Anche nei momenti più difficili possono nascere idee che si trasformano in opportunità positive. Ne è la prova il caso della prima noce biologica italiana che arriva dall'Emilia-Romagna. Nel momento di massima crisi del settore pere, un gruppo di amici si è riunito per cercare di capire quale fosse la direzione da intraprendere per dare una svolta alla propria attività agricola.

"Era un momento drammatico, anche le grandi aziende si guardavano attorno per capire cosa fare, perché avere tanti ettari non necessariamente vuol dire avere molto reddito, può significare avere tanti problemi" racconta Gianluca Vertuani, presidente del Consorzio noci del Delta del Po, oltre che presidente di Confagricoltura Ferrara e vicepresidente di Confagricoltura Emilia-Romagna.

"Ci siamo interrogati su quale fosse la coltura che avrebbe potuto dare un riscontro economico a tutti. Dopo una lunga dissertazione abbiamo individuato nel noce la produzione che faceva al caso nostro, anche alla luce dell'esperienza fatta dalla Cti di Imola che ha riconvertito alcuni terreni a noce: siamo andati a vederla, abbiamo parlato con i loro tecnici e da lì ci siamo appassionati alla coltura".
 

Il noce nel Delta del Po

Così è iniziata l'avventura delle aziende agricole Guidi e Volta e Gestioni agricole Vertuani che si trovano a Codigoro, in provincia di Ferrara, dell'azienda agricola Porto Felloni della famiglia Salvagnin a Lagosanto (Fe) e dell'azienda agricola Colombarini a Russi, in provincia di Ravenna, per un totale di 164 ettari coltivati; ogni anno è previsto un incremento di 10-15 ettari a seconda di chi, a turno, fa gli investimenti.

"120 ettari sono coltivati con la varietà Chandler: americana, semplice da aprire, facilmente lavorabile e con un sapore più conosciuto - afferma Vertuani -. Coltiviamo inoltre le noci Lara: un po' più dure, sono anche più legate al territorio, soprattutto a quello del Veneto dove ci sono grandi produttori di questa varietà, più tardiva rispetto a Chandler".

Il territorio del Delta del Po non è particolarmente vocato per il noce, anzi. Negli anni Cinquanta il territorio del basso ferrarese era un territorio di grande produzione di arachidi, mentre per il noce, spiega Vertuani, si è andati a cercare con analisi pedologiche in tutti i singoli terreni quali fossero i più adatti alla crescita di questa pianta dal punto di vista della tessitura del terreno: quelli che non presentavano ristagno e il meno argillosi possibile. Una volta individuati sono stati tutti lavorati, livellati e drenati.
 
Noci biologiche made in Delta del Po
Le prime noci biologiche made in Delta del Po
(Fonte foto: Confagricoltura Emilia-Romagna)

 

La scelta del biologico

"La decisione di partire con la coltivazione in regime biologico è stata determinata dal fatto che il noce in convenzionale non ha tante armi in più e, in questo modo, avremmo evitato di fare due anni di conversione successivamente. Eventualmente è più semplice e più veloce passare dal biologico al tradizionale che non viceversa".

A dare un'ulteriore spinta a questo progetto è stata anche la possibilità offerta dalla Regione Emilia-Romagna che, tramite il Psr, ha finanziato gli investimenti finora effettuati (sviluppo dei noceti e macchinari necessari alla lavorazione del prodotto) e ha inoltre sostenuto uno studio specifico di ricerca e sperimentazione, in collaborazione con il Crpv, finalizzato alla definizione di un modello previsionale per la difesa fitosanitaria del noce coltivato con metodo biologico, con l'uso di sensori e moderne strumentazioni. Attualmente questo modello previsionale è finanziato dagli imprenditori agricoli stessi, per avere dati completi e continuare lo studio in modo da prevenire il problema della batteriosi, uno dei principali nemici del noce, difendendosi con le armi consentite in biologico.
 
Le noci sono facilmente conservabili
Le noci sono facilmente conservabili
(Fonte foto: Confagricoltura Emilia-Romangna)

 

Un investimento che guarda al futuro

Un mercato, quello del noce e della frutta in guscio in generale, che oggi offre molte opportunità, grazie alla sempre maggiore attenzione per la nutraceutica. In Italia le vendite delle noci in guscio sono aumentate del 13,5% nell'ultimo anno, riporta una nota di Confagricoltura Emilia-Romagna.

Il Belpaese è un grande importatore di questo frutto, motivo che ha spinto Il Consorzio noci del Delta del Po ad avviare la produzione delle noci biologiche. "I costi iniziali degli impianti sono abbastanza ingenti - spiega Vertuani - ma le ore lavoro e la manodopera che servono per il noce sono decisamente molto più basse rispetto a quelle a cui noi eravamo abituati con le pere".

"La raccolta è interamente meccanizzabile e il prodotto è facilmente gestibile perché, una volta che la noce viene essicata, non necessita di frigoconservazione". La noce bio made in Italy è un prodotto di qualità che evita inoltre un lungo trasporto: "Le noci importate che mangiamo vengono prodotte dall'altra parte del mondo, arrivano a noi dopo molto tempo trascorso in nave e magari dopo aver subito sbalzi di temperatura" spiega Vertuani.

"Un ulteriore elemento positivo nella coltivazione del noce è che l'impianto ha una vita lunghissima: infatti, ci sono impianti di 27-30 anni ancora produttivi. Spero che quella del noce si riveli una scelta lungimirante per la quale i miei figli potranno ringraziare un giorno. Partendo con un impianto fatto bene, scegliendo le piante giuste e il vivaista giusto e con scelte oculate, quella del noce è una produzione che porta a dei buoni risultati, anche dal punto di vista della soddisfazione dell'agricoltore".