammi/m3 (Indicazioni pratiche per i controlli sui tagli colturali dei boschi in Regione Lombardia, pagina 35). Il suo Potere Calorifico Inferiore è 3,98 kilowattora/chilogrammo, la qualità della legna è equivalente a quella del faggio.

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Le drupe del bagolaro

Foto 1: Le drupe del bagolaro

(Fonte foto: Euforgen, European Forest Genetics Resource Program)

 

La coltivazione e lo sfruttamento del bagolaro

Il bagolaro si riproduce bene da seme.

 

Il seme può essere piantato appena il frutto è maturo, oppure sottoposto a due, tre mesi di stratificazione a freddo per essere piantato a fine inverno. Il tasso di fertilità in genere supera il 70%. Alcuni studi condotti in India suggeriscono che un pretrattamento in acqua bollente seguito da 48 ore di macerazione in acqua accelera la germinazione.

 

I semi vengono piantati in filari distanziati 20 centimetri, con 2,5 centimetri di spazio fra semi e 2 centimetri di profondità e coperti da pacciamatura. Il letto di semina va tenuto umido per un mese, a questo punto si selezionano le piantine più vigorose, lasciando una distanza finale fra piante di circa 50 centimetri. Le piantine si possono mettere a dimora dopo cinque mesi.

 

È anche possibile propagare il bagolaro mediante talee trattate con Iba in concentrazione di 3mila milligrammi/litro; mediante tralci di radici, estratti da piante di due anni di età e collocati in vasi con torba e sabbia; e anche mediante margottatura (5).

 

La sua spiccata capacità pollonifera fa di questa specie la candidata ideale per lo sfruttamento a ceduo, con densità da cinquecento a mille piante per ettaro. Il turno di ceduazione va da un minimo di cinque, dieci anni per paleria (6), tipicamente 12 anni per legna da ardere, mentre le capitozze richiedono un turno di tre, cinque anni. Se coltivato ad alto fusto, per la produzione di legno pregiato, il turno di maturità va da quaranta a cinquanta anni.

 

Non sono stati trovati dati di produttività di legna relativi a questa specie, probabilmente per il fatto che essa viene coltivata a scopo ornamentale, o cresce in associazione con altre specie. È certamente un argomento che meriterebbe ricerche approfondite, soprattutto in considerazione della considerevole massa ipogea di questo albero, che consentirebbe simultaneamente la produzione di legna da ardere e un importante accumulo di carbonio nel suolo, nell'ottica dei futuri incentivi alla carbonicoltura attesi entro la fine di questo anno.

 

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I punti deboli del bagolaro

Nonostante la sua longevità (cinquecento, mille anni), le dimensioni che può raggiungere (tipicamente 20 metri, fino a 30 metri negli esemplari monumentali), la capacità di crescere su suoli aridi e la tolleranza alla siccità, il bagolaro ha alcuni punti deboli che possono compromettere la sua sopravvivenza (5, già citato):

  • La sua corteccia è molto sottile, per cui teme gli incendi boschivi.
  • È una specie termofila, capace di resistere ghiacciate occasionali, ma che teme inverni troppo rigidi.
  • Cresce bene con precipitazioni annue nell'intervallo da 1.200 a 2.500 millimetri, tollera la siccità ma non il ristagno d'acqua.
  • È una specie eliofila, quindi non si sviluppa bene all'ombra di altre piante a più rapido accrescimento (ad esempio la robinia). Si abbina bene in siepi con berretta del prete (Euonymus europaeus), ligustro (Ligustrum vulgare) e rovo selvatico (Rubus ulmifolius). Nei cedui misti (6, già citato) troviamo il bagolaro assieme a: nocciolo (Corylus avellana L.), betulla (Betula pendula Roth), ontano bianco (Alnus incana (L.) Moench), pioppo tremolo (Populus tremula L.), ontano nero (Alnus glutinosa (L.) Gaertner) e ontano napoletano (Alnus cordata Loisel.).
  • Fra le malattie che possono colpirlo si segnalano alcune virosi che provocano microfillia ed arricciamento fogliare, con maculature giallastre e formazione di bolle, oltre che riduzione dello spessore. Sempre a causa di virus si ha talvolta la formazione di "scopazzi", rami affastellati e di spessore ridotto. Fra i funghi parassiti, l'ascomicete Taphrina celtidis si manifesta con chiazze grigio brune sulla pagina fogliare.

 

Bibliografia

(1) Negi AK, and Todaria NP. Nutritive value of some fodder species of Garhwal Himalaya. In: Higher Plants of Indian Sub-continent. Indian Joumal of Forestry, 1994; 3 (110): 117-123.

(2) Ota, A., Višnjevec, A. M., Vidrih, R., Prgomet, Ž., Necemer, M., Hribar, J., Cimerman, N. G., Možina, S. S., Bucar-Miklavcic, M., & Ulrih, N. P. (2016). Nutritional, antioxidative, and antimicrobial analysis of the Mediterranean hackberry (Celtis australis L.). Food science & nutrition, 5(1), 160–170.

(3) Rashidi Nodeh, Hamid & Rashidi, Ladan & Mahamid, Gabris & Gholami, Zahra & Shahabuddin, Syed & Sridewi, Nanthini. (2020). Chemical and Physical Characterization of the Hackberry (Celtis australis) Seed Oil: Analysis of Tocopherols, Sterols, ECN and Fatty Acid Methyl Esters. Journal of Oleo Science. 69. DOI: 1359-1366. 10.5650/jos.ess20128.

(4) Semwal, Ruchi & Semwal, Deepak & Rawat, U. (2010). Fatty Acid Composition and Antimicrobial Activity of Celtis australis L. Fruits. Journal of Scientific Research. 2. 397-402. DOI:  10.3329/jsr.v2i2.4056.

(5) Ram Prakash Yadav, Jaideep Kumar Bisht, Celtis australis Linn: A Multipurpose Tree Species in North West Himalaya; Int. J. Life. Sci. Scienti. Res., 1(2): 66-70, November 2015.

(6) Orazio Ciancio - Susanna Nocentini; Il bosco ceduo Selvicoltura Assestamento Gestione; Accademia Italiana di Scienze Forestali, pagina 296.