La diversità genetica delle piante coltivate, la così detta agrobiodiversità, è un fattore di fondamentale importanza per garantire la produttività agricola e la sicurezza alimentare.

 

Questa diversità, infatti, è alla base delle capacità di adattamento delle piante e della possibilità per l'uomo di selezionare varietà adatte a determinati usi o a determinati ambienti.

 

Studiare questa diversità genetica per capire come cambia o come si conserva nel tempo diventa quindi importante per poter trarre considerazioni utili sia alla conservazione della diversità che al suo utilizzo in programmi di selezione e miglioramento.

 

Così la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa ha portato avanti uno studio sulla agrobiodiversità genetica del mais proprio in una delle terre dove il mais è originario, il Messico, studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Heredity.

 

Per farci spiegare meglio cosa è stato fatto e cosa è venuto fuori da questo studio, abbiamo intervistato il professor Matteo Dell'Acqua, coordinatore del Centro di Scienze delle Piante del Sant'Anna, che ha guidato questo studio.

 

Professor Dell'Acqua, perché andare fino in Messico per studiare il mais?

"Oggi, il mais è una delle principali colture in tutto il mondo. Eppure, lo straordinario successo agronomico di oggi nasce in un luogo e in tempo molto specifici: la valle del fiume Balsas in Messico, circa 9mila anni fa. È stata fatta tanta strada da allora, ed il mais è molto diverso da quello coltivato dai nostri antenati. Eppure, proprio in Messico, questa specie ha conservato una grande diversità che è una risorsa ancora inesplorata per il miglioramento di questa coltura. L'agrobiodiversità è natura, ma anche cultura. Le varietà mantenute dagli agricoltori tradizionali messicani sono selezionate e propagate per rispondere a necessità locali, sia per quanto riguarda gli usi alimentari che per quanto riguarda le capacità di adattamento a specifiche condizioni climatiche. Tornare oggi, con i moderni strumenti della genomica, a queste varietà tradizionali significa dischiuderne il potenziale agronomico".

 

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Uno degli agricoltori messicani incontrati nel viaggio di ricerca

(Fonte foto: Denisse McLean Rodriguez - Scuola Superiore Sant'Anna Pisa)

 

Che cosa avete valutato in questo studio sul mais, e che mais avete preso in considerazione?

"Ci siamo recati a casa di agricoltori tradizionali che erano stati coinvolti 50 anni fa in una raccolta della diversità del mais locale da parte di scienziati messicani. Abbiamo parlato con loro, e raccolto quello che oggi coltivano. Abbiamo poi usato tecniche di sequenziamento genomico confrontato i semi raccolti oggi con quelli raccolti 50 anni fa, per osservare come i processi di selezione a carico degli agricoltori locali possano avere mantenuto o modificato l'agrobiodiversità tradizionale del mais, e come questa possa essere messa in relazione a caratteristiche morfologiche e agronomiche di interesse".


Cosa è venuto fuori?

"Molti degli agricoltori interpellati 50 anni fa e delle loro famiglie non sono stati trovati. Questo è determinato dal vertiginoso cambiamento socioeconomico del paese, e dall'espansione del centro urbano di Città del Messico, che ha riconvertito le terre agricole circostanti in aree urbane e periurbane. Molti coltivatori hanno cambiato lavoro, ma alcuni ancora oggi tramandano i semi dei loro avi. Sono queste le famiglie che abbiamo ritrovato, riconsegnando loro i semi donati mezzo secolo fa dai loro padri o loro nonni.

 

In questi casi, abbiamo potuto confrontare i semi mantenuti dagli agricoltori nei campi con quelli raccolti 50 anni fa, seguendo la genealogia di ciascuna varietà locale. Abbiamo visto, dal punto di vista genetico, che attraverso gli ultimi 50 anni gli agricoltori hanno continuato a selezionare per caratteristiche di interesse, ad esempio la larghezza del seme che è considerata importante per la produzione di tortillas. Abbiamo visto che gli agricoltori sono in grado di custodire l'agrobiodiversità, e per questo suggeriamo che vengano coinvolti sempre di più in prima persona nei processi di valorizzazione della loro eredità culturale e colturale".

 

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Alcune delle varietà di mais studiate nel progetto

(Fonte foto: Denisse McLean Rodriguez - Scuola Superiore Sant'Anna Pisa)

 


La Scuola Sant'Anna è impegnata anche nel progetto Capitalise per cercare variabilità genetica nelle principali piante agrarie, mais compreso, e sviluppare programmi di selezione che migliorino l'efficienza fotosintetica e quindi al resa delle colture. Anche questo studio ne fa parte?

"In Capitalise cerchiamo proprio di sfruttare la diversità naturale del mais per identificare fonti di miglioramento dell'efficienza fotosintetica. Il progetto considera diverse collezioni di semi, tra le quali varietà tradizionali e varietà migliorate. Proprio in queste settimane stiamo vedendo i primi risultati promettenti del progetto, che sta dimostrando come la agrobiodiversità di mais, ma anche di pomodoro ed orzo, sia la chiave per accelerare la produzione di varietà più performanti a supporto di un'agricoltura sostenibile e produttiva".