La colza, insieme ad altre colture oleaginose, è stata considerata strategica per l’implementazione della filiera dei biocarburanti in Italia. Nei primi anni Duemila la sua coltivazione per fini energetici è aumentata: dai 3.500 ettari del 2006 ai circa 24.500 ettari del 2009, con una particolare concentrazione in Friuli-Venezia Giulia ed in Lombardia (Fonte Istat, 2012). Oggi si avverte una contrazione, a causa soprattutto dell'aumento dei biocarburanti avanzati che dovranno sostituire quelli di prima generazione. Assosementi stima che nel 2017 gli ettari a colza siano stati circa 12mila. 

Da segnalare che nel 2014 la produzione di biocarburanti in genere è stata di 483mila tonnellate, pari a 359 milioni di euro (Fonte Assobiotec, 2015), nonostante un ruolo ancora contenuto da parte del nostro Paese nel commercio mondiale. L'intera bioeconomia in Italia valeva nel 2015, in termini di produzione, oltre 244 miliardi di euro pari al 7,9% del valore totale della produzione nazionale, con circa 1,7 milioni di dipendenti. In Europa il valore era di duemila miliardi di euro annui, con più di 20 milioni di posti di lavoro.
 

COLZA

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Con la colza, in particolare, è possibile produrre biodiesel. Quest'ultimo si ottiene attraverso la transesterificazione? degli oli estratti dai semi, processo chimico attraverso il quale la struttura base dell’olio - composto da trigliceridi - viene prima idrolizzata da un catalizzatore di solito basico (ad esempio l'idrossido di sodio) in glicerina ed acidi grassi. Successivamente gli acidi grassi si legano al metanolo, un altro alcool, originando così il prodotto usato come carburante, noto come metilestere.

Probabilmente due sono le maggiori barriere alla produzione di biocarburanti di prima generazione: l’impiego di queste piante ad una produzioni no-food ed i vincoli alle esportazioni europee di prodotti trasformabili in biocarburanti.

Ad oggi però il settore dei trasporti vede, a differenza di quello per la produzione di energia elettrica, una predominanza dell'uso dei combustibili fossili. Questi ultimi corresponsabili delle emissioni di CO2 in atmosfera e della creazione dell'effetto serra. In questo momento i combustibili rinnovabili rappresentano il 4,9% (dato del 2016) mentre l'obiettivo dichiarato dal ministero dell'Ambiente è di raggiungere il 10% entro il 2020. Per quanto riguarda l'energia elettrica invece siamo ben oltre gli obiettivi che erano stati posti, avendo raggiunto oramai oltre il 35% di energia elettrica da fonti rinnovabili, su un target annunciato del 17%.
 
Campo di colza, una coltura industriale usata anche per produrre biocarburante
Nei trasporti i biocarburante rappresentano l’unica forma di energia rinnovabile in grado di fornire un contributo significativo
(Fonte foto: © Marvinh - IStockPhoto)

Per approfondire il tema delle bioenergie e del biocarburante abbiamo fatto qualche domanda a Vito Pignatelli, responsabile del laboratorio Biomasse e Biotecnologie per l'Energia dell'ENEA.

Professor Pignatelli, quale è la situazione in Italia per il settore bioenergie?
"Le bioenergie rappresentano oggi la fonte energetica rinnovabile che fornisce il maggior contributo ai consumi energetici finali del nostro Paese. In accordo con le rilevazioni statistiche del Gestore dei servizi energetici, infatti, la bioenergia copriva nel 2016 il 49% dei consumi di energia rinnovabile e l’8,5% dei consumi totali. La ragione principale di questo risiede nel fatto che la bioenergia è l’unica fonte rinnovabile in grado di coprire le richieste di energia sotto forma di elettricità, calore e carburanti per i trasporti, e non dimentichiamo che metà dei consumi totali di energia riguardano il riscaldamento ed il raffrescamento, e che quasi un terzo sono dovuti ai trasporti.
In quest’ultimo caso, i biocarburanti rappresentano ancor oggi l’unica forma di energia rinnovabile in grado di fornire un contributo significativo. Le bioenergie costituiscono quindi una fonte energetica importante, che può contare su tecnologie mature ed un solido retroterra industriale, costituito da migliaia di impianti, in genere di taglia medio-piccola, presenti sull’intero territorio nazionale".


Quali sono le prospettive prossime future?
"E' prevedibile un ulteriore sviluppo nel settore, principalmente negli impianti a biogas di piccola taglia (meno di 100 kW di potenza installata) presso aziende agro-zootecniche o piccoli impianti di combustione/gassificazione alimentati con potature di olivo o altri residui di colture arboree, anche insieme a biomassa legnosa proveniente da interventi di manutenzione del territorio (cura dei boschi, pulizia degli alvei fluviali ecc.).
Potrebbe esserci ancora spazio per un maggiore uso della biomassa legnosa per il riscaldamento domestico e collettivo (teleriscaldamento), purché legato alla diffusione delle tecnologie di combustione più moderne - e contemporanea sostituzione di apparecchiature e impianti vecchi, meno efficienti e più inquinanti - in grado di assicurare elevate prestazioni in termini sia di efficienza, sia di riduzione delle emissioni. Un discorso a parte merita la produzione di biogas dalla digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani da raccolta differenziata, che rappresentano una grande risorsa, da valorizzare soprattutto nella prospettiva della produzione su larga scala di biometano"
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Un esempio d'impianto di biogas
Il biogas prodotto dalla digestione anaerobica dei rifiuti urbani rappresentano una grande risorsa
(Fonte foto: © GeraldK - Pixabay)

Quali sono i settori dove è prevista la maggiore crescita?
"Come detto precedentemente, le bioenergie sono in grado di rispondere alla richiesta di energia rinnovabile sotto tutte le forme, ma il settore di maggiore interesse e crescita è quello dei trasporti dove, come previsto dalla proposta della nuova Direttiva europea sulle fonti di energia rinnovabili (la cosiddetta RED II), la richiesta di biocarburanti crescerà progressivamente, soprattutto su quelli avanzati (ottenuti da biomasse residuali e rifuiti organici e così non in competizione con l'uso del suolo e con le produzioni agricole a destinazione alimentare). Tutto questo permetterà di coprire nel 2030 il 12% dei consumi totali di elettricità e di carburanti. Per quel che riguarda in particolare l’Italia, il ruolo più importante sarà quello del biometano, che potrebbe fornire il maggiore contributo alla richiesta di energia rinnovabile del settore nei prossimi anni".

Cosa ci può dire in particolare sul tema del biometano e dei biocarburanti?
"Il biometano è particolarmente importante per l’Italia, sia per quel che riguarda i trasporti sia come sostituto del metano di origine fossile (che importiamo per la maggior parte dall’estero). Per quel che riguarda i trasporti stradali, l’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di veicoli (il 76% del totale dei Paesi Ue + Efta) e potrebbe sostituire progressivamente il gas naturale a partire dalle flotte dei mezzi di trasporto pubblici, riforniti da impianti centralizzati realizzati presso siti di raccolta e trattamento della Forsu (Frazione organica del rifiuto solido urbano), per essere successivamente erogato dalla rete stradale e autostradale di distribuzione dei carburanti per l’alimentazione delle automobili private".
 
Centrale di energia elettrica vicino ad un campo di colza
Per l’Italia sarà importante il ruolo del biometano, che potrebbe fornire il maggiore contributo di energia rinnovabile
(Fonte foto: © JerzyGorecki - Pixabay)

"In prospettiva, poi, il biometano potrebbe trovare impiego, sotto forma di gas liquefatto (bio-LNG) per l’alimentazione di mezzi di trasporto pesanti a lunga percorrenza, treni e motonavi. Più in generale, dal momento che il biometano è identico al gas naturale, una volta immesso nella rete dei metanodotti, può essere trasportato dovunque e impiegato al posto del metano d'importazione sia per gli usi domestici che per quelli industriali e per la generazione di elettricità. Per dare qualche numero, nel 2016 il metano importato copriva il 92% dei consumi nazionali, e la produzione dei nostri giacimenti solo l’8%. Le stime più attendibili sul potenziale di biometano a livello nazionale sono pari a circa 8 miliardi di m3/anno che, se confrontati con i 5,8 miliardi di m3 estratti nel 2016, rappresentano un contributo notevolmente maggiore, senza voler considerare gli aspetti ambientali, corrispondente all’11,3% dei consumi attuali.

Infine, per quel che riguarda i biocarburanti liquidi, quelli attualmente utilizzati (biodiesel, etanolo ed eteri da questo derivati, come l’etere etil-ter butilico, Etbe), essendo chimicamente diversi dagli idrocarburi, presentano comunque problemi di compatibilità che ne limitano le percentuali di miscelazione con gasolio e benzina, e sono del tutto inadatti per l’impiego nei motori degli aerei.
Inoltre, a seconda delle materie prime impiegate, queste produzioni possono presentare alcune criticità in termini di sostenibilità ambientale, sia per quel che riguarda il bilancio complessivo delle emissioni di gas climalteranti, sia per i possibili effetti sul cambio di destinazione d'uso dei terreni agricoli. In questo senso, mentre alcune filiere come il biodiesel da olio di colza, sono in grado di rispettare i limiti ed i vincoli imposti dalla direttiva RED II, altre non lo sono, come ad esempio i biocarburanti prodotti a partire dall'olio di palma. Esse non riusciranno così a soddisfare le condizioni richieste e non sarà possibile conteggiarli, già dal 2021, ai fini del raggiungimento degli obiettivi d'impiego di fonti rinnovabili nei trasporti.

Per queste ragioni, i biocarburanti convenzionali, o di prima generazione, dovranno essere in futuro sostituiti da nuove tipologie di prodotti, biocarburanti avanzati prodotti da rifiuti organici di diversa natura (che nel 2030 dovranno obbligatoriamente coprire una quota pari al 3,6% dei consumi totali dei trasporti terrestri) e i cosiddetti biocarburanti 'drop-in', sostanzialmente analoghi ai combustibili di origine fossile e ottenuti, con diverse tecnologie, sia da materie prime di origine agricola che da biomasse residuali. Le tecnologie per la produzione di alcune tipologie di biocarburanti drop-in sono mature e sviluppate a livello industriale, e un esempio è costituito dall’impianto Eni di Porto Marghera per la produzione di 'green diesel' (o Hvo, olio vegetale idrotrattato) da oli vegetali. E’ importante sottolineare che, allo stato attuale della tecnologia, i processi di idrogenazione catalitica degli oli vegetali, puri o esausti da raccolta differenziata, sono gli unici in grado di fornire su larga scala anche carburanti rinnovabili (biojet fuel) con caratteristiche adatte all’impiego in campo aeronautico.
Mentre la prevedibile diffusione dell’auto elettrica ridurrà progressivamente la richiesta di carburanti rinnovabili per i trasporti stradali, questo tipo di biocarburanti  diventerà sempre più importante, soprattutto perché costituirà l’unica alternativa possibile per la decarbonizzazione del trasporto aereo, che già contribuisce al 10% circa dei consumi totali del settore e di cui si prevede per il futuro una notevole crescita.

 
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