"L'aggregazione del Consorzio Casalasco con Agricoltori riuniti piacentini è un modello che dovrebbe essere imitato in tanti altri settori". Con queste parole il ministro Maurizio Martina ha brindato al matrimonio tra le due cooperative, al centro del convegno 'Il pomodoro italiano nel mondo' che si è tenuto ad Expo 2015, all'interno del padiglione della Coldiretti. “Bisogna avere le radici ben salde nel territorio, ma avere lo sguardo verso il futuro, verso l'innovazione e nuovi mercati”.

I numeri del nuovo colosso del pomodoro sono noti: le aziende agricole associate sono 370, la maggior parte nelle province di Piacenza, Cremona, Parma e Mantova. Settemila gli ettari di terreno coltivati a pomodoro, per una produzione complessiva di oltre 550 mila tonnellate. In tutto il Consorzio potrà contare su 50 linee di produzione che avranno come destinatari sia i consumatori privati (con marchi storici come Pomì), che altre aziende.

I numeri del Consorzio Casalasco ne fanno il primo player in Italia, il terzo in Europa. "Siamo passati dai 37 milioni di fatturato del 2000 agli attuali 270", spiega Costantino Vaia, direttore generale del Consorzio. "Abbiamo portato a termine importanti acquisizioni, sia di marchi che di altre aziende, ma abbiamo puntato molto anche su accordi strategici con partner internazionali e il lancio di nuove realtà, come Pomì Usa".

Nonostante i numeri di tutto rispetto il Consorzio Casalasco è una realtà ancora piccola a livello globale, ma ha un'arma segreta: il made in Italy.
"Tutti credevano che nel giro di pochi anni i pomodori cinesi avrebbero conquistato il mercato", ricorda Simona Caselli, assessore all'Agricoltura dell'Emilia-Romagna. "Invece le nostre imprese sono riuscite a vincere la concorrenza grazie alla qualità del prodotto e alla forza del marchio italiano".

Le sfide tuttavia sono ancora molte: ristrutturare la filiera, che spesso ci penalizza all'estero (il caso spagnolo docet). Ma anche puntare sull'innovazione, sia nei prodotti che negli impianti. E poi il punto cruciale: la formazione degli agricoltori, essenziale per affrontare preparati sfide epocali come i cambiamenti climatici.

E poi la promozione. "Il nostro made in Italy è forte, ma va protetto dall'italian sounding che ogni anno sottrae 70 miliardi di entrate potenziali alle nostre imprese", ricorda Ettore Prandini, di Coldiretti Lombardia. "Dobbiamo aggregarci ed investire nella promozione. Presidiare i mercati esteri perché far conoscere ai consumatori internazionali i nostri prodotti non basta, dobbiamo anche essere in grado di farglieli trovare nei supermercati”.
 

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