Il miglioramento varietale portato avanti dalle ditte sementiere ha permesso, nel corso degli ultimi settant'anni, di ottenere rese di granella di mais elevate, con profili di qualità e sanità estremamente positivi. Il miglioramento genetico, che ha gettato le basi per la crescita della zootecnia nella Pianura Padana, si è però concentrato nello sviluppare soluzioni per la pianura e per una industria alimentare e mangimistica che ha bisogno di qualità elevate e standardizzate.

Negli ultimi tempi però, un po' come è successo per il frumento, si stanno riscoprendo varietà locali cadute in disuso o coltivate solo da pochi agricoltori su superfici estremamente limitate. Varietà che non possono certo stare al passo con gli ibridi moderni, ma che in certi contesti possono avere ancora una ragione d'esistere.

Parliamo di aziende di collina o di montagna, dove il contesto ambientale non è certo adatto alle varietà moderne. Oppure ancora aziende biologiche, che non possono ricorrere a certi input produttivi, quali concimi di sintesi e agrofarmaci (se non ammessi in biologico). In questi contesti le varietà locali possono giocare ancora un ruolo importante.

All'interno di questa cornice sono nati due progetti di ricerca. Ricolma, Ricupero, Caratterizzazione e Coltivazione del Mais Antico, finanziato dal Psr dell'Emilia Romagna e che vede coinvolti l'Università Cattolica di Piacenza, l'Università degli Studi di Pavia e il Crpv. E Valomays, finanziato dalla Regione Lombardia, che vede interessati il Crea con il suo Centro di Cerealicoltura e Colture Industriali e l'Università degli Studi di Milano.


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Il recupero delle "antiche" varietà

Le varietà di mais sono state recuperate dalle Banche del Germoplasma del Crea, oppure presso agricoltori che ancora le coltivano nei propri campi. Tale mais è stato poi testato presso aziende agricole sparse sul territorio in modo da registrare la risposta alle varie condizioni ambientali. I dati raccolti riguardano ad esempio l'adattabilità a differenti quote, la risposta agli stress idrici, il fabbisogno di nutrienti, la suscettibilità a malattie, la tipologia di granella prodotta e le sue caratteristiche.

"Abbiamo identificato diverse varietà che si adattano benissimo ai climi di alta collina bassa montagna, con altitudini anche di 1000 metri", racconta Matteo Busconi, professore di Genetica Agraria presso l'Università Cattolica di Piacenza e responsabile scientifico del progetto Ricolma.

"Sono varietà selezionate nel corso degli anni dagli agricoltori stessi e che si sono bene adattate ai contesti in cui erano coltivate in passato. Sono tipologie di mais piuttosto rustiche, che non hanno bisogno di irrigazione né di fertilizzazioni spinte. Certo, non sono produttive come gli ibridi moderni, ma offrono comunque interessanti produzioni".

L'obiettivo di queste varietà di mais non è certo quello di fare concorrenza agli ibridi moderni, quanto di dare vita ad una filiera destinata al consumo umano, dove il consumatore può sperimentare delle esperienze nuove. Da queste varietà possono infatti essere ricavati prodotti come farine per la polenta, biscotti, birra, gallette ed altro ancora, destinati a quella nicchia di consumatori alla ricerca di sapori nuovi.

Nessun claim salutistico dunque, ma la consapevolezza che molte persone oggi sono alla ricerca dei "sapori di una volta". Una tendenza che può creare una nuova filiera e ridare fiato ad aziende che oggi fanno fatica ad operare all'interno del comparto zootecnico o industriale.

Ma c'è di più, perché lo studio di queste varietà può anche avere risvolti interessanti per le società di breeding. L'elevata variabilità genetica all'interno di uno stesso campo può infatti nascondere dei tratti interessanti anche per gli ibridi moderni, come ad esempio una minore suscettibilità ai funghi tossigeni, oppure una migliore gestione dello stress idrico o termico.