Il kiwi, frutto della salute e del buonumore, ma anche “oro verde” del Veneto, in particolare del veronese, da difendere e salvare dall’attacco del cancro batterico. E’ su questo duplice binario che si basa il progetto promosso dalla Regione Veneto con il dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona, presentato il 17 febbraio 2016 a palazzo Balbi, sede della giunta regionale, dall’assessore all’Agricoltura, Giuseppe Pan e dal prorettore dell’ateneo scaligero, Antonio Lupo.

“La Regione ha investito oltre un milione di euro - ha spiegato l’assessore Pan - per valorizzare una coltura nella quale il Veneto è leader: con 55mila tonnellate annue, mille produttori e 3.200 ettari coltivati, di cui 2.500 nella sola provincia di Verona, il Veneto rappresenta circa il 15% dell’intera produzione nazionale. E l’Italia è il primo produttore al mondo di questo frutto esotico, originario della Cina, ben acclimatatosi in Nuova Zelanda e diventato ora una delle produzioni vincenti dell’export tricolore.

Da alcuni anni, però, “l’oro verde” delle campagne veronesi, è vittima di una violenta infezione batterica che rischia di compromettere colture e fatturati. Sono quasi 900, infatti, gli ettari colpiti dall’infezione batterica o dalla morìa del kiwi, altra grave patologia attribuita ai terreni ed ai sistemi di irrigazione, da studiare e curare. Come afferma Fausta Bertaiola, presidente dell’organizzazione dei produttori del Consorzio ortofrutticolo padano, i produttori veronesi sono i più colpiti: “Nel corso del 2015 la produzione di questo frutto nel veronese ha registrato un calo del 25%. E’ sempre più urgente individuare terapie per salvare le nostre colture”.

I ricercatori si sono dedicati allo studio di questa patologia. “Abbiamo analizzato i geni del batterio e cercato di capire perché la batteriosi aggredisca proprio il kiwi” spiega Annalisa Polverari, patologa vegetale dell’Università di Verona. “Grazie ai fondi della Regione abbiamo ricostruito la mappa dei geni del batterio e stiamo cercando le sostanze meno tossiche per inibire il contagio. Stiamo testando la somministrazione di nanoparticelle ad alta affinità con i tessuti vegetali in modo da curare la pianta con una semplice irrorazione, anche se già contagiata dal batterio killer Psa (Pseudomonas siringa actinidiae)”.

Il progetto, inoltre, ha messo in luce le caratteristiche e l’apporto nutritivo del frutto. I risultati, ad un anno dall’inizio degli studi, sono stati divulgati da Flavia Guzzo, ricercatrice dell’Università scaligera e coordinatrice del progetto di valorizzazione: “Il kiwi, tra le tante proprietà benefiche, contiene anche sostanze neuroattive, come serotonina e melatonina, che sono i neurotrasmettitori del buonumore e contribuiscono al benessere del cervello umano. Inoltre il kiwi - anticipa la biologa - contiene anche altri co-fattori antiossidanti e inibitori di specifici enzimi che hanno un ruolo di agenti protettori rispetto alla degradazione ossidata ed enzimatica dell’organismo”.

La ricerca ora prosegue ed i prossimi step sono dedicati a rendere disponibili agli agricoltori i mezzi di contrasto naturali più efficaci per limitare la batteriosi. “Un esempio virtuoso di ricerca applicata trasferita sul campo - ha ribadito Lupo - che dimostra come sia possibile spendere bene i soldi dei veneti coniugando l’eccellenza universitaria con le esigenze del mondo produttivo.

E’ importante ricordare che dal 17 febbraio 2016, è partita anche una campagna di comunicazione, sono infatti online delle pagine web che documentano i progressi della ricerca ed insegnano ai produttori metodi e strumenti per contrastare l’infezione batterica. Ai risultati della ricerca si abbinano appositi contenuti e materiali didattici rivolti ai consumatori ed agli studenti, per indirizzarli nella scelta del “frutto giusto” per un’alimentazione sana.