C'è poco grano in Italia, meno di quanto necessario per soddisfare le esigenze di industrie molitorie e trasformatori. Se è poco il grano duro (4 milioni di tonn. contro un consumo di 6,5 milioni), è ancor meno quello tenero (3 milioni di tonn. contro un consumo di 7,8 milioni), tanto che le importazioni rappresentano una quota importante del nostro disavanzo commerciale in campo agroalimentare. Ma ciò che più conta è la qualità del grano prodotto in Italia, non sempre e non tutto rispondente alle esigenze della trasformazione. Così si cerca di orientare la produzione verso varietà che offrano intrinseche qualità che abbinate a corrette pratiche colturali consentano di ottenere prodotti di eccellenza. Fra i progetti orientati verso questo obiettivo spicca quello intitolato “Frumento di qualità” e guidato dalla società Granaio Italiano. Un'iniziativa avviata nel 2009 nell'ambito dei progetti di filiera promossi dal Mipaaf e che oggi si avvia alla conclusione. I risultati di questi quattro anni di attività sono stati resi noti in occasione del convegno che si è svolto l'11 dicembre nella sede di Progeo, nei pressi di Bologna. Fra gli elementi qualificanti del progetto, come evidenziato dal presidente di Granaio Italiano, Marco Pirani, la partecipazione di 14 imprese della filiera distribuite in sette regioni italiane.

Il progetto
I punti di eccellenza del progetto “Frumento di qualità” si riassumono solo in parte nelle quantità prodotte, circa 200mila tonnellate fra grano tenero e grano duro. Ciò che più conta è l'aver creato una rete di imprese che spazia dalla Lombardia alla Sicilia, coinvolgendo consorzi agrari, imprese molitorie, società sementiere. Grazie alla disponibilità di circa 12 milioni di euro, fra contributi in conto capitale e in conto interessi, è stato possibile realizzare investimenti la cui utilità andrà oltre la durata del progetto stesso, che si chiuderà con la fine di quest'anno, forse con una proroga di qualche mese per recuperare alcuni ritardi causati dagli appesantimenti della burocrazia. A guidare il lavoro di questi quattro anni è stato il desiderio di aggredire il mercato con le armi della qualità per liberarlo dalla eccessiva volatilità che caratterizza le “commodity”, indifese quando prive di una propria “identità”.

Gli strumenti
Un percorso verso la qualità che si è articolato su più punti. A iniziare da un regime di premi, sia per gli agricoltori sia per stoccatori e utilizzatori. Poi disciplinari di produzione da abbinare a contratti di coltivazione (oltre mille quelli stipulati ogni anno) per offrire ai produttori orizzonti certi ed ottenere una omogeneità nella produzione. Infine un grande impegno nella ricerca e nella selezione delle varietà di grano capaci di rispondere in termini di resistenza, produttività e caratteristiche. Un impegno particolare è stato rivolto alla selezione di ceppi in grado di resistere alle nuove patologie. Fitopatologie come ruggini e oidio sono state sostituite da fusariosi e septoriosi che preoccupano anche per le conseguenze sulla salubrità delle farine. Un settore, questo della ricerca genetica, dove si stanno facendo progressi importanti utilizzando al meglio la biodiversità che il grano può offrire alle diverse latitudini. Aiuti importanti arrivano poi dalle nuove metodiche e dalle conoscenze sulla genetica molecolare per accorciare tempi che altrimenti si misurano in multipli di lustro.

Fare rete
Ma servono strumenti e ricercatori motivati, dunque investimenti e il progetto “Granaio Italiano” ha dato un impulso anche in questa direzione. Non meno importante il lavoro di collegamento fra i protagonisti della filiera, lavoro che è stato svolto dall'Unione Seminativi con risultati che i partecipanti all'incontro hanno unanimemente apprezzato. Un lavoro che ci si augura non vada disperso con la conclusione del progetto stesso, ma possa continuare sia come esempio per altri, sia fra gli stessi protagonisti di Granaio Italiano che possono ora vantare una forte esperienza nel fare rete.