Circa settanta microbirrifici, 45 solo nella provincia di Pesaro e Urbino, la birra piace ai marchigiani e la materia prima per produrla a chilometro zero scarseggia: parte da questo presupposto il progetto Highops del Gruppo Operativo #LuppoloMarche per l'adozione di tecniche innovative per la coltivazione e la propagazione del luppolo nelle Marche, per la preparazione e la conservazione nella filiera della birra e per l'utilizzo alimentare e nutraceutico.

Un titolo lunghissimo per un progetto triennale che mira a creare una filiera del luppolo nelle Marche, finanziato attraverso un Psr regionale. All'ultima edizione di Macfrut, a Rimini, sono stati presentati i primi risultati del progetto che coinvolge l'Università Politecnica delle Marche e due aziende agricole.
I risultati, seppure relativi alla Regione Marche, sono interessanti per qualsiasi azienda agricola che abbia intenzione di iniziare a coltivare luppolo dal momento che sono stati messi, nero su bianco, i primi risultati in termini di produzione ma anche i costi di impianto e gestione di un luppoleto.

"Ci stiamo concentrando - ha detto Sofia Paccapelo, titolare dell'Azienda capofila del progetto - sia sul luppolo da fiore che sul luppolo da cima. Le cime vengono utilizzare per il consumo fresco mentre il fiore viene usato o fresco o essiccato per la birra. Il progetto prevede di avviare la coltivazione di luppolo in areale marchigiano, identificare le cultivar, procedere ad analisi qualitativa dei fiori e delle cime e di sviluppare soluzioni innovative anche nel packaging".

Per quanto riguarda la coltivazione di luppolo da cime fresche, dal 2019 sono state messe alla prova cinque varietà (Cascade, Spalt Select, Merkur, Tettnanger, Mittelfruh) all'Azienda Agricola Elena Spinsanti specializzata nella commercializzazione di specie orticole. Nel 2020 sono state eliminate la Tettnanger e la Mittelfruh. L'impianto è stato dotato di irrigazione e fertirrigazione, è stato pacciamato, dotato di pali e fili provando anche quelli da vigneto, risultati validi. Una parte d'impianto è stata organizzata in parete singola, un'altra in parete doppia, a V.

La varietà Cascade, risultata la più produttiva, ha dato al secondo anno 670 grammi di cimette a metro lineare, a settembre 2020 ha prodotto anche coni di luppolo adatti alla produzione di birra con buona qualità in termini di contenuto di alfa/beta acidi. Elena Spinsanti ha calcolato il costo d'impianto e i costi di gestione dello stesso, nonché la resa in termini economici della vendita di cime fresche: a conti fatti, ipotizzando esclusivamente la vendita al dettaglio e lasciando fuori i costi di packaging e refrigerazione, il margine per un impianto di mille metri quadrati, con interfila 4 metri è di 1.484 euro annui, con interfila 3 metri il margine annuo è di 1.958 euro. Il prezzo medio di vendita al dettaglio si aggira sui 39 euro al chilogrammo, quello all'ingrosso sui 27 euro al chilogrammo. A incidere pesantemente sui costi è la manodopera, sia per la raccolta sia per le altre operazioni colturali prima e dopo la raccolta. (Per scaricare la relazione dettagliata di Elena Spinsanti basta collegarsi al sito del progetto Highops nella sezione eventi).

L'Università Politecnica delle Marche, sotto la responsabilità del professore Bruno Mezzetti, ha messo alla prova in un campo sperimentale cinque varietà: Cascade, Chinook, Centennial, Comet e Merkur. Le piante sono state messe a dimora nel 2019, a fine estate. L'impianto, la cui durata è prevista in 15 anni, composto da cinque file per 50 metri ciascuna, è stato dotato di fertirrigazione. Lo scopo del campo sperimentale (1.100 metri quadrati per 5.263 piante) era quello di "confrontare le varietà, capire quale varietà si adatta di più al nostro ambiente (Marche) e capire se ci sia la possibilità di propagare in maniera diversa", ha raccontato Francesca Balducci del team di ricerca del professore Bruno Mezzetti.

Il primo anno di produzione, a causa di traversie varie, è stato il 2021. "Il costo dell'impiantistica è stato di 19mila euro su 1.100 metri quadrati di superficie. Abbiamo dovuto affrontare nella stagione 2021 attacchi di peronospora e abbiamo avuto una problematica di siccità, nonostante l'impianto di irrigazione" ha detto ancora Francesca Balducci. "La stima di produzione a ettaro è stata di 10 quintali, veramente poco rispetto a ciò che si sarebbe potuto ottenere. Per quanto riguarda le varietà, nel nostro areale, abbiamo visto che Chinook vanta la maggior vigorìa e la maggiore produzione, Centennial e Chinook sono quelle che hanno mostrato maggior resistenza alla peronospora, Chinook è anche la varietà che ci ha dato maggior numero di fiori per pianta, ottocento fiori a tralcio, su due tralci".

Per quanto riguarda problematiche fitosanitarie e bisogni nutrizionali, "il luppolo - ha detto Francesca Balducci - ha bisogno di azoto e di un'acidificazione del terreno, risponde meglio quando il terreno non è alcalino come nelle Marche. Per ridurre la clorosi bisogna usare ferro perché le foglie non ingialliscano. Ha bisogno poi di un sostegno idrico elevato perché ha uno sviluppo importante, la pianta raggiunge anche i 6-7 metri. Per quello che riguarda la difesa la pianta soffre delle stesse malattie che riguardano la vite, peronospora e oidio. In alcuni casi può colpire anche la piralide".