Il portinnesto, o portainnesto, rappresenta la parte basale o apparato radicale di una pianta sulla quale viene innestata la parte aerea (nesto) di un’altra pianta, compatibile con la precedente. Il risultato di questa operazione è una nuova pianta, ottenuta saldando tra loro le due parti. Gli scopi principali di tale tecnica nei fruttiferi sono diminuire la taglia della pianta, anticipare l'entrata in produzione, aumentare la produttività, indurre resistenza alle avversità biotiche ed abiotiche, gestire meglio il terreno, migliorare le forme d'allevamento, ridurre l'uso dell'acqua, aumentare la sostenibiltà ambientale, migliorare la qualità dei frutti, eccetera. Da diversi anni sono in essere dei programmi di miglioramento genetico che stanno cambiando il catalogo dei portinnesti oggi disponibile per le piante da frutto principali.

Se guardiamo i due principali gruppi dei fruttiferi la situazione attualmente è un po' diversa. Per fotografare al meglio il settore, e per capire al meglio quali sono le prospettive prossime future, la redazione di AgroNotizie ha deciso d'intervistare Walter Guerra - responsabile pomologia di Laimburg - per il melo, Roberto Colombo - ufficio tecnico di Agrintesa - per il pero e Gianluca Pasi - responsabile tecnico e commerciale Geoplant Vivai - per le drupacee.

 

Melo, cambio della guardia in vista

"Nel settore melicolo oggi il principale portinnesto è l'M9 - spiega Guerra -, diffuso per oltre il 90% del mercato. Un vero e proprio monopolio che è stato possibile raggiungere grazie alla sua rusticità, alla sua adattabilità ambientale, alla capacità di dare produzioni abbondanti e costanti nel tempo, frutti di elevata qualità e calibro, un'entrata anticipata in piena produzione (già alla 4°-5° foglia). Negli ultimi anni però sono emerse alcune problematiche che hanno messo in luce dei limiti: non ha particolari resistenze o tolleranze alle malattie (Erwinia amylovora, Afide lanigero, Marciumi del colletto e scopazzi del melo in primis), ha una certa predisposizione alla produzione di polloni, bassa capacità di sostenere stress idrici (anche eccessi d'acqua) ed elevata salinità, una certa predisposizione per la stanchezza del terreno (ed una bassa tolleranza al reimpianto), una scarsa adattabilità ai nuovi sistemi di allevamento moderni a multi-asse ed una bassa resistenza al freddo".

"Oggi esistono diversi programmi di miglioramento genetico in tutto il mondo che realizzano, e sperimentano, nuovi portinnesti che mettano insieme i punti forti dell'M9 con nuovi requisiti di adattabilità pedoclimatica e fitosanitaria, con particolare riguardo ai cambiamenti climatici. Tre sono i progetti di breeding più interessanti: il programma americano di Geneva, quello neozelandese di Plant and food research e quello britannico della East Malling Rootstock Club. L'attività americana si è concentrata sull’obiettivo principale della resistenza alle malattie (in particolare a quelle batteriche e dell’apparato radicale) ed allo sviluppo di portinnesti nanizzanti con un’alta efficienza produttiva ed una certa resistenza alla stanchezza. Tra quelli più interessanti ci sono il Geneva® G11*, il Geneva® G41* ed il Geneva® G213*. Il programma della Nuova Zelanda ha invece puntato ad individuare portinnesti semi-nanizzanti con resistenza a parassiti ed una certa resistenza al reimpianto. Al momento, essendo il programma recente, non sono state rilasciate selezioni in commercio, anche se esiste materiale interessante in fase finale di sperimentazione. Anche il programma dell'istituto britannico, che aveva sviluppato a suo tempo le serie M e MM, non ha ancora messo in commercio portinnesti".

"In futuro ci saranno nuove proposte capaci sostituire l'M9 e di dare nuove opportunità ai melicoltori. Aspetto che renderà più difficile la scelta della varietà anche in base all'interazione ottimale con i vari portinnesti. Aspetto quest'ultimo su cui noi ricercatori dovremo dare risposte. L'arrivo di alcuni nuovi portinnesti pone un quesito che dovrà essere risolto: essi hanno una bassa resa in ceppaia, a differenza dell'M9, e questo necessita di uno sviluppo della micropropagazione che permetta di adattare questa tecnica alle pomacee, ad oggi non ancora utilizzata su larga scala"
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Portinnesto pero, diverse le novità su questo fronte
Anche nel pero c'è qualche novità sui portinnesti: qui il Cotogno BA 29
(Fonte foto: © Geoplant Vivai) 
 

Pero, c'è vita oltre il cotogno

La pericoltura italiana si è sviluppata negli ultimi tre decenni grazie anche all'introduzione del cotogno come portinnesto. Le sue peculiarità sono la capacità di controllare il vigore della varietà e della pianta in genere, permettere l'aumentare della densità d'impianto, ottenere un frutto di qualità e anticipare la messa a frutto delle piante. Nel corso degli anni però si sono evidenziati alcuni limiti agronomici che hanno reso necessario individuare nuovi portinnesti.

Le principali problematiche sono state la disaffinità con alcune varietà, la sensibilità alla clorosi ferrica e l'alternanza produttiva. "Negli ultimi anni - spiega Colombo - abbiamo assistito ad una netta differenziazione della pericoltura in Italia: l'area del ferrarese con aziende medio-grandi, con elevata meccanizzazione, sistemi d'allevamento ad alta densità e con l'uso del cotogno come portinnesto per ridurre la vigoria ed aumentare la produttività; l'area romagnola con aziende piccole, con coltivazione più tradizionale, sistemi d'allevamento a bassa densità (e palmetta) e con l'uso di portinnesti più vigorosi come il franco e gli autoradicati; l'area del modenese che vive una situazione intermedia".

Andiamo più nel dettaglio dei portinnesti. "All'interno del gruppo cotogno abbiamo il cotogno Emc (che è il portinnesto nanizzante per eccellenza), cotogno BA29 (il più rustico e diffuso dei vari cotogni) e il Sydo® (in espansione e tollerante al calcare attivo)". Tra le novità tra i cotogni ricordiamo EMH e Adams, che possono rappresentare due alternative all'EMC. "Alternativa al cotogno abbiamo i portinnesti franchi o le piante autoradicate. Tra i franchi ricordiamo quelli della serie Farold® (ad esempio il 40, il 69 e l'87) e della serie Fox® (ricordiamo il 9, l'11 ed il 16)".

Da segnalare che si sta diffondendo anche l'autoradicazione della Conference su cui viene poi innestata Abate Fetel, situazione però che comporta la necessità del diradamento dei frutti e l'uso dell'irrigazione. Per pianta autoradicata, s'intende moltiplicata per via vegetativa (escluso l'innesto) o proveniente da coltura in vitro, che cresce sul proprio apparato radicale con il vigore tipico della specie cui appartiene: se prendiamo le due principali varietà coltivate (Abate Fetel e William) sarà fatta autoradicare e coltivare sulle proprie radici e quindi non innestata, dando vantaggi quali assenza di disaffinità, notevole rusticità e buona tolleranza al calcare attivo.

 
Portinnesto ciliegio, diverse le novità su questo fronte
Nel ciliegio c'è una rivoluzione: qui il portinnesto di nuova generazione GiSelA® 6
(Fonte foto: Geoplant Vivai)
 

Drupacee, situazione altalenante

Al momento la situazione generale dei portinnesti per le drupacee non presenta particolari novità. Qualche cosa cambia se si entra nel dettaglio delle specie. "Per le pesche e nettarine - spiega Pasi - nel Nord Italia il portinnesto di riferimento, praticamente in tutti gli areali produttivi più importanti, è ancora il GF 677. Limitatamente alla Romagna riscontriamo una crescente presenza di nuovi impianti innestati su Puebla Adesoto® 101*, interessante per la tolleranza al ristoppio ed ai terreni stanchi (con presenza di Armillaria). Da segnalare che l'Istharà® Ferciana* dopo un'iniziale diffusione (primi anni duemila) negli areali produttivi piemontesi è stato gradatamente abbandonato per un ritorno al GF 677, mentre abbiamo ancora aziende in Emilia-Romagna e in Veneto che puntano su questo portinnesto non particolarmente rustico ma molto performante dal punto di vista qualitativo (più colore e pezzatura dei frutti). Nel Sud Italia oltre al GF 677 riscontriamo la richiesta per portinnesti vigorosi e rustici adatti a terreni marginali o fortemente calcarei quali Cadaman* e Garnem* (in particolare per Puglia e Sicilia). Una menzione a parte la meritano i portinnesti della serie Rootpac® (in particolare il 20 Densipac*, il 40 Nanopac* ed il Replantpac*) che sono stati sperimentati per circa dieci anni ma non hanno ancora trovato una concreta diffusione sul mercato.

"Anche nell'albicocco e susino non rileviamo novità particolari, in quanto il riferimento è ancora rappresentato dal Mirabolano 29C e dal sempre meno diffuso Mirabolano da seme. Il primo è particolarmente indicato per i terreni più fertili e per le zone pianeggianti mentre il secondo trova ancora spazio nelle aree collinari con terreni più difficili e marginali. Il mirabolano è un portinnesto vigoroso, leggermente pollonifero (in particolare quello da seme) ma molto rustico e versatile. Per quanto riguarda l'albicocco, meno frequenti, ma comunque una valida alternativa ai mirabolani, sono gli impianti effettuati usando come piede il GF 677 sul quale viene innestato l'albicocco usando un innesto intermedio di pesco. Questa soluzione è particolarmente adatta per le zone con forte presenza di Capnodio, oppure nei terreni molto calcarei e siccitosi: il doppio innesto migliora notevolmente la qualità dei frutti (più colore e pezzatura) diminuendo però leggermente la produttività".

"Nel susino (in particolare per gli impianti ad alta densità di Piemonte ed Emilia-Romagna) il Mirabolano 29C rappresenta la quasi totalità dei nuovi impianti. Su albicocco è stato testato con successo il Rootpac® R Replantpac* che oltre a risultare resistente agli attacchi di Armillaria migliora in maniera significativa la qualità dei frutti inducendo maggiore pezzatura e un leggero anticipo di maturazione, ma la difficoltà di approvvigionamento che i vivaisti hanno avuto negli ultimi anni ne sta rendendo difficile la diffusione".

"Il ciliegio è probabilmente la specie nella quale rileviamo il maggior numero d'innovazioni e non solo nell'ambito dei portinnesti ma più in generale della tecnica colturale. La maggiore novità riguarda non tanto l'introduzione della serie di portinnesti GiSelA® (già conosciuti da molti anni), quanto nella loro rapida diffusione in particolare negli areali produttivi del Nord Italia, sia in pianura che nell'arco alpino. I GiSelA® 5 e 6 sono oggi i portinnesti più utilizzati in Pianura Padana, mentre i GiSelA® 5 e 3 sono quelli più diffusi negli areali montani. E' iniziata la sperimentazione estesa per la nuova generazione di GiSelA® ovvero il 12, 13 e 17 tendenzialmente più vigorosi dei precedenti ma anche molto più rustici e versatili".

"Nelle aree collinari e pedemontane, ove sono presenti terreni calcarei o con limitata disponibilità idrica, sono ancora diffusi il Colt, il MaxMa Delbard® 60 e il Cab6P mentre nel Centro-Sud dove il 90% degli impianti sono a media e bassa densità sono particolarmente diffusi i portinnesti derivanti da P.mahaleb, quali MaxMa Delbard® 60, MaxMa Delbard® 14, SL64 e anche il Colt. Fra le recenti introduzioni possiamo annoverare di particolare interesse il Krimsk5, portinnesto di origine russa, vigoroso, rustico, molto resistente alla siccità e ai terreni calcarei in grado di sostituire i portinnesti derivanti da P.mahaleb in quanto offre maggiore qualità dei frutti e una più rapida entrata in produzione. Altra novità molto interessante sarebbe il Rootpac®R con innesto intermedio di Adarà®, ottima soluzione per gli impianti a media densità induce alta qualità nei frutti unitamente alla rusticità e resistenza del  Rootpac®R (indicato per i reimpianti su terreni stanchi o con presenza di Armillaria)"
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