La strip cultivation (o strip cropping o strip farming) è un nuovo approccio all'agricoltura che prevede di seminare colture differenti in uno stesso campo, coltivandole a strisce, più o meno ampie, alternate tra di loro. Il metodo è applicato sia nel Nord che nel Sud Europa (Mediterraneo) su colture orticole rappresentative dei differenti areali pedo-climatici; ha il pregio di sfruttare le sinergie tra piante differenti che possono aiutare l'agricoltore a ridurre l'apporto di input produttivi e a gestire meglio parassiti e malerbe.

"Lo strip cropping sfrutta l'associazione in campo di diverse colture consociate tra di loro. Questo significa che in uno stesso campo, nello stesso momento, insistono diverse piante che devono essere selezionate per non entrare in competizione per le risorse, ma trarre benefici dalla reciproca vicinanza", spiega ad AgroNotizie Alessandra Trinchera, ricercatrice del Centro di ricerca agricoltura e ambiente del Crea. "Questo approccio al campo è adatto soprattutto a coltivazioni orticole, mentre è meno favorevole su colture cerealicole come il frumento, che normalmente viene seminato su grandi estensioni".

Lo strip cropping permette essenzialmente di gestire al meglio le risorse del sistema, aumentando la biodiversità in campo e riducendo per quanto possibile la necessità di apportare input produttivi. Un esempio è l'accesso ai nutrienti. Utilizzare colture diverse in uno stesso terreno permette di creare una maggiore diversità a livello radicale, che si traduce in una presenza di microrganismi più ricca nel suolo. Questo permette alle piante di usufruire dei servizi ecosistemici offerti dai microrganismi del suolo, che ad esempio sono in grado di creare associazioni vantaggiose con la pianta, rendendo maggiormente biodisponibili gli elementi nutritivi. E' dimostrato che ogni pianta convive nell’ambiente radicale con un suo microbioma specifico e che quindi associare colture diverse arricchisce la biodiversità del terreno.
 
Un esempio di strip cropping con mais, avena e fieno
Un esempio di strip cropping con mais, avena e fieno
(Fonte foto: Plant and Soil Science eLibrary)

Un altro aspetto positivo riguarda le fitopatologie. Spezzare l'uniformità dei campi può rallentare lo sviluppo e la diffusione di malattie, ma anche la diffusione di insetti che in un ambiente colturale disomogeneo trovano con meno facilità il cibo e le condizioni ideali per la riproduzione.

"Una consociazione attenta permette di accorpare due o più colture che offrono interessanti servizi ecosistemici. Ad esempio ci sono piante che attirano i predatori degli insetti dannosi per le colture vicine", spiega Trinchera. "È il caso degli afidi, uno dei problemi maggiormente rilevanti nell'orticoltura in serra, che può essere arginato attraverso l'utilizzo di predatori specifici. Oppure si possono utilizzare delle piante aromatiche che grazie alle sostanze volatili che emettono hanno la capacità di allontanare insetti dannosi per altre colture, come ad esempio nel caso del pomodoro".

Ma quali sono le colture che possono essere inserite in un sistema di strip cultivation? Le esperienze più estese arrivano dal Nord Europa dove solitamente si affiancano a Brassicaceae, come il cavolo e il broccolo, colture come la cipolla o il porro. In Italia naturalmente le tipologie di colture cambiano. Qualche esperienza è stata fatta consociando leguminose come il cecio o il fagiolo con colture ortive come il melone o lo zucchino. Questo perché le leguminose, come è noto, hanno la capacità di fissare l'azoto atmosferico fornendo quindi nutrimento alle piante.

Come si può facilmente intuire è di fondamentale importanza la scelta delle colture, che non devono entrare in competizione tra di loro per una stessa risorsa, ma anche la scelta dei tempi di semina. Il servizio ecosistemico offerto da una data pianta in un certo stadio del suo sviluppo biologico deve coincidere con il momento di necessità della pianta consociata.
 

Non solo lati positivi

Lo strip cropping è dunque la panacea di tutti mali dell'agricoltura? Non proprio, perché se da un lato offre indubbi vantaggi, porta con sé anche alcuni svantaggi. Basti pensare alle difficoltà pratiche nella gestione meccanica di un campo coltivato a strisce. Tuttavia, proprio per venire incontro a questi nuovi approcci agronomici, alcune aziende dell'agrimeccanica stanno sviluppando attrezzature in grado di operare in un campo condotto con questo metodo.

C'è poi la questione della resa. Anche se la consociazione di differenti piante può ridurre la pressione dei patogeni e diminuire la necessità di input nutritivi, i risultati che si ottengono possono talvolta risultare inferiori a quelli ottenibili con uso di agrofarmaci o di fertilizzanti di sintesi, a vantaggio però di un minore impatto ambientale sulla biodiversità del suolo a lungo termine.

"In certe condizioni la produttività è in linea, se non maggiore, rispetto a quella assicurata da un approccio convenzionale al campo, ma bisogna mettere in conto che ci possano essere dei cali delle rese produttive anche del 30%", afferma Trinchera. "Tuttavia bisogna calcolare che con lo strip cropping si diminuisce l'utilizzo di input produttivi e quindi calano anche i costi di produzione. Certamente la sua applicazione trova il suo ambito ideale in un tipo di conduzione biologica, dove la strip cultivation può rappresentare una soluzione al divieto di utilizzare prodotti di sintesi".

Proprio per indagare le potenzialità di questo sistema di coltivazione il Crea ha lanciato il progetto Sureveg (Strip-cropping and recycling of waste for biodiverse and resoURce-Efficient intensive VEGetable production). Un progetto finanziato nell'ambito del consorzio Core organic cofund che si occupa di indagare le potenzialità dell'accoppiamento dello strip cropping con una fertilizzazione sostenibile, a base di residui vegetali, preferibilmente prodotti all'interno dell'azienda agricola stessa, in sistemi ortivi biologici.