Il comparto risicolo italiano ed europeo, nonostante il buon raccolto del 2017, è in crisi. Soprattutto a causa della concorrenza dei paesi dell'Estremo Oriente. In base ai dati forniti dall'Ente nazionale risi, nel 2017 sono stati coltivati 229.546,80 ettari in Italia, 2% rispetto al 2016, con una produzione generale in linea con le annate precedenti. Non mancano situazioni fortemente deficitarie dovute all'andamento meteorologico del 2017, caratterizzato da un'estate decisamente calda e siccitosa.
 

IL RISO

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L'Ente nazionale risi, tramite il suo presidente Paolo Carrà, ha inviato a dicembre 2017 una lettera ai ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo economico Carlo Calenda per chiedere "vera tutela" per il settore risicolo, avanzando la richiesta di limitare le importazioni a dazio zero dalla Cambogia.
"Il governo - si legge nel documento, pubblicato il 20 dicembre e disponibile sul sito dell'Ente - a norma dell'articolo 22 del Regolamento (Ue) 978/2012, ha annunciato di aver azionato la procedura per la richiesta di applicazione della clausola di salvaguardia che ora prevede un lungo iter investigativo".
Secondo l'Ente risi il problema delle importazioni potrebbe essere risolto anche "applicando l'articolo 19 dello stesso Regolamento (disposizioni di revoca temporanea): le importazioni, secondo una commissione pubblico-privata, sono alla base di violazioni dei diritti umani. Se così fosse è possibile bloccare le importazioni. Oggi il problema è circoscritto alla Cambogia, ma a breve sarà esteso ad altri paesi che hanno fatto richiesta d'importazioni: ad esempio il Myanmar".

Il tema sarà discusso il 23 gennaio 2018 al 2° Forum sul settore del riso europeo che si terrà a Bruxelles. "Al momento la Commissione Ue ha dimostrato la sua miopia. Noi non ci fermiamo, ne va del futuro della risicoltura europea e italiana" aveva detto Carrà parlando con AgroNotizie.
 
Particolare di una pianta di riso, pronta per la raccolta
Per tutelare il settore risicolo europeo è necessario limitare le importazioni a dazio zero dalla Cambogia
(Fonte foto: © Hans - Pixabay)

Inoltre esiste un altro problema, sempre più crescente: il brusone, malattia funginea provocata dal Magnaporthe oryzae. E' la malattia più grave, a livello mondiale, per il riso coltivato. In Italia le perdite produttive dovute a questa fitopatia, se non controllata, possono aggirarsi intorno al 7-10% per le varietà a minore suscettibilità, fino a raggiungere il 40% in quelle a più elevata sensibilità.

"E' sempre più frequente la presenza di questa patologia - spiega Davide Spadaro, professore di Patologia vegetale presso il dipartimento di Scienze agrarie, forestali e alimentari dell'Università di Torino -. A causa anche di varietà che sembrano esserne sempre più sensibili, soprattutto in presenza di elevate concimazioni azotate. Alcune evoluzioni della tecnica colturale del riso ne hanno favorito la diffusione, tra queste la semina a file interrate, il ritardo delle semine per la gestione del riso crodo e la minima lavorazione del terreno".

"Sono diverse le tecniche agronomiche che il risicoltore può adottare per difendersi dal brusone -
prosegue Spadaro -: le lavorazioni del terreno, le semine in asciutta, la razionalizzazione dell’impiego dei fertilizzanti azotati e la gestione delle acque con sommersione continua e protratta nel tempo.
Ciononostante, la lotta chimica è stata finora considerata strategica. Fino allo scorso anno il Triciclazolo, da solo, garantiva la protezione da brusone su oltre il 90% della superficie risicola trattata con fungicidi. Registrato nel 1998, è stato utilizzato fino al 2016 quando il regolamento 2016/1826 ha sancito la non approvazione della molecola in Europa, a causa di mancanza di dati sulla tossicità e sul destino ambientale dei metaboliti. A complicare la situazione, pochi mesi fa la Commissione europea non ha rinnovato l’autorizzazione per l’impiego del Picoxystrobin.

I risicoltori quest’anno si sono trovati quindi a cambiare repentinamente le strategie di difesa. Si può ancora utilizzare l’Azoxystrobin, con 1-2 interventi per anno tra la botticella e la fine della spigatura, ma la molecola è esposta al rischio di selezione di ceppi resistenti, peraltro già segnalati per M. oryzae. Meglio utilizzare la miscela di Azoxystrobin e Difenoconazolo, che protegge anche da Elmintosporiosi, o il Flutriafol, che è un triazolo non specifico per il brusone. L’anno scorso è stata concessa l’autorizzazione in deroga dello zolfo, che è utilizzabile anche in risicoltura biologica, così come il Bacillus subtilis. È buona norma alternare le sostanze attive utilizzate per non creare pressione selettiva sulle popolazioni fitopatogene presenti in risaia".
 
 
Tipica risaia italiana, con le camere piene d'acqua
Anche l'innovazione tecnologica può aiutare la lotta al brusone
(Fonte foto: © SilviaCrisma - IStockPhoto)
 

La lotta passa anche attraverso la tecnologia

"Con la restrizione di agrofarmaci a disposizione - continua Spadaro -, diventa sempre più importante determinare quando e se sia effettivamente necessario trattare con fungicidi. Occorre utilizzare modelli previsionali, captaspore e tecniche di diagnosi rapida.
Tra i modelli previsionali sviluppati per il brusone, c’è il SiRBint (Simulation of Rice Blast Interaction), sviluppato nel 2005 presso l’Università di Pavia e validato da anni di sperimentazione. I captaspore per il monitoraggio aeromicologico permettono di tenere sotto controllo la presenza di spore di M. oryzae, ma l’analisi al microscopio risulta parecchio laboriosa. Nel corso del progetto europeo Emphasis, presso il centro di competenza Agroinnova dell’Università di Torino, abbiamo sviluppato una tecnica diagnostica rapida per il rilevamento in pochi minuti di M. oryzae. Si tratta della Lamp (Loop mediated isothermal amplification) che permette di effettuare diagnosi in campo con strumentazioni semplici e portatili. L’integrazione di modelli, captaspore e strumenti di campo permette di fornire ai risicoltori, tramite applicazioni per smartphone, informazioni utili a decidere se attuare la difesa chimica e a determinare il momento ottimale per i trattamenti. In alcuni Stati asiatici è già molto diffusa l'App 'Rice Doctor', che aiuta ad identificare i patogeni del riso e ad organizzare la difesa".

 
Risaia in Cambogia con agricoltore durante una fase di allevamento
Dalla Cambogia il riso arriva in Europa a dazio zero
(Fonte foto: © August Triyanto - Pixabay)
 

Il punto sul miglioramento genetico

"Nel corso degli anni - conclude Spadaro -, il miglioramento genetico si è concentrato sull’ottenimento di varietà con elevate qualità organolettiche, che ha visto incrementare considerevolmente il panorama varietale italiano. Però la quasi totalità delle varietà iscritte al registro nazionale ha una base genetica molto ristretta. Gran parte delle varietà più coltivate in Italia è suscettibile o mediamente suscettibile al brusone. Il miglioramento genetico per la resistenza al brusone può seguire strategie diverse ma il gene-pyramiding, cioè l’inserimento di più geni di resistenza in una varietà, è quella che ad oggi sta dando i migliori risultati.

L’utilizzo della resistenza monogenica è sempre velocemente superato dal patogeno a causa dell’ampia variabilità ed adattabilità del suo genoma. L’Ente risi ed alcune aziende hanno attualmente dei programmi di miglioramento finalizzati alla costituzione di varietà che possiedono uno o più geni di resistenza. Inoltre, dato che M. oryzae è un patogeno policiclico in grado di adattarsi rapidamente a nuove varietà, occorre monitorare anno dopo anno la struttura genetica della popolazione del fungo, per verificare la presenza di nuove razze virulente".

 
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