Il tartufo è uno dei simboli del made in Italy. Un prodotto legato alla tradizione che apre nell'immaginario dei consumatori scene di vita agreste, con cani che fiutano il terreno alla ricerca del prezioso fungo. Tuttavia la raccolta del prodotto spontaneo non è l'unica strada percorribile visto che le moderne tecniche agronomiche permettono la coltivazione del tartufo con l'ottenimento di prodotti identici sotto il profilo del gusto e del sapore a quelli rinvenibili in natura.

La coltivazione del tartufo, che nel mondo ha preso piede in paesi europei ed extraeuropei come la Nuova Zelanda, l'Australia, il Sudafrica, il Cile o gli Stati Uniti, rappresenta dunque una buona opportunità di integrazione al reddito delle aziende agricole. Questo tipo di coltivazione non è tuttavia affatto banale e richiede un lungo periodo di pianificazione e di studio prima di essere intrapresa. Esistono però una serie di regole generali da seguire per aumentare le chance di successo. Abbiamo chiesto consiglio ad Alessandra Zambonelli, professoressa ordinaria del dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari all'Università di Bologna e profonda conoscitrice del mondo micologico.

Ecco dunque i sette consigli per avviare una tartufaia di successo:

Le specie. Ci sono sette specie di tartufo commercializzate in Italia, ma non tutte sono adatte alla coltivazione. O meglio, è più facile avere successo coltivando il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), lo Scorzone (Tuber aestivum) e il Bianchetto (Tuber albidum Pico o Tuber Borchii Vitt). Mentre per quanto riguarda il tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) ci sono ancora grosse difficoltà nella coltivazione.

I vivai. Il tartufo è un fungo simbionte, che vive cioè in simbiosi con l'albero ospite, solitamente una latifoglia come pioppo, tiglio, quercia, nocciolo, ma anche aghiformi, come il pino (solo per il Bianchetto). Per avviare una tartufaia è dunque necessario acquistare e impiantare giovani alberi che siano stati micorizzati. Piante cioè sulle cui radici viva il fungo.

"Creare la simbiosi tra il tartufo e la pianta ospite è una operazione tutt'altro che semplice", spiega ad AgroNotizie Alessandra Zambonelli. "Per questo è essenziale rivolgersi a vivai certificati che diano la sicurezza che sulle radici delle piante vendute ci sia la presenza del fungo".
 
Una tartufaia in produzione
Una tartufaia in produzione
(Fonte foto: Progetto di valorizzazione del Tartufo della Marca di Camerino)

Scelta del terreno. A livello generale si può dire che tutti i tartufi amano i terreni calcarei, con un pH leggermente alcalino, anche se poi ogni specie predilige una tipologia di suolo particolare. Nella scelta se avviare una tartufaia è utile verificare se nella zona siano stati fatti ritrovamenti di tartufo. Nel qual caso significa che il territorio è adatto alla coltura.

Il nuovo impianto. E' preferibile impiantare la tartufaia in un terreno dove in passato non ci siano stati alberi, proprio per evitare che nel suolo ci siano funghi che possano entrare in competizione con il tartufo. Le giovani piante vanno piantate avendo tutte le cautele del caso: protezione contro la fauna selvatica, adeguata irrigazione, soprattutto nei primi anni, potature e diserbo meccanico del sottochioma.

"Molti fanno l'errore di non curare la tartufaia dopo l'impianto", sottolinea Zambonelli. "Si tratta invece di una vera e propria coltura che, similmente ad un frutteto, va seguita per mettere le piante e il fungo nelle migliori condizioni per essere produttive".

Armarsi di pazienza. Quando si avvia una tartufaia si fa una scommessa sul futuro, visto che non c'è modo di avere la certezza che fungo e pianta mantengano nel tempo un rapporto simbiotico in modo da portare il tartufo a produrre corpi fruttiferi. Quello che non bisogna fare è abbandonare l'impianto dopo i primi anni, perché ce ne possono volere anche sei o dieci prima che si vedano i primi frutti.

"A differenza che in un frutteto normale, dove i frutti crescono sulla chioma e sono ben visibili, nel caso del tartufo tutto avviene sotto terra, lontano dagli occhi dell'agricoltore. L'incertezza è massima e l'unico modo per l'agricoltore per giungere a risultati produttivi è affrontare questa coltura con le adeguate competenze o rivolgersi ad agronomi specializzati. Per la raccolta ci si deve poi affidare al fiuto di un cane da tartufo, che è ancora lo 'strumento' più affidabile e veloce per trovare i corpi fruttiferi", spiega Zambonelli.

E' necessario prendersi cura della tartufaia, anche con potature di allevamento
E' necessario prendersi cura della tartufaia, anche con potature di allevamento
(Fonte foto: Progetto di valorizzazione del Tartufo della Marca di Camerino)

Diversificazione. Viste le difficoltà che si possono avere nella realizzazione di una tartufaia ed i tempi lunghi di attesa produttiva, è bene che questa attività venga intesa come una diversificazione del reddito aziendale e non come la principale fonte di entrate. Non bisogna poi sottovalutare le esternalità positive che una tartufaia porta con sé, soprattutto per quelle aziende agricole che hanno a che fare con i turisti. Impiantare una tartufaia significa avere un piccolo bosco, piacevole anche da guardare, e soprattutto che può essere tagliato, visto che viene riconosciuto dalla legge a tutti gli effetti come una attività agricola.

Informarsi. Prima di lanciarsi nell'avventura di impiantare una tartufaia è necessario approfondire il tema ed essere preparati. Si può partire consultando i siti dell'Associazione nazionale tartufai italiani o della Federazione italiana tartuficoltori associati. Ci sono poi molti libri a riguardo e alcune regioni hanno pubblicato delle dispense focalizzate sul proprio territorio. Infine i vivai possono essere una importante fonte di consigli e seguire l'agricoltore nella fase di pre e post-impianto.