La coltivazione di riso in Italia è a rischio. E il motivo non va attribuito a parassiti provenienti da altri paesi o ai prezzi di mercato troppo bassi, bensì alla troppa acqua. Sembra un paradosso per una coltura che cresce in appezzamenti di terreno allagati, eppure è la realtà dei cambiamenti climatici.

Le statistiche ci dicono che il surriscaldamento terreste ha portato ad un aumento dei fenomeni atmosferici intensi. Sempre più spesso nelle nostre campagne assistiamo alle cosiddette 'bombe d'acqua'. Nubifragi che riversano sul terreno 30 millimetri di pioggia all'ora, e anche di più. Secondo i climatologi stiamo assistendo ad una tropicalizzazione del clima e in futuro le piogge abbondanti, come i Monsoni in Asia, saranno più comuni.
 

Come si comporteranno allora le colture della tradizione italiana? Se lo è chiesto il team di ricercatori coordinato da Pierdomenico Perata, rettore della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, che durante il Mantova Food&Science festival ha provato a spiegare quello che si sta facendo per salvare una coltura simbolo del made in Italy: il riso.

Già, perché la troppa acqua non fa bene al riso. La maggior parte delle colture quando va in parziale sommersione muore perché le radici non sono in grado di respirare sott'acqua. Manca l'ossigeno. Non è il caso del riso che all'interno dello stelo, grazie a secoli di evoluzione, ha sviluppato dei canali che trasportano l'aria dalla sommità della pianta alle radici, rendendo possibile la respirazione. Inoltre le foglie sono cerose e quando vengono sommerse trattengono microscopiche bolle d'aria che creano un film che preserva il tessuto vegetale.

Questo è il meccanismo che ha reso possibile la coltivazione nei nostri areali, dove le risaie vengono allagate in maniera artificiale. Ma cosa accadrebbe se la Pianura padana fosse interessata da fenomeni intensi come quelli monsonici e il livello dell'acqua fosse tale da superare la sommità delle piante? Il riso morirebbe in poco tempo e allora addio Carnaroli, Roma, Arborio, Vialone nano e così via.

La speranza è quella di imparare dalle varietà di riso asiatiche le tecniche per sopravvivere ad innalzamenti repentini del livello dell'acqua. Deep water rice è ad esempio una varietà che ha l'incredibile capacità di raddoppiare la propria altezza nel giro di sette giorni. Quando le piogge sono intense e il livello dell'acqua cresce velocemente la pianta produce elevate quantità di etilene, l'ormone vegetale della crescita, che spingono lo sviluppo cellulare in modo che la sommità sia costantemente fuori dall'acqua. Deep water rice è in grado di sopravvivere in campi con sei metri d'acqua, crescendo ad un ritmo di 30 centimetri al giorno.
 

Ma come fa questa pianta a capire che il livello dell'acqua si sta alzando? Lo fa sempre grazie all'etilene. Normalmente infatti questo composto chimico traspira dai tessuti vegetali e si disperde nell'ambiente. Ma se i tessuti sono sommersi si accumula nel film di aria tra pianta e acqua. Un segnale che la pianta ha imparato ad interpretare come pericolo di sommersione.

Se il Deep water rice punta sulla crescita accelerata, lo Scuba rice adotta la strategia opposta. Quando il livello d'acqua sale il suo metabolismo si arresta. Ogni processo vitale entra in stand-by in modo che la pianta non consumi ossigeno. Questa varietà di riso aspetta che il livello dell'acqua discenda per riprendere a vegetare.
 

Scoperti i meccanismi anti-sommersione la sfida dei ricercatori della Sant'Anna di Pisa è inserire nelle nostre varietà i 'geni asiatici'. L'obiettivo è ottenere nuove piante che conservino le caratteristiche commerciali dei chicchi, ma che imparino a non perire in caso di inondazione. In questo modo se in futuro il Nord Italia dovesse essere interessato da fenomeni intensi, come prevedono i climatologi, i risicoltori nostrani non perderebbero i raccolti.

Questo miglioramento genetico può essere fatto sostanzialmente in due modi. Il primo è attraverso tecniche di breeding tradizionale. Dagli incroci tra varietà asiatiche e nostrane si selezionano le piante che conservano meglio le caratteristiche del chicco della varietà italiana, ma che al contempo hanno ereditato i geni per sopravvivere alle inondazioni.

Oppure c'è l'ingegneria genetica. I geni responsabili della messa in atto delle due strategie di adattamento ai fenomeni sommersivi possono essere isolati e inseriti nel patrimonio genetico delle nostre varietà. In questo modo si sarebbe certi di preservare le caratteristiche commerciali del riso, cosa che col primo metodo è assai complicato, e di avere in poco tempo piante resistenti alle sommersioni.