“Più 9,8% la superficie agricola bio in Emilia Romagna nell’ultimo anno (il dato nazionale si ferma invece al 5%), di cui +2% solo di colture cerealicole. La domanda crescente di farine di grano tenero, anche per la preparazione del pane in casa, ha fatto lievitare i prezzi alla produzione: da 370 a 410 euro/ton nel periodo marzo 2015-marzo 2016. Forte richiesta di grani antichi quali, il Gentil rosso ed il Marzuolo del Cimone.
A dichiararlo Paolo Parisini, presidente della Sezione biologica di Confagricoltura Emilia Romgna, illustrando i dati del rapporto “Bio in cifre 2015”, del Sistema di informazione nazionale sull’agricoltura biologica (Sinab).

Infatti, stando ai numeri resi pubblici dal Sinab, l’Emilia Romagna svetta con circa 40.279 ettari complessivi di colture foraggere (incluse quelle destinate agli allevamenti di bovini da latte per la produzione di Parmigiano Reggiano); 12.800 ettari di cereali; 2.500 ettari di orticole e 2.300 ettari di colture frutticole. Oltre a 1.200 ettari coltivati a noce e nocciolo e 2.600 ettari di viti biologiche e biodinamche.

“Inoltre le domande di conversione al biologico - aggiunge Parisini - sono aumentate in Regione del 25% in un anno (il numero dei produttori è passato, quindi, da 2.700 a 3.300) grazie anche agli incentivi offerti dal nuovo Psr 2014-2020.

Confagricoltura Emilia Romagna commenta con soddisfazione quest’attenzione nei confronti del biologico sottolineando, però, ciò di cui necessita adesso il comparto per poter crescere, ossia: alta specializzazione e terreni vocati.
“Soprattutto la zootecnica - osserva il presidente della Sezione biologica di Confagricoltura Emilia Romagna - è limitata dalla scarsa disponibilità di alimenti proteici e per favorire il reale incremento delle stalle bio, creare fin d’ora tutti i presupposti affinché tali allevamenti possano essere autosufficienti nell’alimentazione degli animali, arrivando fino al 100% di alimenti autoprodotti”.

E’ pertanto necessario investire più fondi nella ricerca applicata, rivolta sia al settore frutticolo, in modo da definire nuove varietà resistenti alle patologie più aggressive, sia alle proteoleaginose, per diffondere sul territorio cultivar capaci di garantire elevati tenori proteici e al contempo fissare quote maggiori di azoto atmosferico con i propri apparati radicali, imprimendo così un’azione concreta ai fini della tutela ambientale.